Ronca Battista LEGGENDA DELLA BASILICATA
LEGGENDE ITALIANE
Ronca Battista LEGGENDA DELLA BASILICATA
Questa che leggiamo adesso è una leggenda solo per metà. Infatti Ronca Battista esistette davvero. E veri sono anche i fatti da lui compiuti, che ora narreremo. Assieme ai fatti, però, è mescolata anche un po’ di leggenda, suggerita dalla fantasia popolare.
Anzitutto Ronca Battista non era il vero nome del nostro personaggio. Si chiamava Giovan Battista Cerone. Il nome di “Ronca” glielo diedero i suoi concittadini di Melfi, perchè essendo bottaio di mestiere, egli usava una roncola per tagliare i rami che gli servivano per i cerchi alle botti.
Ogni giorno, di buon mattino, Battista usciva da Melfi con un pezzo di pane in tasca e si recava nei boschi di Vulture a far la sua provvista di rami. Sceglieva quelli di castagno, che sono i più flessibili, proprio adatti per far cerchi. E sapeva tagliarli con arte insuperabile: un colpo netto di roncola, tac, e il ramo era già nelle sue mani senza che l’albero se ne fosse accorto.
Mangiato il suo pane e bevuto un sorso d’acqua da una sorgente, Battista se ne tornava poi a Melfi a lavorare.
Fin qui, tu dirai, non c’è nulla di speciale nella vita di questo Battista.
E’ vero! Ma aspetta un po’. A proposito, dimenticavo di dirti che siamo nel secolo XVI. Agli inizi di quel secolo la città di Melfi era ancora un feudo della nobile famiglia dei Caracciolo, fedele agli Spagnoli. Ma già scorrazzavano per la regione bande di Francesi che assalivano ora un paese ora l’altro, saccheggiando la popolazione. Quando i Francesi si avvicinarono a Melfi, Gianni Caracciolo, signore della città, decise di resistere ad ogni costo. E i Melfitani furono d’accordo con lui.
Capo dei Francesi era il generale Lautrec, tipo crudele e senza scrupoli. Egli era convinto di prendere Melfi in quattro e quattr’otto, e perciò ci rimase molto male quando si accorse che i Melfitani, chiuse le porte delle mura, si apprestavano alla difesa.
La lotta durò a lungo, feroce da parte degli assedianti ed eroica da parte degli assediati. Sulle mura e davanti alle porte avvenivano spesso scontri sanguinosi. Per di più, i Melfitani comiciavano a soffrire la fame, così che nottentempo qualche cittadino doveva uscire di nascosto dalla città per procurarsi un po’ di cibo nelle campagne.
Anche il nostro Battista, una notte, riuscì a sfuggire alle sentinelle francesi ed a raggiungere il bosco. Più che cibo, però, lui cercava legni per le sue botti, perchè non avendo famiglia, di mangiare non gliene mancava. Quella notte, anzi, egli aveva in tasca, come al solito, il suo pezzo di pane. Attesa l’alba, per vederci meglio, Battista diede mano alla roncola e staccò alcuni rami. Si avviò quindi in fretta, e alle soglie del bosco incontrò una vecchia tremante di freddo che lo fermò.
“Bravo giovane” disse la poveretta, “i Francesi hanno distrutto la mia capanna e rubate le mie provviste. Aiutami tu!”
Impietosito, Ronca diede il proprio pane alla vecchia. Prese quindi i rami e, acceso un fuocherello, preparò un lettino di frasche alla donna, poi lo ricoprì col suo mantello.
“Va bene così, nonnina?” chiese alla fine.
“Sii benedetto, figliolo!” disse con gratitudine la vecchina. Poi, per ricompensarlo, volle dargli un bacio in fronte e toccargli la roncola.
“D’ora in avanti” aggiunse, “questa roncola compirà prodigi!”
Battista stava per sorridere, incredulo, quando d’improvviso la vecchia si trasformò in una fata splendente e sparì.
“Diamine!” esclamò Battista “Allora è vero!”
Volle provare la roncola magica colpendo un albero, e l’albero volò subito via come una pagliuzza.
Sbalordito e contento, Battista si avviò verso Menfi.
“Se qualche sentinella oserà fermarmi, guai a lei!” pensava, maneggiando la roncola.
Sì! Altro che sentinelle! C’erano tutti i Francesi attorno alla città, scatenati nel pieno di una battaglia e, a quanto pareva, le cose andavano piuttosto male per i Melfitani.
Senza esitare, Battista si slanciò allora nella mischia, mulinando a dritta e a manca la sua roncola magica.
I Francesi intorno a lui cominciarono a piombare a terra come nespole. Invano lo assalivano da ogni parte. Più ne venivano, più ne cadevano. Sembrava che invece di una sola roncola, Battista ne maneggiasse mille. Ad un certo punto, esasperati, i Francesi gli diedero tutti addosso. Ne caddero a decine. Ma ce ne fu uno, d’un tratto, che con un salto riuscì a raggiungerlo alle spalle e a colpirlo fortemente al capo con una mazza di ferro. Battista stramazzò al suolo.
La fine di Ronco Battista segnò la fine della resistenza di Melfi. La città, caduta in mano ai Francesi, fu saccheggiata e incendiata.
Era la Pasqua del 1528.
Oggi c’è una via, a Melfi, che è dedicata alla memoria di Ronca Battista. Ma anche senza questa via, i Melfitani non avrebbero certo dimenticato l’eroico bottaio. Da quel giorno, infatti, la storia di Battista è sempre stata raccontata, di padre in figlio. A un certo punto, è vero, ci fu qualche padre che inventò l’episodio della fata; qualche padre, forse, incapace di credere che solo il coraggio e l’amor patrio avessero potuto rendere prodigiosa la roncola di Battista. E fu così che la storia divenne per metà leggenda.