Finalmente, a tarda sera, e con molta pazienza. Tobia riuscì a portare a casa il legname che gli serviva. Lavorando con impegno, dopo tre giorni la camera degli sposi era finita. Era orgoglioso soprattutto del grande lettone, che gli era riuscito proprio bene. Venne il giorno delle nozze.
Tutti gli abitanti del paese erano invitati, ed ognuno si era agghindato con i vestiti più belli che possedeva. Tutti cantarono e ballarono e si divertirono fino a tarda sera. Quando gli sposi, stanchi ma felici, entrarono nella loro nuova stanza da letto rimasero ammutoliti: il bel lettone era sparito, e al suo posto c’era solo uno strano e rigido segno. Vi lascio immaginare quale fu la loro delusione!
Non potevano sapere mentre si festeggiavano le nozze, il vecchio dal nero mantello era entrato nella stanza, aveva fissato il letto coi suoi occhi di ghiaccio, e lanciato nell’aria il suono “Llllll!”.
Così ora gli sposi dovettero dormire nella stalla. Quando Tobia seppe dell’accaduto, pensò ad uno scherzo degli gnomi, e corse nel bosco per farselo restituire. Ma gli gnomi, molto spaventati dal racconto dell’uomo, scapparono via.
Intanto le malefatte del vecchio non erano ancora finite. Nina, Berta e Pia, le tre filatrici, stavano come al solito filando la lana, come al solito brontolando perchè si sa, a loro non andava mai bene niente.
Eppure erano tanto brave, avevano proprio delle mani d’oro. Il loro capolavoro era la coperta tutta colorata che avevano preparato per gli sposi. Quel giorno dunque, stavano filando e brontolando, quando udirono bussare alla porta.
Infastidite, e credendo che fosse Bastiano, dissero: “La porta è aperta, che bisogno c’è di bussare?”. Ma non appena sulla soglia apparve il vecchio dal nero mantello, rabbrividirono terrorizzate, e ammutolirono all’istante. Il vecchio le osservò con occhi gelidi.
Fermò quindi lo sguardo su Nena che stava torcendo il filo di lana col suo grosso ditone, pronunciando il suono “Ddddd!”, e il ditone di Nena si fece sempre più freddo, finchè sparì, ed al suo posto comparve un rigido segno. Subito dopo il vecchio scomparve, lasciando le povere donne impietrite dal terrore.
Quando poco dopo entrò nella loro casa il pastore Bastiano, con un nuovo carico di lana, esse non brontolarono, non dissero nulla, tanto che Bastiano non seppe spiegarsi la causa di quel loro insolito comportamento.
Il vecchio dal mantello nero, nel frattempo, si stava dirigendo verso la casa di Domenico il vasaio che, ignaro di tutto, approfittava della splendida giornata di sole per lavorare all’aperto.
Aveva portato la creta vicino al ruscello perchè per modellarla gli serviva l’acqua. Inoltre gli piaceva stare lì per sentire il canto delle ondine e le storie che gli raccontavano. Quel giorno doveva preparare un bellissimo vaso da regalare agli sposi, e siccome gli serviva molta acqua aveva messo due secchi nel torrente per riempirli. Dopo un po’ tirò su il primo, e subito si accorse che era vuoto; prese il secondo: vuoto anche quello.
Evidentemente le ondine erano in vena di scherzare, ma Domenico, che aveva fretta, non la prese bene, le rimproverò e le pregò di lasciarlo in pace. Le birichine gli risposero spruzzandolo d’acqua dalla testa ai piedi. Poi continuarono a rincorrersi scivolando sui sassi del ruscello e mormorando allegre canzoni. Al povero Domenico non restava altro da fare che chiudersi in casa per finire il prezioso regalo per gli sposi.
Così fece, e in breve tempo il bel vaso fu finito. Soddisfatto del suo lavoro, Domenico lo portò fuori e lo adagiò sull’erba in modo che il sole lo potesse asciugare ben bene. Fu allora che con gran stupore si accorse del silenzio innaturale che regnava intorno a lui.
Il ruscello non mormorava più e l’acqua era ghiacciata; tutti gli animali e gli uccellini del bosco erano spariti. Ad un tratto vide una figura nera avvicinarsi a lui. Era il vecchio dal nero mantello, che con voce roca gli chiese: ” Vasaio Domenico, fammi entrare nella tua casa e fammi vedere il tuoi lavori più belli!”. Impaurito il pover’uomo fece entrare lo strano vecchio, che però non parve soddisfatto delle belle ciotole, dei piatti e dei vasi che Domenico gli mostrò, e ghignando cattivo uscì dalla casa.
Una volta fuori però, si accorse del grande vaso che stava asciugando al sole, e tutto soddisfatto, con i suoi occhi di ghiaccio, pronunciò il suono “Vvvvv!”, e al posto del vaso rimase un rigido segno.Domenico era pietrificato, e quando vide sparirgli sotto gli occhi il suo capolavoro, gli venne da piangere dal dolore. Intanto, come per magia, il vecchio era sparito. L’acqua del ruscello riprese a scorrere, gli uccellini e gli altri animali del bosco tornarono a cantare e a giocare allegri più che mai.
Le ondine però, che avevano visto tutto, e capito tutto, si affrettarono a correre verso la casa del mugnaio Giovanni per avvertirlo di quanto stava accadendo nel villaggio. Giunte al mulino quindi, raccontarono a Giovanni quello che era successo al vasaio Domenico, e gli consigliarono di chiudersi in casa e di non aprire la porta a nessuno, per nessun motivo. Spaventato il mugnaio sprangò l’uscio e chiuse bene tutte le finestre, e sentendosi abbastanza al sicuro, decise di riprendere il suo lavoro. Si avvicinò alla pietra che macinava il grano, ma si accorse che non si stava più muovendo.
Accostò l’orecchio alla finestra, e non udì alcun suono provenire dall’esterno, anche il mormorio dell’acqua era cessato. Attese qualche istante, poi si fece coraggio ed uscì di casa per vedere cosa stava succedendo. Grande fu il suo stupore, quando si accorse che al posto della ruota c’era un rigido segno.
Il vecchio dal nero mantello, non potendo entrare nel mulino, aveva visto la ruota, e fissandola con occhi di ghiaccio aveva pronunciato il suono “”Rrrrr!” stregandola. Il povero Giovanni non potè più lavorare senza la ruota che faceva girare la pietra della macina, e così le scorte di farina cominciarono a diminuire in modo preoccupante.
In casa del fabbro Martino, quella mattina, tutti erano felici. Attendevano con trepidazione la cicogna, che doveva regalar loro un bel bambino. Ma quel giorno la cicogna aveva tanti fagottini da consegnare, e si stava facendo attendere. Papà Martino, aiutato da Tobia il boscaiolo, aveva preparato da tempo una bella culla dove adagiare il neonato, e la mamma l’aveva ornata di pizzi e trine.
Ma quando scese la sera, la cicogna non era ancora arrivata. Tutti i familiari, un po’ delusi, pensarono di andare a dormire, convinti che per quel giorno la cicogna non sarebbe arrivata. Ma ecco che si udì bussare alla porta, e Martino naturalmente si precipitò ad aprire. Ma quanta delusione quando si accorse che non si trattava della cicogna, ma di un vecchio avvolto in un nero mantello.
“Dov’è il bambino?”, chiese il vecchio. “La cicogna deve ancora arrivare…” disse Martino un po’ esitante. Il vecchio allora fu molto contrariato, si guardò intorno, poi con occhi di ghiaccio fissò la culla, e pronunciando il suono “Ccccc!” la trasformò in un rigido segno.
Quando il vecchio dal nero mantello se ne fu andato, in casa di Martino erano tutti tanto spaventati che non osarono nemmeno andare a dormire, e attesero il nuovo giorno seduti davanti alla finestra. Alle prime luci dell’alba ecco apparire la cicogna, col suo fagottino appeso al becco. Si diresse sicura verso la casa del fabbro, depositò delicatamente il piccolo carico sul gradino dell’uscio, davanti alla porta, e volò via. La gioia dei genitori fu tale, che dimenticarono immediatamente tutto quello che era successo durante la notte, e adagiarono la loro creatura nel loro grande letto.
Così neppure la notte dopo riuscirono a dormire, un po’ perchè non si stancavano mai di guardare e coccolare il piccolino, un po’ per il miagolare continuo del gatto Girolamo, che si aggirava quella notte per lestrade del villaggio a caccia di topi. Il gatto aveva molta fame, ma i topi erano molto furbi.
Doveva escogitare qualcosa. Ad un tratto, si ricordò della casa del pastore Bastiano, e del formaggio che teneva a stagionare nel sottoscala. Così andò a nascondersi lì, in agguato.
Dopo un po’ vide finalmente uscire da un buchino la famiglia Rosicchioni al gran completo, in fila indiana: prima il padre, poi la madre, e dietro i sette figli. I piccoli fecero un po’ di rumore, e il papà li sgridò: continuando a quel modo avrebbero svegliato Bastiano, che sarebbe corso nel sottoscala con la scopa e… addio formaggio!
Poveri Rosicchioni, non sospettavano che il vero pericolo stava proprio nascosto lì, dietro una bella forma di formaggio, che mandava anche un odorino così invitante.
I topi si diressero proprio lì. Allora Girolamo fece un gran balzo e cercò di afferrare più topi che poteva ma loro, furbi e velocissimi, cominciarono a correre all’impazzata in ogni direzione, creando una confusione indescrivibile, poi riuscirono tutti a trovare la strada per il buco che conduceva alla loro casetta.
Girolamo, rimasto a bocca asciutta, rimase a lungo davanti a quel buco, poi si rassegnò all’idea che quella sera i Rosicchioni non si sarebbero di certo azzardati ad uscire di nuovo da quel buco.
La strada era illuminata da una bella e tonda luna, ed il povero gatto passeggiava anvanti e indietro, senza però trovare niente da mettere sotto i denti.
Ad un certo punto la bestiola cominciò a sentir freddo, sempre più freddo, finchè rimase paralizzata. Il vecchio dal nero mantello stava proprio dietro di lui, e pronunciando il suono “Ggggg!” lo fissava coi suoi occhi di ghiaccio. Del gatto rimase solo un rigido segno.
All’imbrunire del giorno dopo, mentre Orazio si apprestava a prepararsi la cena, sentì il richiamo delle sue amiche api. Lo stavano avvertendo che il miele era pronto.
Bisognava vuotare le cellette delle arnie, altrimenti il giorno dopo i laboriosi insetti non avrebbero saputo dopo depositare il nuovo nettare. Orazio spense il fuoco,prese il recipiente per raccogliere il miele, e si diresse allegramente verso le casette delle api. Ad un tratto udì qualcosa strisciare nell’erba.
Guardò attentamente tra i fili d’erba, e tra il verde scorse Sibilo il serpente. Ogni volta che Orazio andava a raccogliere il miele, Sibilo usciva dalla sua tana perchè era molto goloso. Velocemente Orazio tornò in casa, depose il recipiente e prese un bastone, poi corse di nuovo fuori e si mise a chiamare aiuto.
Tutti gli abitanti del villaggio accorsero, anche loro armati di bastoni, e facendo un gran rumore riuscirono a mettere Sibilo in fuga. Il vecchio dal nero mantello si era nel frattempo diretto verso il bosco.disegno di Pietro SquarzonCamminava a testa bassa borbottando fra sè cose incomprensibili, quando vide arrivare il serpente Sibilo, in fuga dal villaggio.
Il vecchio non tardò molto a raggiungerlo, poi lo guardò coi suoi occhi di ghiaccio e pronunciando il suono “Sssss!” lo stregò trasformandolo in un rigido segno.
Soddisfatto del suo operato proseguì il suo cammino. Il tempo intanto scorreva, s’era già ad ottobre ed era ormai tempo di vendemmia. Tutti gli abitanti del villaggio di erano riuniti, ben organizzati tra loro per procedere alla raccolta dell’uva.
Mettevano i grossi succulenti grappoli nelle ceste e le portavano, formando lunghe file, a casa del vinaio Giacomo. Il lavoro era faticoso, ma lo facevano con grande allegria, cantando le canzoni tradizionali e scherzando tra loro.
Depositavano l’uva in una grande stanza, poi Giacomo la metteva nel grande tino per pigiarla. Questo genere di lavoro piaceva moltissimo al buon Giacomo che tra l’odore dell’uva pestata e gli assaggini che faceva ogni tanto, ben presto era brillo, ed i suoi occhi non erano più in grado di mettere a fuoco quello che vedeva.
Venne la sera, la vendemmia era terminata da poche ore, e tutti si erano ritirati nelle proprie case, stanchi e soddisfatti. Giacomo, nonostante fosse buio, continuava a pigiare al lume della candela, canticchiando brillo nel tino.
Ad un tratto il vecchio dal nero mantello gli comparve davanti. Giacomo ormai ci vedeva doppio, e non solo non si spaventò, ma anzi lo invitò a bere un bicchierino con lui.
Il vecchio si infuriò terribilmente: nessuno fino ad ora aveva osato deriderlo, e senza perdere tempo guardò in alto, pronunciò il suono “Ttttt!” e immediatamente il tetto della casa sparì, ed al suo posto non rimase che un rigido segno. Dopo qualche istante nel cielo si addensarono grossi nuvoloni neri e scoppiò un forte temporale, seguito da un violento acquazzone.
L’acqua entrò nella stanza tetto, minacciando di rovinare in modo irreparabile anche il buon mosto nel tino, e Giacomo quella notte, per poter dormire all’asciutto, dovette mettersi sotto al letto.
Il giorno seguente, verso l’imbrunire, il dottor Alchemio rientrò in casa con la gerla colma di erbe medicinali, e trovò ad attenderlo il vecchio dal nero mantello.
Nonostante la sensazione di disagio, Alchemio lo invitò a seder con lui davanti al caminetto. Si accese la pipa ed offrì all’uomo dello sciroppo d’erbe. Cercò di essere il più possibile ospitale, mostrandogli la sua collezione di pipe, ma il vecchio dal nero mantello rimase freddo e distaccato.
Poi, mentre Alchemio fumava, fissò la pipa con occhi di ghiaccio e pronunciò il suono “Pppp!” e al suo posto comparve un rigido segno.
Qualche giorno dopo, un mattino all’alba, il pastore Bastiano si stava incamminando col suo gregge verso i pascoli di montagna. Notò che l’aria era più fredda del solito, e cosa molto strana, i cani ululavano ed il gregge era molto inquieto.
Proseguì per la salita, ma dopo un po’ non fu più in grado di proseguire: il gregge si rifiutava di andare avanti e i cani scapparono via, ritornando al villaggio. Senza dubbio stava per accadere qualcosa di terribile.
Il pastore decise di proseguire da solo, e si inoltrò nel folto della vegetazione, sperando che le creature del bosco fossero in grado di spiegargli cosa stava succedendo, ma il bosco era deserto, silenzioso, freddo.
Bastiano si fermò in preda allo smarrimento, volse lo sguardo verso le cime dei monti, e scorse in lontananza una figura nera.
Poi un suono agghiacciane attraversò l’aria: “Mmmm!”. All’istante le cime delle montagne sparirono e restò soltanto il loro profilo, un rigido segno. Il povero pastore corse più veloce che potè in direzione del villaggio, e arrivato a casa, vi si chiuse dentro, sbarrando la porta con un solido catenaccio.
A questo punto tutti gli abitanti del villaggio, sconvolti, decisero di andare a chiedere aiuto al saggio Alchemio, ma quando giunsero nella casa del Dottore persero ogni speranza: anche lui era stato vittima del vecchio dal nero mantello. Ognuno tornò alla propria casa con il cuore colmo di tristezza e rassegnazione.
Ma su nel cielo le stelle, che da tempo si erano accorte di quanto stava accadendo nel piccolo villaggio, decisero di intervenire. Alle prime luci dell’alba, una musica dolcissima svegliò il paese, e una luce dorata lo avvolse. All’orizzonte comparve un cavaliere in groppa ad un bianco destriero.
Con i visi ancora assonnati, gli abitanti gli corsero incontro, come attratti verso di lui da una forza misteriosa. Dapprima timorosi, poi sempre più decisi, gli raccontarono i tragici avvenimenti da loro vissuti in quei giorni. Il cavaliere sorrise, e quel sorriso dolce riscaldò gli animi si nuova speranza.
Egli volse lo sguardo verso il rigido segno che aveva stregato le montagne, e con ampio gesto della mano tracciò nell’aria la parola “Montagna”: magicamente le montagne riapparvero alte e maestose come prima.
Un brivido di gioia percorse gli animi degli abitanti del villaggio, mentre una nuova luce illuminava le loro menti.
Il cavaliere si recò di casa in casa, e per ogni oggetto stregato ripetè il rituale, mentre tutti lo seguivano con devoto entusiasmo.
Oramai avevano capito: i rigidi segni potevano essere compresi, e rinascere nelle parole. L’incantesimo era vinto.