Storia di Roma I GRACCHI – dettati ortografici e letture. Una raccolta di letture e dettati ortografici di autori vari, per la classe quinta della scuola primaria.
Storia di Roma I GRACCHI
Dopo la vittoria su Cartagine, Roma divenne ricca e potente, ma i benefici di tale ricchezza e potenza non erano equamente distribuiti fra tutti i cittadini. Molti fra coloro che avevano lungamente combattuto, trascurando lavoro e interessi, erano caduti in miseria.
Le terre di conquista erano distribuite ai cittadini, ma gran parte di esse toccavano a pochi patrizi che aumentavano i loro possedimenti. Essi avevano campagne estese (latifondi) a perdita d’occhio e sovente ne trascuravano la buona coltivazione.
Il numero dei poveri aumentava ogni giorno. Essi abbandonavano le loro case e i loro campicelli, e si riversavano nelle città. Era una situazione molto grave, e due nobili fratelli romani, Tiberio e Caio Gracco, cercarono con tutte le loro forze di porvi rimedio. Nominati tribuni, proposero la “legge agraria”. Essa stabiliva che molte terre fossero distribuite ai contadini più bisognosi.
I patrizi, aiutati degli amici del Senato, combatterono con ogni mezzo la legge agraria che li danneggiava.
Tanto fecero che Tiberio fu assassinato in un tumulto, e il fratello Caio, abbandonato anche dagli amici e dai beneficati, si fece uccidere da uno schiavo.
Storia di Roma I GRACCHI – I Romani diventano ricchi, ma non tutti
Roma aveva conquistato immensi territori. Divenuti ricchi, i cittadini presero ad amare il lusso, gli oggetti preziosi, i banchetti, i divertimenti. Gli schiavi lavoravano per loro.
Naturalmente, non tutti i cittadini romani erano diventati ricchi. Anzi, la maggior parte di essi era rimasta povera, più povera di prima! Solo i proprietari di vaste terre (i latifondi) ammassavano facilmente le ricchezze, facendo lavorare gli schiavi e trasformando i campi in pascoli per le greggi e gli armenti.
Infatti, siccome il grano arrivava in abbondanza dall’Africa e dall’Asia Minore, non era più necessario coltivarlo in Italia. Questo sistema riduceva in miseria i piccoli proprietari che abbandonavano i loro campicelli e si trasferivano a Roma, a vivere come oziosi mendicanti.
Due uomini vollero porre riparo a tanta miseria, realizzando le prime riforme a favore degli operai e dei contadini: Tiberio e Caio Gracco.
Storia di Roma I GRACCHI – Tiberio e Caio Gracco
Tiberio e Caio, per l’indole egregia e per il grande studio che Cornelia mise nell’educarli, divennero i più disciplinati di quanti Romani allora vivevano; e dall’esempio loro si dimostrò che l’educazione è ottima guida per condurre gli uomini a virtù. Tiberio e Caio furono somiglianti nella forza, nella temperanza, nella liberalità, nella grandezza d’animo e nell’eloquenza; ma grandemente differivano in altre cose. Tiberio nell’aria del volto, nello sguardo e nel portamento era mite e composto. Caio, invece, era impetuoso e pieno di forza; cosicchè quando arringava il popolo, egli non si teneva già modestamente fermo al suo posto, come il fratello; anzi fu il primo dei Romani a passeggiare qua e là per la ringhiera (il palco da dove parlavano gli oratori) ed a tirarsi la toga giù dalle spalle. Se poi era preso dall’ira, s’infiammava e strillava sino a prorompere in contumelie e a confondersi nel discorso. Venendo a parlare dei costumi e della maniera di vivere, si lodavano in Tiberio la frugalità e la semplicità; mentre Caio, sebbene temperato ed austero in confronto agli altri, si poteva dire largo e magnifico rispetto al fratello. (da Plutarco)
Storia di Roma I GRACCHI – I veri gioielli
Le ricche signore romane si chiamavano matrone. Andavano coperte di ampie vesti e portavano indosso ornamenti d’oro. Molte si facevano accompagnare da uno schiavo, con un cofanetto pieno di gioielli che mostravano alle amiche.
Ma una di loro non faceva così. Si chiamava Cornelia. Si era sposata con Sempronio Gracco ed era rimasta presto vedova, con due figli, Tiberio e Caio, che allevava teneramente. Quei due ragazzi, che a Roma chiamavano i fratelli Gracchi, le davano molte soddisfazioni, perchè erano seri, buoni, studiosi. Cornelia, per quanto vedova, si sentiva contenta di loro.
Un giorno si recò a farle visita un’altra matrona, diversa da lei. Era una donna ambiziosa e vanitosa, piena di ornamenti. La seguiva uno dei soliti schiavi, col cofano dei gioielli. La matrona lo aprì dinanzi a Cornelia. Trasse fuori collane d’oro, con la bulla che era una specie di medaglia. Sollevò fili di perle opaline. Si infilò alle dita anelli gemmati. Mostrò braccialetti larghissimi, d’oro sbalzato. Eppoi, filigrane e fibule, che erano fatte come i nostri spilli di sicurezza, ma più ricchi e lavorati.
E mentre si passava, da una mano all’altra, tutti quei gioielli preziosi, i suoi occhi brillavano più che i diamanti sfaccettati.
Cornelia sorrideva per cortesia, ma in cuor suo compativa quella donna che, per darsi importanza, aveva bisogno di tutte quelle cose inutili.
A un certo momento, la matrona vanitosa chiese a Cornelia che le mostrasse i suoi gioielli. Forse la voleva umiliare. Ma Cornelia, com’era una donna di giudizio, era anche una donna di spirito. Invece di aprire un cofano o di frugare in un cassetto, chiamò presso di sè i suoi due bravi figlioli.
Prese Tiberio da una parte, Caio dall’altra. Passò sulle loro spalle le sue materne braccia, poi disse, modesta e insieme orgogliosa: “Ecco i miei gioielli!”
La sciocca matrona, a quella bellissima risposta, rimase confusa.
Abbassò gli occhi sui suoi gioielli. Le sembrò che non sfavillassero più. Anche nei suoi occhi si era spenta la luce della gioia. Richiuse il cofano. Ma ora erano gli occhi di Cornelia e dei suoi cari figlioli che riempivano di luce la casa. (P. Bargellini)
Storia di Roma I GRACCHI – Discorso di Tiberio Gracco
Tiberio Gracco, divenuto tribuno della plebe, propose nel 133 aC, una legge, per la quale la grande proprietà terriera, o latifondo, doveva essere frazionata in modo tale che nessun cittadino potesse possedere più di 1.000 giornate di demanio pubblico. Il resto doveva essere confiscato e diviso in piccoli poderi da 30 iugeri, da distribuirsi fra i cittadini nullatenenti.
Ecco il discorso con cui Tiberio arringò la folla in tale occasione:
“Le belve che vivono allo stato selvaggio hanno le loro tane, ma quelli che muoiono per l’Italia non sono padroni che dell’aria che respirano. Essi devono andare raminghi, con la moglie e con i figli, senza casa, senza tetto.
Quando i loro comandanti, prima della battaglia, li incitano a combattere per le loro tombe e per i loro Lari, mentono e sanno di mentire, perchè nessuno dei soldati possiede tali cose. I loro combattimenti, i loro morti, non servono che ad accrescere il lusso dei ricchi.
Si ha il coraggio di chiamare padroni del mondo questi disgraziati che non posseggono neppure una zolla di terra!”
(da Plutarco)
Storia di Roma I GRACCHI – Tiberio Gracco
Tiberio fu eletto Tribuno della Plebe e fece approvare una legge che vietava ai cittadini di possedere latifondi troppo estesi e imponeva ai proprietari terrieri di assumere un certo numero di contadini liberi, da far lavorare nei campi oltre agli schiavi, mentre a tutti i cittadini poveri lo Stato avrebbe assegnato un piccolo terreno. Questa legge non poteva piacere ai grandi proprietari… Non potendo privare Tiberio del potere, i patrizi provocarono aspri disordini durante le elezioni dell’anno 133 aC; Tiberio fu assalito e ucciso.
Storia di Roma I GRACCHI – Caio Gracco
Nove anni dopo, Caio Gracco, fratello minore di Tiberio, fu eletto a sua volta Tribuno della Plebe. Per favorire i poveri, Caio fece approvare una legge perchè fossero ricostruite alcune famose città: Taranto, Capua, Cartagine. Per salvare i plebei dalla fame, Caio mise in opera la legge frumentaria, che impegnava lo Stato a vendere ad ogni cittadino cinquanta chili di grano al mese, a bassissimo prezzo. Neppure queste leggi poterono essere gradite ai profittatori.
Per attaccare Caio Gracco fu trovata una scusa: Caio aveva guidato tremila coloni in Africa, perchè ricostruissero Cartagine. Ma, al termine della terza guerra punica, il territorio di Cartagine era stato dedicato alle divinità infernali. Caio Gracco fu accusato di sacrilegio e perseguitato. Morì ucciso nel 121 aC.
Storia di Roma I GRACCHI – Vicino al popolo
Caio Gracco abbandonò la propria ricca casa patrizia per andare ad abitare in una catapecchia di un quartiere popolare, e ciò per essere maggiormente vicino al popolo e vederne così con i propri occhi i bisogni.
Storia di Roma I GRACCHI – Le guerre civili
La miseria, le ingiustizie, l’inimicizia tra i pochi ricchissimi ed i molti poveri continuarono dopo la morte dei Gracchi. All’improvviso scoppiò una vera guerra fra gruppi di cittadini romani. Si disse “guerra civile” perchè era combattuta da uomini appartenenti alla stessa patria. Gli interessi della plebe erano difesi da Caio Mario, un popolano che, per il suo coraggio, era giunto ai più alti gradi militari.
Il suo avversario era il nobile Lucio Silla, intelligente e ambizioso. La lotta durò molti anni: se trionfavano gli uomini di Mario, la vendetta colpiva i “sillani”; se invece era vittorioso Silla, tutti gli amici di Mario erano perseguitati ed uccisi.
Quando Mario morì, Silla si fece nominare dittatore e governò lo stato con grande durezza fino all’anno 79 aC.
Storia di Roma I GRACCHI – Mario
Era nato da contadini. Aveva combattuto con Scipione nella Spagna, e ben presto era divenuto generale. Coraggioso, forte, abile, resisteva a qualsiasi fatica. Viveva la vita dei suoi soldati: mangiava il loro pane e, come loro, riposava sulla nuda terra. Durante le soste, metteva anch’egli mano al lavoro per scavare una fossa o un vallo (trincea). I soldati lo ammiravano e lo amavano, pronti a compiere con lui le più audaci imprese.
Storia di Roma I GRACCHI – Caio Mario, il salvatore della Patria
Mentre a Roma la plebe era in fermento, scoppiò una guerra contro Giugurta, re della Numidia. Essa fu conclusa vittoriosamente dal console Caio Mario, di umili origini. La gloria di Mario si accrebbe pochi anni dopo, quando salvò Roma dalla terribile invasione dei Cimbri e dei Teutoni, bellicosi popoli germanici. Il console fu acclamato “salvatore della patria” e “terzo Romolo”.
Caio Mario riorganizzò l’esercito. I soldati furono equipaggiati a spese dello stato e ricevettero una paga.
Storia di Roma I GRACCHI – Eroico modo di attingere acqua
I soldati di Mario, assetati, protestavano con il condottiero perchè volevano acqua. “Il campo nemico ne abbonda” disse Mario “andate a prenderla!”. E li guidò alla battaglia.
Storia di Roma I GRACCHI – Silla
Era di ricca famiglia patrizia. Aveva occhi azzurri e aspetto fiero. La sua faccia era di colore scuro, qua e là pezzato di bianco. In lui c’era un impasto di virtù e di vizi. Forte e valoroso in guerra, era poi prodigo, spavaldo, ambizioso e vendicativo. I nemici lo temevano; lo sapevano uomo senza pietà. Gli amici lo adoravano, perchè lo sapevano pronto a qualsiasi aiuto.
Storia di Roma I GRACCHI – Lucio Cornelio Silla
Nonostante le vittorie conseguite, Roma covava dentro di sè continue discordie, alimentate ora dai patrizi, ora dai plebei.
Per alcuni anni prevalse il partito dei plebei, capeggiato da Mario, che fece strage dei suoi nemici. Quando morì, si disse: “Non fu amato da nessuno, fu odiato da molti”.
Poi prevalse il partito dei patrizi, capeggiato da Silla. Ma anche di lui si disse: “Nessuno fece tanto bene ai suoi amici e tanto male ai suoi nemici”. Raggiunto il pieno potere, infatti, Silla riempì Roma di stragi senza fine e senza limite.
Molte conquiste della plebe furono distrutte: i tributi non poterono esercitare il diritto di veto e proporre le leggi. Dopo quattro anni di dittatura Silla si ritirò a vita privata.
“C’é qualcuno” domandò al popolo convocato in piazza “che voglia chiedermi conto di quello che ho fatto?” Nessuno aprì bocca.
Storia di Roma I GRACCHI – La battaglia di Aquae Sextiae
Quando tutto fu pronto, Mario col grosso delle forze si accampò verso le foci del Rodano, in luogo forte, cinto di staccati e di fosso. Ecco arrivare finalmente i nemici, in numero quasi infinito
Mario ordinò che i legionari dall’alto dei terrapieni, a turno stessero ad osservare i nemici, in modo da assuefarsi al loro aspetto strano, alle loro voci spaventose: ottenne così che i Romani non soltanto temessero più d’attaccare battaglia, ma ogni giorno chiedessero ad alte grida che il console desse il segnale. Ed egli, impassibile, li frenava. Alfine i Teutoni s’impazientirono e da ogni parte, alla rinfusa, assalirono il campo romano, quasi per provare la forza d’animo dei difensori. Respinti dalla pioggia di saette, senza ritentar la prova e quasi disprezzando quel nemico trincerato, decisero di muovere senz’altro verso i passi delle Alpi, per ricongiungersi coi Cimbri e insieme passare in Italia. Levate le tende, i barbari si avviarono, sfilando, per derisione, lungo il campo di Mario.
Solo quando le retroguardie del nemico furono scomparse, verso oriente, Mario levò il campo e li seguì cautamente. Pensava non senza ragione, che durante la marcia il disordine sarebbe entrato più facilmente in quelle enormi masse indisciplinate. Quasi ogni giorno egli faceva prigionieri gruppi di ritardatari e di sbandati. Vicino ad Aquae Sextiae potè finalmente coglierne all’improvviso una grossa schiera di trentamila, separati da un canale e, con abile manovra, parte cacciarli giù nell’acqua, parte uccidere, parte inseguire fino al campo.
Il terzo giorno la tensione degli animi era diventata tale, che Mario ritenne miglior consiglio affrontare la prova. Trasse le legioni dagli steccati e le schierò su un pendio. L’ordine dato ai soldati era semplice: mantenere ad ogni costo l’ordinanza, aspettare i nemici a piè fermo e scagliare i giavellotti a giusta distanza; Mario, come sempre, combattè in prima fila, per dare esempio e coraggio.
Dopo una lunga lotta, i barbari si ritirarono per riprendere fiato; ma ecco, in quel mentre Claudio Marcello assalirli alle spalle. Alla inattesa vicenda, i Teutoni restarono un momento incerti; combattere su due fronti non era loro costume; credettero ad un tradimento, ad un prodigio; la confusione entrò nelle loro file. Molti corsero verso il campo, ove avevano lasciato le mogli, i vecchi, i bambini.
Le legioni allora presero l’offensiva e si slanciarono con alte grida giù dal pendio. Nella battaglia all’arma bianca, come erano quelle dell’antichità, non vi era quasi scampo per gli sconfitti; quando incominciava la ritirata, era quasi la strage sicura. Più di centomila Teutoni furono distrutti in poche ore; in parte uccisi, in parte fatti prigionieri; tutte le loro cose divennero bottino di guerra. (A. Valori)
Storia di Roma I GRACCHI – Le proscrizioni di Silla
Silla riempì Roma di stragi senza fine e senza limite. Molti che non avevano mai avuto nulla a che fare con lui, furono fatti mandare a morte per odi personali: egli lasciava fare per compiacere i suoi amici.
Silla proscrisse dapprima ottanta cittadini senza dare alcuna comunicazione ai magistrati: ciò provocò generale indignazione. Lasciò allora passare un giorno, ma poi ne proscrisse duecentoventi altri e il terzo giorno altrettanti. Parlando al pubblico, disse che aveva proscritto chi gli era venuto in mente e che in seguito avrebbe preso la medesima misura contro altri che gli fossero venuti a memoria.
Stabilì la pena di morte per chiunque avesse dato ospitalità o salvato un proscritto, anche se fosse stato fratello, figlio, genitore, e fissò un premio di due talenti per chi avesse ucciso uno posto al bando, fosse anche il servo a uccidere il padrone o il figlio a uccidere il padre.
Ciò che parve ingiusto al massimo fu l’avere Silla stabilito la perdita di ogni diritto e la confisca dei beni anche a danno dei figli o dei nipoti dei proscritti.
Le proscrizioni non furono limitate a Roma, ma furono estese a tutte le città d’Italia. Non vi fu tempio di divinità, focolare domestico o casa paterna rimasta monda dal sangue degli uccisi: erano trucidati i mariti accanto alle mogli, i figli presso le madri.
Il numero delle vittime per rancori e odi personali fu lungi dall’eguagliare quello degli uccisi a causa delle loro ricchezze. Gli assassinati avrebbero potuto ben dire che l’uno doveva la morte alla sontuosa abitazione, l’altro al suo giardino, l’altro ancora alle sue stanze. Quinto Aurelio, uomo inoffensivo e che non partecipava a tante calamità se non con il sentire compassione per le sventure altrui, recatosi al Foro vide il suo nome nella lista dei proscritti.
“Misero me” disse “è il mio podere l’Albano che mi perseguita”. Fece qualche passo, e fu assassinato da uno che si era messo a seguirlo. (Plutarco)
Storia di Roma I GRACCHI – Il dono di Caio Mario
Caio Mario si trovava presso Vercelli, quando gli si presentò un uomo ancora giovane, sano e robusto, ma lacero e sudicio. “Salve, illustre console!”, lo salutò il mendicante.
Mario rispose con rude cenno: “Che cosa vuoi?”.
L’uomo fu un po’ turbato da quel modo aspro di trattare; pure si fece coraggio e disse: “Vorrei chiederti aiuto. Tu vedi, o console, come sono povero”.
Mario corrugò la fronte, incrociò le braccia sul petto e, dopo averlo osservato attentamente, domandò: “Quanti anni hai?”
“Ne ho compiuti trenta un mese fa”
“Va bene. Torna domani e ti darò un dono degno di me”.
Il mendicante si chinò davanti al capitano e gli volle baciare la mano, ma fu respinto: “Ricordati che le adulazioni non mi piacciono”.
Il misero se ne andò confuso. Il giorno dopo, di buon mattino, si presentò alla tenda del console. Mario, appena lo scorse, gli disse: “L’ora è assai propizia per il dono che ti faccio”, e gli mostrò un aratro dalla lama lucidissima e ricurva, che scintillava al sole. “Adoperalo dal biancheggiare dell’alba fino al rosso del crepuscolo, e ti assicuro che non sarai più povero”. (G. Visentini)
Storia di Roma I GRACCHI – Le province
I Paesi conquistati fuori dell’Italia peninsulare ebbero il nome di province. La prima fu la Sicilia.
A capo di ogni provincia vi era un governatore romano, proconsole e propretore, cioè console o pretore uscito di carica, che governava per un anno. Costoro, pur rispettando le usanze, i costumi, la religione degli indigeni, esigevano il pagamento dei tribuni imposti ad ogni provincia, comandavano le forze armate, facevano le leve e le requisizioni, giudicavano le cause civili e penali e sorvegliavano l’amministrazione regionale e locale. Naturalmente, per disimpegnare tutte queste funzioni, erano assistiti da un numeroso stuolo di funzionari.
Il governo romano fu in generale benefico: nei paesi quasi barbari dell’Europa occidentale (Gallia e Spagna) portò la sua civiltà; nelle province del Mediterraneo orientale pose fine alle lotte che rovinavano quei popoli.
Storia di Roma I GRACCHI – Le colonie
Nelle terre di recente conquista i Romani fondavano colonie. Era scelto un luogo che fosse ben difeso per natura: alla confluenza di fiumi o su alture che dominassero vaste regioni. I coloni erano quasi tutti soldati romani che si trasferivano con le loro famiglie nel luogo prescelto. Ognuno di essi aveva in proprietà un pezzo di terra. I coloni continuavano ad essere soldati, cittadini di Roma. Potevano andare a Roma ad esercitare i loro diritti; accorrevano alla chiamata nell’esercito di Roma.
Erano dunque ben diverse queste colonie da quelle fenicie e greche, che erano indipendenti dalla Madre Patria. I diritti di cittadinanza romana, di cui godevano i coloni, erano incitamento ai vicini per meditare anch’essi quei diritti con la fedeltà e la devozione a Roma.
Storia di Roma I GRACCHI – Come i Romani fondavano una colonia
La fondazione delle colonie romane si facevano tracciando due strade principali in croce, da nord a sud l’una e da est a ovest l’altra.
Parallelamente a queste si tracciavano le altre strade. Molte nostre città conservano in modo evidente ancor oggi questa impostazione, che risale alla fondazione di una colonia romana. Torino con la sua pianta quasi geometrica si può considerare come un modello di colonia romana, con le sue ampie strade, rettilinee, che si incrociano tutte ad angolo retto. Del resto nella fondazione di una colonia i Romani rispettavano le stesse norme che essi usavano nel porre un accampamento, e molto spesso l’accampamento, e molto spesso l’accampamento a carattere permanente si trasformava col tempo in un vero e proprio villaggio, poi in città.
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