Quali sono le idee, le esperienze, gli aspetti più positivi e interessanti di tutte le scuole e delle organizzazioni educative che hai visto in giro per il mondo?
La cosa più entusiasmante è stato trovare scuole e altri contesti educativi in molte culture diverse che hanno trovato soluzioni simili o analoghe ai problemi educativi. Questo è accaduto, per esempio, in un povero villaggio dell’India, nel moderno Giappone, nella Chicago delle gang e nella buddhista Thailandia. Un’insegnante indiana mi aveva detto che le era stato più facile comunicare con me che con molti dei suoi connazionali. Se vogliamo andare avanti dobbiamo confidare nelle nostre naturali inclinazioni e basare le nostre azioni non sulle tradizioni ricevute ma sull’empatia e l’altruismo. Ovunque i bambini trattati con rispetto mostrano queste caratteristiche. Un piccolo segnale: ovunque io sia andato ho sentito i bambini rivolgersi a me come a un amico con cui potevano parlare da pari. Nelle scuole convenzionali questo non succede mai: se tratti i bambini da pari pensano che sei uno stupido, o ti sommergono sentendosi confortati dall’aver trovato qualcuno che finalmente li ascolterà.

Quali sono le tue critiche alla scuola tradizionale dei nostri paesi?
Non conosco niente del sistema educativo tradizionale in Italia, ma posso dire con competenza quanto avviene in Gran Bretagna. Le scuole convenzionali prevedono il raggiungimento degli stessi livelli per tutti i bambini; esigono che tutti studino le stesse materie; pretendono conformità nel comportamento; attuano una rigida gerarchia. Poi, si ignora la vita personale dei bambini; si concede molto poco tempo ai ragazzi per le conversazioni informali. I professori considerano l’obbedienza una virtù; considerano i rapporti informali fra adulti e bambini con sospetto; umiliano i bambini che sbagliano o non si adattano; credono necessario controllarli e considerano la punizione il miglior metodo di controllo; valorizzano la memoria più dell’immaginazione e della sensibilità; credono che senza l’istruzione i bambini non possano distinguere il bene dal male; presumono che gli adulti conoscano sempre meglio le cose. Infine, gli adulti esigono il rispetto dai bambini, ma considerano ridicolo doverli rispettare. Sono intimoriti da chi non è remissivo e non gli concedono il diritto di discutere sulla conduzione della scuola.


QUI SI STUDIA SULLA «SABBIA»

LA NASCITA, L’ORGANIZZAZIONE, GLI OBIETTIVI, LA PRATICA LIBERTARIA DI SANDS SCHOOL

Guy, un ragazzo di 15 anni, ci accoglie nel giardino della scuola, una bella casa georgiana ad Ashburton nel Devon, sud-ovest dell’Inghilterra. Sarà la nostra guida, mia e di un gruppo di otto insegnanti. Sands school, scuola sulle sabbie, esprime fino in fondo il suo nome: sistematico e continuo adattamento della propria organizzazione e struttura alle esigenze dei ragazzi e delle ragazze, degli insegnanti, dei genitori.
Questa apparente disorganizzazione, se vista con gli occhi di chi ritiene possibile solo un’organizzazione autoritaria della vita sociale, rappresenta il punto di forza di questa comunità educante che raccoglie ragazzi e ragazze di un’età per definizione problematica perché «vivere e lavorare con gli adolescenti», suggerisce Sean Bellamy (uno dei fondatori, insegnante di storia, geografia e sport), «significa lavorare con problemi per definizione: l’adolescenza è l’età conflittuale, problematica, contraddittoria per eccellenza.
La Sands school è stata fondata da David Gribble e altri insegnanti nel 1987 subito dopo la chiusura, per cause amministrative, della Dartington school (1926-1987).
Attualmente frequentano la scuola 74 studenti che apprendono (ma anche insegnano) assieme a sette insegnanti, due segretarie, un esperto di computer e un volontario tedesco. Guy è stato designato a farci da guida dall’assemblea settimanale dei membri della Sands per questo compito, che lui svolge con passione perché, da quando è qui, vive la scuola come sua, se ne prendec ura dopo essere stato rifiutato da tutte le altre scuole che non potevano «sopportare» la sua vera natura, il suo modo di essere e di comunicare.
Il numero ristretto di ragazzi è voluto e deciso dall’assemblea per poter garantire (anche a scapito delle condizioni economiche e finanziarie della scuola stessa e degli stipendi del personale) un rapporto egualitario e diretto, caldo e positivo.

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