Paolaccio LEGGENDA DEL MOLISE
LEGGENDE ITALIANE
Paolaccio LEGGENDA DEL MOLISE
Paolaccio era un vagabondo senza parenti, senza amici e senza neppure un angolo di casa. Ma se lo meritava, perchè voglia di lavorare non ne aveva e, per di più, non faceva che imprecare e dimostrarsi tanto malvagio da attirarsi solo l’antipatia e il disprezzo di tutti. Pareva che nei suoi occhi ardesse sempre una luce cattiva, e chi lo vedeva girava al largo.
Una notte, mentre dormiva in un campo, vicino a Termoli, Paolaccio venne svegliato da una voce che ripeteva il suo nome. Al che lo fissava curiosamente.
“Chi diavolo sei?” chiese.
“Lo hai detto, sono proprio il diavolo. Sono venuto a proporti un patto”.
Paolaccio non si impressionò.
“Di che si tratta?” chiese di malanimo.
“Vuoi diventare ricco?” chiese a sua volta il diavolo.
“Se lo voglio? Non chiedo di meglio. E che dovrei fare in cambio?”
“Non devi fare nulla. Devi darmi solo la tua anima”
“Per questo ci sto” disse Paolaccio “Che me ne faccio dell’anima? Ma dimmi: come avrò le ricchezze?”
“Prima firma il patto e poi te lo dirò” rispose Belzebù.
Paolaccio, che non sapeva scrivere, fece una crocetta sul foglio.
“Bene” gongolò il demonio, “Ed ora stai a sentire. La vedi quella rete? Ti servirà per pescare”
“Bella roba!” esclamò Paolaccio “Come se i pesci dessero la ricchezza!”
“I pesci che ti farò pescare io, sì” proseguì il diavolo “Sono pesci bianchi e rosei che hanno una specialità: quella di inghiottire i tesori accumulati nelle navi sommerse: gemme stupende, monete d’oro e altre rarità. Sono pesci che stanno al mio servizio, pronti a farsi pescare dai miei protetti. Tu ora lo sei e quindi puoi pescarne quanti ne vuoi. Dovrai soltanto dire, immergendo la rete:
“Fortuna, vieni su:
te l’ordino nel nome
del grande Belzebù”
Paolaccio non lasciò passare la notte. Subito si avviò verso gli scogli e trasse a riva con la rete un’infinità di quei pesci biancorosei. Erano tutti pesantissimi e Paolaccio, apertili uno ad uno, accumulò in un batter d’occhio smeraldi, rubini, brillanti ed oggetti d’oro che sfavillavano con mille luci al chiarore delle stelle.
“Questa sì che è una ricchezza!” gongolava Paolaccio, non stancandosi di immergere le mani in quel tesoro.
Da quel giorno ebbe inizio per Paolaccio un’altra vita. Si comprò un palazzo principesco, si vestì da gran signore e cominciò a dare feste sfarzose, circondandosi di ogni lusso. Inutile dire che in un lampo ebbe amici a non finire, gente che lo cercava, lo ossequiava, lo lodava. Paolaccio era generoso con tutti, spandeva doni a destra e a sinistra, e ad ogni elogio che riceveva era convinto di essere diventato un grand’uomo.
Tutto dunque procedeva a meraviglia, senonchè un giorno, un brutto giorno, capitò al palazzo, che era in piena festa, uno strano individuo. Era un essere macilento, vestito di stracci, proprio fuor di posto in mezzo a tanto splendore. Ma Paolaccio lo riconobbe subito, e fattosi largo tra la folla gli si avvicinò.
“Che sei venuto a fare, qui?” gli chiese con sgomento.
“Lo sai” rispose Belzebù, “Sono venuto per il nostro contratto che, per l’appunto, scade oggi…”
“Vattene” supplicò Paolaccio colmo di terrore, “Vattene via, lasciami!”
“Eh, caro mio! Non posso. I patti sono patti. Io ti ho dato la ricchezza, tu te la sei goduta, ed ora è tempo che tu mi dia la tua anima”.
In quello stesso istante un boato terribile fece tremare il palazzo e Paolaccio cadde morto.
Qualcuno dirà: ma quei pesci biancorosei esistono veramente? Pare di sì. Molti pescatori li hanno visti. Dicono, però, che bisogna accontentarsi di guardarli da lontano perchè sono creature del demonio e non portano che male.