IL POLO NORD: dettati ortografici, letture e altro materiale didattico per bambini della scuola primaria.
IL POLO NORD: La costruzione di un igloo
Lavorando con abilità e precisione Ernenek, un eschimese, si mise a costruire un igloo. Inarcandosi contro la bufera, con la punta del coltello tracciò sulla banchisa un cerchio largo quanto egli era alto. Poi, rimanendo entro questo cerchio, con la mandibola di squalo che aveva a bordo, segò grossi cubi di ghiaccio che depose attorno a sé sulla linea tracciata. Erigendo e scavando contemporaneamente, tagliò di sotto ai propri piedi altri cubi e li sovrappose in spirali che andavano man mano restringendosi, finché un blocco solo bastò per suggellare la volta. Intanto Asiak, sua moglie, al di fuori, sferzata dal vento, riduceva il nevischio in polvere sottile con la pala di cuoio gelato e lo gettava contro la parete dell’igloo crescente, otturandone le fessure fra un blocco e l’altro.
L’igloo terminato sporgeva di un metro appena dalla superficie dell’oceano sferico e compatto per non offrire presa alla bufera; il resto era affondato nella banchisa.
Al centro del soffitto Ernenek praticò un piccolo foro per il fumo, costruì il sofà di neve, poi il tunnel sinuoso che permetteva l’accesso all’aria, ma non al vento, e capace di albergare la muta di cani. Mentre Asiak trascinava in casa provviste ed utensili domestici e ricopriva il sofà con pelli di caribù, egli uscì per seppellire la slitta. Poi rientrò, battendosi con cura la neve di dosso.
Nel buio accesero la lanterna, diedero fuoco all’esca di funghi secchi per mezzo della selce ed accesero lo stoppino di muschio. Man mano che il grasso di balena di liquefaceva nel vaso, la fiamma cresceva, facendo luccicare la parete circolare e diffondendo calore.
Con due fiocine conficcate nella parete sopra la lucerna, improvvisarono un asciugatoio sul quale stesero i loro vestiti esterni, che erano bagnati. Si tolsero gli stivaloni maceri e spaccati, li asciugarono e li ripararono con l’ago di balena che portavano tra i capelli e con nervo di caribù.
L’asciugatoio, la lampada, il mucchio di carne, la pietra focaia, il blocco di neve potabile e tutte le altre masserizie erano disposti secondo un ordine più antico della storia, tramandato dalla notte dei tempi di padre in figlio; ogni oggetto a portata di mano, perchè lo si potesse trovare facilmente anche al buio e perchè si potessero compiere tutte le faccende senza abbandonare il sofà. Questo igloo era identico all’igloo che avevano lasciato e al loro igloo a venire, e tutti gli arnesi erano fatti sulla sua misura. La scure di selce era corta e il coltello d’uso domestico, d’osso di caribù, era circolare, così da richiedere solo un movimento del polso anziché del gomito, che sarebbe stato imbarazzante in un ambiente tanto ristretto.
Ora c’erano cento cose da fare: la lanterna era da pulire regolarmente perchè non facesse fumo, gli indumenti sull’asciugatoio dovevano essere rivoltati di continuo, gli strappi andavano riparati e le pelli, una volta asciutte, andavano raschiate e masticate finché riacquistassero la loro morbidezza.
(Hans Ruesch)
IL POLO NORD: Viaggio sulla banchisa
Il freddo induriva lo strato di grasso sui visi e il fiato si condensava in piccoli ghiaccioli intorno alle narici e alle ciglia; quando sputavano, la saliva si congelava a mezz’aria e se ne udiva il ticchettio sulla banchisa. Appena notavano che la punta del naso o delle dita avevano perduto sensibilità, saltavano giù dalla slitta e trottavano finché si fossero riscaldati. Solo Papik, il bambino, intabarrato nella giubba della madre Asiak, solidamente legato contro il dorso di lei, godeva del tepore del corpo materno.
Sonnecchiavano a turno in piena corsa; solo quando la muta dava segni di stanchezza Ernenek ordinava al capofila di fermarsi e gettava l’ancora.
Approfittava della sosta per scaricare la slitta e per pescare. Era impossibile portare provviste sufficienti per tante bocche in un viaggio così lungo ed era necessario procacciarsi il cibo cammin facendo. Ciò non era facile d’inverno. Soltanto in vicinanza dei promontori e intorno agli iceberg la crosta gelata era meno spessa, abbastanza sottile per essere segata, poi occorreva molta pazienza e un gran chiaro di luna per riuscire a trafiggere qualche trota color sangue o qualche salmone color sole.
Intanto i cani si raggomitolavano dove si erano fermati e in breve tempo non erano che piccoli cumuli di brina. Ogni tanto al risveglio Ernenek sminuzzava loro un po’ di carne o di pesce gelato a gran colpi di scure ed essi afferravano al volo le schegge e le inghiottivano senza curarsi di masticare le ossa e le lische; ma per evitare che impigrissero non venivano mai nutriti a sazietà, e infatti tiravano sempre di gran lena, con le code in alto.
D’inverno, il cielo, spazzato dalla gelida tramontana, era quasi sempre terso, e sotto la volta scintillante di astri, fra cui la Stella Polare splendeva centrale e suprema, l’aria era fragrante di ossigeno. Il litorale, che non si doveva mai perdere di vista, era allora nettamente stagliato nel cielo sfolgorante e la terraferma e le isole gettavano ombre d’un blu intenso nel paesaggio spettrale di madreperla.
Talvolta si sentiva il ghiaccio fremere o fendersi per i moti del mare sottostante, e allora Ernenek si teneva pronto a frenare la muta. Se i crepacci, in cui si udiva gorgogliare l’acqua, erano stretti, la muta li superava d’un balzo e la slitta proseguiva senza difficoltà; ma se erano troppo larghi bisognava costeggiarli, a volte per tratti lunghissimi, prima di riprendere la rotta.
(Hans Ruesch)
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