Lauretta attese a lungo, poi vide arrivare la sua amica che trasportava faticosamente il grosso chicco di cui le aveva parlato. Quando giunse al formicaio, Lauretta vide tantissime piccole creature lavorare insieme instancabilmente: avevano costruito un monticello fatto di aghi di pino, frammenti di legno, squame di pigne e altro. Le formiche entravano e uscivano da mille gallerie, trasportando le provviste da mettere nella dispensa. “Care amiche, quanto lavoro e quanta pazienza…”
Poi si allontanò di qualche passo e subito un albero catturò la sua attenzione, così carico com’era di frutti rossi. Lauretta cercò di prenderne uno, ma senza riuscirci. “Salta, pigrona”, le gridò una vocina dall’alto. Era uno scoiattolo che saltava e giocava tra i rami scendendo e risalendo lungo il tronco. Giocarono un po’ a rincorrersi, poi stanca ed accaldata Lauretta sedette sotto l’albero a mangiare un po’ di frutti rossi, e lo scoiattolo le venne in braccio a farsi accarezzare un po’. Si sentiva un mormorio d’acqua in lontananza: era un limpido ruscello. Lauretta entrò nell’acqua a piedi scalzi, si chinò a bere, e mentre guardava la sua immagine riflessa si accorse della presenza di piccole creature trasparenti, vestite di veli sottili, che si muovevano nel ruscello. “Siamo Ondine e conosciamo tutti i segreti dell’acqua. Seguici”.
Le Ondine accompagnarono Lauretta fino a una bella cascata e le dissero” Ti servirà un po’ di questa durante il tuo viaggio, che sarà lungo e pieni di pericoli; ti salverà la vita. Ma per averla dovrai trovare la sorgente, e vincere la paura. Il vecchio Eremita ti aiuterà”. Detto questo scomparvero. La bimba si mise in cerca della sorgente. Il paesaggio diventava sempre più minaccioso e buio e la salita sempre più ripida. Ad un certo punto il sentiero si interruppe davanti a uno spaventoso burrone. Sotto il torrente scorreva impetuoso e grigio. Tornare indietro non si poteva, ma come fare per proseguire? Lauretta sedette sotto un grande albero frondoso e subito si sentì protetta e confortata. “Non disperare” le disse l’albero “con l’aiuto del mio amico vento ti faremo passare dall’altra parte”. Così i rami dell’albero si piegarono sul precipizio a formare un ponte verde, coraggiosamente lei cominciò a percorrerlo. La vista era impressionante, sembrava di essere nel vuoto, uh che paura guardare in basso! Quando finalmente giunse dall’altra parte, vide un vecchio dalla lunga barba bianca che le veniva incontro: era l’Eremita di cui le Ondine le avevano parlato. “Ti stavo aspettando” disse “sei stata brava a vincere la paura!”. Il vecchio portò Lauretta nella sua grotta, le offrì da mangiare e da bere e si occupò di lei.
Era sera, il sole tramontava in mille sfumature di rosso e di viola. Il vecchio sedette accanto alla bambina, a raccontarle le mille storie che conosceva, mentre lei lo ascoltava ammirata. Quando si fece buio, prima di coricarsi, la condusse fuori, sotto il cielo stellato. La notte era limpida e serena, e un silenzio magico regnava su tutte le cose. Il saggio, indicando le stelle, spiegò che erano le finestre celesti dalle quali ogni notte gli angeli guardano la terra. Ad un tratto una luce diafana rischiarò il paesaggio e fece impallidire le stelle. Lauretta vide comparire allora dal sottile contorno dei monti la luna, in tutta la sua bellezza. “Oh, che meraviglia!” esclamò rapita. “Quello è lo specchio del sole, che rischiara la notte. Io so da dove sei venuta, Lauretta. Tu sei entrata nel mondo attraverso quella porta, la porta della luna. Ed hai tracciato tu stessa il tuo cammino, lanciando dietro di te il gomitolo dei ricordi. Dovrai percorrere la tua strada con coraggio e decisione, per poter raccogliere i semi che ti sei proposta di portare al giardiniere. Attenta a non farti sviare da nulla e da nessuno: la tua strada ti condurrà alla porta del sole, dove qualcuno che veglia sempre su di te ti attende.”
Lauretta ascoltò in silenzio le parole dell’eremita, e ne conservò il ricordo per sempre. Il mattino seguente il vecchio la salutò, le diede una bottiglietta dell’acqua della sorgente, e Lauretta riprese il suo cammino. Passarono le ore, e lei era stanca e accaldata. Il sole era alto nel cielo e stava attraversando una pietraia desolata e arida. Come avrebbe voluto inoltrarsi nel boschetto che si distenteva invitante ai due lati di quella larga e assolata strada. Ma, ricordando le parole dell’Eremita, continuò per la sua strada senza lasciarsi tentare. Di tanto in tanto beveva un sorso d’acqua, per riprendere le forze. Finalmente vide in lontananza alcune case, e giunse così ad una piazza che aveva al centro un pozzo, ma era completamente asciutto. Le strade del paese erano deserte, i campi bruciati dal sole, le zolle spaccate dalla siccità, e un vento caldo e secco sollevava una polvere sottile come sabbia, che si insinuava ovunque. Lauretta bussò a una porta e senza attendere risposta entrò. Un povero vecchio se ne stava sdraiato a letto, e accanto a lui c’erano uno uomo una donna e i loro tre bambini. “Acqua…” chiesero imploranti non appena videro Lauretta. “Abbiamo sete. Le mucche non danno più latte, le persone sono deboli e malate, non possiamo bere, lavarci, irrigare i campi, cuocere il cibo.”Aurina vide che nella bottiglia era rimasto un ultimo goccio d’acqua. Anche lei aveva sete, ma lo offrì al vecchio che stava a letto. E appena riebbe la bottiglia tra le mani, si accorse che era diventata pesante: si era riempita di nuova acqua!
Lauretta non poteva credere ai suoi occhi, e con quell’acqua che non finiva mai tutto il villaggio potè finalmente bere.Verso le tre del pomeriggio, il cielo si oscurò improvvisamente, come se fosse calata la notte, e si udirono in lontananza cupi brontolii minacciosi. Lauretta si accorse allora che il sole era scomparso, mentre grossi nuvoloni neri si addensavano nel cielo. La bimba si diresse di corsa derso la casa, tutta impaurita, ma venne travolta da un turbine di persone che, uscite di casa esultanti, guardavano il cielo piene di speranza. Lauretta pensò che fossero impazziti tutti, ma poi una grossa goccia di pioggia le bagnò la fronte, guardò in alto ed esclamò “Ih, cade acqua dal cielo!”. In un istante il suo visetto era fradicio, i suoi capelli gocciolavano, il vestito e le scarpe erano inzuppati. Era la pioggia che gli abitanti di quel paese avevano atteso da lunghissimo tempo, e che non speravano più potesse arrivare. Quella mancanza d’acqua era stata una dura punizione. Un tempo, in quei luoghi, regnava una tale abbondanza che gli abitanti erano diventati degli spreconi: sciupavano i doni che ricevevano, e addirittura gettavano via il cibo. I bambini giocavano a palla con la frutta, e se un pezzetto di pane cadeva per terra lo lasciavano lì, senza curarsene minimamente.
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