Recite per bambini ANTICA ROMA – una raccolta di recite e brevi dialoghi sulla storia romana, di autori vari, per bambini della scuola primaria.
Attilio Regolo
Personaggi: Attilio Regolo, la moglie coi figli, primo cittadino, secondo cittadino, altri cittadini.
Popolo: Resta a Roma, oh Regolo!
Regolo: Oh amici romani, ho giurato di ritornare fra i Cartaginesi; e il giuramento è sacro. Nessuna forza potrà far sì che Regolo manchi di parola.
Moglie: Nessuna forza? Neppure la forza che viene dall’amore della tua famiglia? Guarda. Ho le lacrime agli occhi, e silenziosamente piangono anche i nostri fanciulli.
Regolo: Oh moglie mia! Non piangere. Oh figlioletti cari! Non piangete. Forte è vostro padre e anche voi siate forti, come i robusti rami di un albero saldo. Moglie mia, conduci a casa i nostri figlioletti. Che gli dei, per mezzo tuo, li proteggano. Andate. Forse la mia decisione non è presa…
La moglie e i figli si allontanano.
Primo cittadino: Dunque, Regolo, resterai a Roma?
Regolo: Chi ha detto questo?
Primo cittadino: M’ è parso…
Regolo: Gli occhi lacrimosi dei piccoli mi hanno fatto pronunciare parole di dubbio. Ma la decisione è ben ferma nel mio cuore: tornerò fra i Cartaginesi.
Secondo cittadino: Ma i Cartaginesi non ti perdoneranno le parole che tu hai detto davanti al Senato romano!
Popolo: Resta a Roma, oh Regolo!
Regolo: Cittadini, ai miei figli, ai vostri figli insegnerete che Roma è grande perchè ricca di virtù. Col giuramento ho impegnato non solo me stesso, ma anche la dignità di Roma. E’ un Romano che ha giurato! E mi vergognerei di vivere in mezzo a voi, davanti alle statue dei nostri dei, su questo sacro Campidoglio, per non aver mantenuto la parola data!
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Annibale
Annibale: Voi sapete, oh miei soldati, che io vinco le mie battaglie per due ragioni: attacco il nemico da dove meno se lo aspetta, e lo costringo perciò alla battaglia nella località a me più favorevole. Ora si tratta, oh Cartaginesi di attaccare i Romani di sorpresa.
Soldati: Siamo in Spagna, generale. Da dove vuoi attaccare a sorpresa i Romani, in quale località della Spagna vuoi costringerli alla battaglia? Ma ti scrolli il capo, perchè?
Annibale: Perchè non sarà in Spagna che li potrò attaccare di sorpresa, ma in Italia.
Soldati: E come potremo attaccarli di sorpresa in Italia quando già le loro truppe sono in Spagna? Le dovremo fatalmente scontrare prima di raggiungere il mare e imbarcarci!
Annibale: Noi non raggiungeremo l’Italia per mare, come i Romani si aspettano, ma per la via delle Alpi a cui essi certo non pensano. Quando lo sapranno, noi saremo già nella valle del Po.
Soldati: Vuoi valicare le Alpi con sessantamila uomini?
Annibale: E gli elefanti. Così, secondo la mia tattica, farò ciò che il nemico non si aspetta.
Narratore: In tal modo Annibale giunse al fiume Trebbia, l’affluente del Po che scorre lungo i monti e le piane del piacentino. E si accampò. Con un esercito racimolato in fretta per la sorpresa dell’attacco, stanchi per il lungo cammino percorso, trafelati nell’ansia di fermare il nemico il più lontano possibile da Roma, i Romani si scontrarono con Annibale prima presso il fiume Ticino, poi presso il Trebbia. E vennero sconfitti.
(G. Aguissola)
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Cornelia
Personaggi: Cornelia, Flavia (amica di Cornelia), Tiberio e Caio.
Le due matrone romane sono sedute in conversazione. Passano ogni tanto schiave e schiavi affaccendati.
Flavia: Sai, Cornelia, che cosa penso?
Cornelia: Dimmi, Flavia.
Flavia: I Romani si fanno ogni giorno più ricchi! Non ti sembra? Osserva i miei nuovi braccialetti: sono d’oro massiccio. Guarda queste buccole preziose, che vengono dall’Oriente. Ma il mio tesoro maggiore è rappresentato da due gemme, di cui a Roma non esiste nulla di più prezioso. Forse sbaglio: so che anche tu, Cornelia, hai molti gioielli, anche se non ti piace mostrarli spesso. Ma via, sii sincera verso la tua amica Flavia; quali sono i tuoi tesori più grandi? Potranno competere con le gemme, di cui ti ho parlato?
Entrano i due ragazzi. Tiberio è il maggiore.
Tiberio e Caio: Ave, mamma!
Cornelia: Oh Tiberio, oh Caio, figlioli adorati! Ero in pensiero per voi. Roma oggi somiglia al mare in tempesta. Il pedagogo vi ha fatto passare per il Foro?
Tiberio: Sì, madre. Abbiamo visto un ufficiale minacciare alcuni poveri che tumultuavano. A noi si è stretto il cuore nel vedere una simile scena. Però il pedagogo ci ha rimproverati perchè ci siamo fatti tristi, dicendo che è indegna per i Romani una simile commozione. Ma non sono Romani anche quei poveri?
Cornelia: Sì, Tiberio. In verità, non hai torto. Anche quei poveri sono Romani.
Caio: E invece li chiamano vili canaglie. Forse, però, avranno fatto qualcosa di male!
Tiberio: Zitto, Caio! Non è vero! Ho sentito io di che si tratta. Sono cittadini che hanno dovuto vendere per forza i loro campi ai ricchi proprietari, che vogliono sempre nuove terre, ma non vi dedicano poi cure amorose. Essi chiedono giustizia. Se già fossi grande, lotterei per loro!
Caio: Ed io ti seguirei, fratello!
Cornelia: Ecco, Flavia. Tu volevi conoscere quali sono i miei più grandi tesori, vero?
Flavia: Sì, la curiosità è un difetto che non so vincere!
Cornelia: (accennando ai due ragazzi) Ebbene, questi sono i miei veri tesori, di cui spero anche in futuro di essere orgogliosa.
Cesare
Personaggi: Terenzio e Lucano, giovani romani
Terenzio: ho visto tuo padre molto felice oggi. Da molto tempo non lo vedevo così!
Lucano: Ha ben ragione d’esserlo. Tu sai che è stato favorevole a Pompeo; e perciò temeva, prima o dopo, di ricevere da Cesare l’ordine di abbandonare Roma. Invece ieri Cesare stesso l’ha fatto chiamare e gli ha detto : “Non temere Lucio Mannio. So che sei un valente e vorrei il tuo parere su una questione che mi sta a cuore”…
Terenzio: Cesare dimentica il nome dei nemici!
Lucano: E’ vero. Cesare è di animo nobile.
Terenzio: E’ generoso. Vedi quella fila di poveri?
Lucano: Sì
Terenzio: Vanno a una distribuzione di grano ordinata da Cesare in favore dei cittadini poveri. Egli, per combattere la miseria, ha distribuito le terre conquistate tra i veterani dell’esercito, ha emanato una legge contro il lusso eccessivo dei ricchi e farà costruire gigantesche opere pubbliche, tra cui un nuovo Foro, nuovi templi, basiliche e teatri.
Lucano: E’ vero che gli illustri personaggi giunti da ogni dove sono qui, a Roma, per invito di Cesare?
Terenzio: E’ vero. Molti sono studiosi. Cesare ne ha incaricati alcuni di studiare una riforma del calendario, affinchè questo sia più rispondente alla realtà dell’avvicendarsi delle stagioni. Sembra che il calendario, il quale ora conta 355 giorni, ne avrà 365, e ogni quattro anni 366.
Lucano: Sarebbe giusto che fosse chiamato Calendario di Cesare
Terenzio: Non si chiamerà così; ma il Senato ha proposto che il settimo mese porti il nome di Julio, in onore di Cesare.
(R. Botticelli)
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Virgilio
Personaggi: Mecenate, Asinio Pollione, Virgilio
In un giardino imperiale. Si incontrano Asinio Pollione e Mecenate.
Asinio Pollione: Salve, o grande Mecenate!
Mecenate: Salve, amico Pollione! Torno ora da una passeggiata per Roma. Sono inebriato di sole, di bellezza, di felicità. Niente al mondo è più bello di Roma. Ne conosco ogni angolo; e ogni angolo mi par sempre nuovo. Le sue statue, i suoi templi, i suoi palazzi di marmo mi sembrano essi stessi coscienti della grandezza dell’Urbe. Roma è grande! Quando penso che essa è padrona di tutto il Mediterraneo e di tutto il mondo dalla Britannia alla Libia, e vedo le strade imperiali che dal Campidoglio si dipartono per ogni direzione, ripeto fra me con orgoglio “Sono cittadino romano” !”
Asinio Pollione: La fortuna di Roma, oggi, è di avere sul trono Cesare Ottaviano Augusto
Mecenate: Augusto! IL divino Augusto! Sagge leggi, e pace e benessere scendono da quel trono, come dalla sorgente un fiume che reca la vita. Oh Roma, tutti gli dei ti hanno protetta!
Asinio Pollione: Mecenate, tu che sei, per volere di Augusto, il grande protettore degli artisti e dei letterati, non ti sembra che alla nostra Roma manchi un nuovo Omero, che canti la potenza dell’Impero e la grandezza di Augusto?
Mecenate: E’ vero, o Asinio Pollione. Ci vorrebbe un poema sublime, degno dell’Odissea e dell’Iliade.
Asinio Pollione: Perchè non esorti a scriverlo il dolce Virgilio?
Mecenate: Ci avevo già pensato. L’autore delle Georgiche, che tu e io proteggiamo, è davvero un grande poeta. Ma egli è semplice e soave nell’animo. Ama la campagna, la pace, la serenità. Come potrebbe cantare anche le guerre che Roma ha dovuto combattere?
Asinio Pollione: Virgilio ama come noi la grandezza e la potenza di Roma. Vedi come gli piace abitare nell’Urbe? Vedi come abita volentieri la sontuosa villa, di cui tu gli hai fatto dono?
Mecenate: E’ vero; ma rimpiange il suo campicello di Andes, presso Mantova, da cui lui e i suoi genitori furono scacciati per una legge a loro ingiusta, e ancora ne prova dolore! Tuttavia lo esorterò, oh Asinio.
Virgilio (arrivando) E’ proprio codesto dolore, oh grande Mecenate, che oggi mi fa apprezzare in tutto il loro valore, la tua generosità, la tua amicizia e la pace romana instaurata da Augusto.
Asinio Pollione: Virgilio, dolce poeta, hai sentito le nostre parole?
Mecenate: Hai sentito che cosa speriamo da te?
Virgilio: (come se parlasse da solo) Ci fu al mondo un altro uomo, ben più famoso di me, che dovette fuggire dal luogo natio…
Asinio Pollione: Non capisco…
Mecenate: Taci, oh Asinio. Quando Virgilio parla così, la sua fantasia corre lontano. La Musa gli sta vicina. Noi non la vediamo nè la sentiamo, ma lui sì. Forse Roma avrà il suo poema immortale!
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Primi cristiani
Personaggi: Licia, ragazza romana; Priscilla, schiava; Svetonio, schiavo.
Una ragazza e una schiava giocano a palla. Ad un tratto la palla, sfuggendo alla ragazza, va lontano.
Licia: (con alterigia) Me l’hai tirata male, Priscilla! Vai a riprenderla!
La schiava obbedisce e prontamente corre a cercarla.
Licia: Dove vai?
Priscilla: A cercare la palla!
Licia: (riflettendo) Priscilla… perchè sei così docile?
Priscilla: Perchè sono una schiava e tu sei la ma piccola… Ma dov’è andata la palla? Ah… l’ho trovata!
Licia: Ridammela.
Priscilla: Eccola (gliela porge)
Licia: Dimmi, Priscilla. Che cosa volevi dire quando hai interrotto il tuo discorso?
Priscilla: Stavo per dire la parola “padrona”, ma sbagliavo.
Licia: Perchè?
Priscilla: Perchè nessuno è padrone in questo mondo.
Licia: Come? Neppure mio padre?
Priscilla: No… proprio padrone, no.
Licia: Neppure l’imperatore?
Priscilla: Neppure.
Licia: Ora chiamerò Svetonio e ti farò fustigare. Vedrai se esistono i padroni! (A voce alta) Svetonio! Svetonio!
Svetonio: piccola padrona, hai chiamato?
Licia: (pentita) Non voglio nulla. Vattene. (Svetonio se ne va)
Priscilla: (avvicinandosi alla ragazza) Ti ringrazio, Licia.
Licia: Sì… Priscilla. Tu sei tanto buona! Ma dimmi: nessuno dunque è padrone nel mondo?
Priscilla: Veramente un padrone c’è!
Licia: E chi è?
Priscilla: Non posso dirlo.
Licia: Dimmelo.
Priscilla: E’ il Padre nostro, che è nei cieli, infinitamente buono.
Licia: Priscilla, io non dirò nulla a nessuno, ma tu parlami di questo dio…
Marco Petreio
Narratore: Nel 52 aC tutte le stirpi galliche, sotto il comando del loro capo Vercingetorige, si ribellarono ai Romani e, presso le mura di Gergovia, in Frangia, sconfissero i legionari di Cesare. In tale occasione rifulse l’eroismo del centurione Marco Petreio.
Lucio Fabio, centurione: Orsù, legionari, rinnoviamo a Gergovia i fasti di Avarico! Ricordate quanta preda facemmo in quella città? Qui una preda ancor maggiore ci attende: alle mura, alle mura! Alzatemi sulle vostre spalle, perchè voglio giunger primo alla cima! Così… forza… ecco! Ed ora a voi? Già i nemici fuggono atterriti!
Sesto Furio, centurione: Non odi le trombe che chiamano a raccolta? Discendi dalle mura, così vuole Cesare!
Lucio Fabio, centurione: Oh, Sesto. Chi ha paura non porti la spada, ma la rocca e il pennecchio! Avanti, miei legionari, avanti! Vedete là Marco Petreio che con i suoi sta ormai calandosi dalle mura nella città? Volete essere a loro secondi? Addosso ai barbari! Addosso!”
Un legionario: Quante teste di meno avranno i Galli tra poco…
Un altro legionario: E noi, quante collane d’oro avremo in più…
Marco Petreio, centurione: Presto, legionari, corriamo ad aprire le porte!
Teutomato, principe gallico (rivolto ai suoi): Ancora una volta fuggiranno, dunque, quelli a cui è affidata la libertà della Gallia? Scacciate il timore e disponetevi alla battaglia! Non vedete che soltanto pochi nemici han varcato le mura?
Narratore: Così si accese una mischia furibonda tra i pochi Romani e la moltitudine crescente dei barbari. Lucio Fabio cadde trafitto in mezzo a molti dei suoi. Marco Petreio, pur gravemente ferito, si slanciò tra i nemici
Marco Petreio, centurione: Lucio Fabio è caduto e tanti altri con lui: salvatevi, legionari! Come potremo noi sostenere lo sforzo di così gran numero di nemici? Io, per desiderio di gloria, vi ho gettati nel pericolo, ed io vi salverò. Giacchè non posso salvare me stesso, procurerò almeno di salvare voi.
Narratore: Da solo Marco Petreio sostenne l’ira nemica, finchè cadde a terra straziato da mille colpi.
Poco tempo dopo Cesare piegava per sempre i Galli e il loro capo Vercingetorige doveva seguire in catene il carro trionfale del grande generale romano.
(U. Gaiardi)
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Per strada
Personaggi: Aulo, Licio, il pedagogo di Licio
Aulo: Amico Licio, giochiamo con la moneta?
Licio: Ce l’hai?
Aulo: Guarda. Me l’ha data il liberto Lucano, ieri, quando è venuto a casa mia.
(tira fuori una moneta)
Ha l’effige del dio Giano. Da un verso c’è la testa del dio, dall’altro una nave. Testa o nave? A te la scelta!
Licio: Nave!
Aulo: Ed io testa. Aspetta: poso in terra le mie tavolette, e poi lancio la moneta.
(posa le tavolette e lancia in aria la moneta)
Licio: Ah! E’ venuta la testa per davvero! Ho perso. Tieni.
(offre al vincitore il polpaccio della gamba; e questi giù un bel colpo con la mano)
Ahi!
Aulo: Ora sta a me scegliere. Scelgo la nave.
Licio: Io, la testa.
(Aulo lancia di nuovo la moneta)
Aulo: Ho vinto un’altra volta. E’ venuta la nave. Su, dammi la gamba ancora.
(Licio offre di nuovo la gamba; e l’altro, giù un secondo colpo con la mano)
Licio: Hai! Sembri mio padre quando frusta uno schiavo. Però ora, la moneta, la voglio lanciare io!
Aulo: No, la lancio sempre io.
Licio: Perchè?
Aulo: Perchè è mia!
Licio: Questa non è ragione giusta. Il gioco così non va bene. Potresti farmi un inganno.
Aulo: Prova a ripeterlo!
Licio: Sì, lo ripeto: mi puoi ingannare. Cesariano!
Aulo: (con disprezzo) Pompeiano!
(I due ragazzi si avvicinano per misurarsi nella lotta).
Il pegagogo di Aulo: (arrivando) Vergogna, sembrate figlioli di schiavi o di miserabili plebei. Guardate come si sciupano le vostre toghe Se non ti fermi subito, Aulo, sentirai questa sera tuo padre!
Aulo: Per Giove, staccati, Licio! Oggi l’ho già sentito abbastanza, mio padre!
Il lavoro trasforma la terra
Narratore: Nei primi anni della Repubblica, si racconta, viveva in Roma un agricoltore, padrone di un campicello, alle porte della città. I vicini lo invidiavano e, qualche volta, parlavano di lui con malignità.
Primo contadino: Un campicello miracolo, dicono… Ogni anno dà buoni raccolti.
Secondo contadino: Altro che miracoloso, amico mio, qui c’è sotto qualcosa. La pioggia scroscia, le nostre terre si allagano e il campo di Cresino resta all’asciutto…
Primo contadino: Viene la siccità, brucia tutto, e il campo di Cresino è verde e rigoglioso come a marzo
Secondo contadino: E i raccolti? Pianta uno e raccoglie venti. Sempre così, sia grano, orzo o avena.
Primo contadino: E il frutteto non lo conti? Alberi sempre carichi, mele grosse così, bianche e rosse.
Secondo contadino: Qui c’è sotto qualcosa. Arti magiche, te lo dico io!
Primo contadino: Bravo, è quel che ho sempre pensato: il vecchio la faccia di stregone ce l’ha.
Secondo contadino: E quella sua figlia spilungona che sta sempre per i campi… Canta certe nenie, tutto il giorno, china sulla zappa…
Primo contadino: Brutta faccenda. E il peggio è che non si accontentano di far prosperare le loro biade. Io temo…
Secondo contadino: Mi hai tolto la parola di bocca. Quelli hanno messo il malocchio nei nostri campi: ecco perchè, annata dopo annata, le cose vanno di male in peggio.
Primo contadino: E noi ce ne stiamo qui con le mani in mano…
Secondo contadino: Ah, no! Questa storia deve finire, e presto. Se te la senti di venire con me dal giudice trascineremo in tribunale padre e figlia.
Primo contadino: Certo che me la sento. Andiamo.
Narratore: Di lì a qualche giorno Cresino e sua figlia furono chiamati in giudizio dal magistrato, incolpati di arti magiche in danno dei vicini.
Primo contadino: Guarda là, se ne vanno al Foro sul carro trainato dai buoi…
Secondo contadino: Come se andassero alla festa…
Primo contadino: E si portano appresso l’aratro e vanghe e zappe e tridenti.
Secondo contadino: Mah… forse il vecchio è sicuro della condanna e già pensa a sloggiare.
Primo contadino: Staremo a vedere.
Narratore: Quando il magistrato lesse l’accusa, Cresino e la figlia se ne stettero fermi e zitti, senza badare ai commenti della folla di curiosi che gremiva il Foro.
Magistrato: Cresino, ora conosci le accuse: puoi parlare in tua discolpa. Sii breve e preciso.
Cresino: Voi mi accusate di stregoneria, voi dite che il mio campo prospera per le mie arti magiche… Ebbene, non tenterò di difendermi, o Romani, anzi vi svelerò il segreto: ecco qui queste mie forti braccia che mai si stancano, ecco queste mie mani callose che quando afferrano la zappa par che non vogliano più abbandonarla… Ed ecco mia figlia che dall’alba al tramonto mi sta a fianco nei campi; ed ecco i miei buoi, i più forti, i più ben curati dell’Agro Romano… ed ecco i miei strumenti, zappe, vanghe, picche, sempre risplendenti, sempre in moto. Romani, io esercito la magia del lavoro… Orsù, magistrati, riconoscete la mia colpa e punitemi come prescrivono le leggi.
Narratore: Dalla folla si alzò un grido di ammirazione. Il magistrato alzò un braccio, impose il silenzio, poi disse…
Magistrato: Cresino, le tue arti magiche sono le stesse che hanno fatto grande la nostra città: la tenacia, la perseveranza, il lavoro. Noi magistrati di Roma ci uniamo alle lodi che ha tributato il popolo.
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