Osservazioni sul linguaggio nella scuola d’infanzia
Nella scuola d’infanzia, che in ambito montessoriano è detta “Casa dei bambini”, i bambini si costruiscono un vocabolario piuttosto ricco; compongono in forma scritta, con le lettere smerigliate e con gli alfabeti mobili, i loro pensieri, sentimenti, idee, rendendoli visibili agli altri; scoprono cosa pensano gli altri leggendo le composizioni dei compagni; scrivono sui cartellini le loro prime frasi, imparano a leggere frasi.
Nella scuola primaria, la conoscenza innata del linguaggio diventa consapevole, e gradualmente il bambino impara come funziona la lingua. Un modo concreto per esplorare la lingua è l’analisi grammaticale; questa attività mostra al bambino che la lingua segue delle leggi, è un qualcosa di internamente strutturato ed ordinato.
Il bambino arriva nella Casa di bambini con un linguaggio formato, ed è compito dell’insegnante dargli le chiavi che gli permetteranno di usare questo linguaggio per esplorare il mondo da un punto di vista sensoriale. Basandosi su ciò che il bambino ha acquisito inconsciamente negli anni precedenti, l’insegnante focalizza la sua attenzione su alcuni punti particolari. Fatto questo, il linguaggio del bambino continua a svilupparsi da sé, e diventa sempre più funzionale.
Prima dell’ingresso nella scuola d’infanzia, il linguaggio del bambino si è sviluppato nel periodo della mente assorbente, durante il periodo sensibile per la lingua, in risposta al bisogno di comunicare, esplorare, far parte del gruppo. Questo apprendimento è derivato direttamente dagli stimoli che ha ricevuto dall’ambiente. Il bambino ha la capacità innata di acquisire il linguaggio a cui è esposto, e lo fa coinvolgendo gli organi di senso, il sistema nervoso centrale, la laringe, il diaframma ed i muscoli intercostali, i muscoli della bocca e del viso; tutti questi elementi ha un proprio ruolo, infatti, nella produzione del linguaggio.
Nei destrimani l’emisfero destro governa l’attenzione al linguaggio umano, la pronuncia, la ricerca di associazioni e significati del lessico e della sintassi, mentre l’emisfero sinistro si occupa dell’intonazione e del ritmo. Le aree cerebrali deputate alla produzione linguaggio coordinano il tutto. Ma mentre queste aree esistono fin dalla nascita, i bambini hanno bisogno di essere stimolati dall’ambiente per imparare a renderle funzionali.
Osservazioni sul linguaggio nella scuola d’infanzia
Il bambino molto piccolo acquisisce una grande quantità di elementi linguistici passivamente, attraverso la mente assorbente. Inconsciamente si sforza di imitare il comportamento delle persone che lo circondano. Per questo ha bisogno di sentire attorno a sé un linguaggio ricco e chiaro. Rinforza i muscoli della fonazione producendo i primi suoni.
Le basi dell’acquisizione del linguaggio sono universali e si possono sintetizzare in due fasi:
- Fase prelinguistica (da 20 settimane a un anno di età)
- Fase linguistica (da 1 a 3 anni di età).
Nella comunicazione orale, il bambino non riceve singole parole, ma parole in relazione tra loro. L’attività del bambino nei primi due anni e mezzo di vita è orientata a formare la lingua orale. Il suo orecchio è attratto dai suoni prodotti dagli esseri umani, che egli è in grado di distinguere da tutti gli altri suoni dell’ambiente. A tre mesi i bambini girano la testa verso le voci che sentono, mentre a sei mesi comincia la produzione di suoni sillabici che preparano i muscoli a parlare la lingua madre. Questa capacità permette al bambino di prendere ciò che gli è necessario per fissare la propria lingua.
In classe si dovrebbe incoraggiare l’espressione spontanea. Si devono creare opportunità per i bambini di parlare con gli altri e portare avanti conversazioni. Ciò non deve avvenire con lezioni di gruppo o presentazioni. Dovrebbe avvenire naturalmente.
Ciò che il bambino dice deve essere ascoltato con attenzione, questo lo incoraggia a parlare e ad esprimersi ed alimenta la sua fiducia nelle proprie capacità. L’adulto è il suo interprete, e gli fornisce le parole che cerca.
I bambini devono essere esposti a un linguaggio chiaro, ricco e preciso. Bisogna rivolgersi ai bambini come ci si rivolge agli adulti, trattandoli come membri paritari del gruppo. Questo stimola la loro tendenza alla comunicazione ed alla socialità.
Per potersi esprimere, il bambino deve sentirsi al sicuro, rispettato e valorizzato.
Nello sviluppo del linguaggio del bambino, l’adulto è uno “strumento di sviluppo”. Il bambino deve sentirsi libero di parlare, e l’adulto deve rispondere adeguatamente alle sue domande e stimolare la comunicazione con i suoi coetanei. Altro compito dell’adulto è collegare il bambino all’ambiente che lo circonda, nominandoli anche durante gli esercizi di vita pratica e l’uso del materiale sensoriale. Questo linguaggio verrà poi utilizzato per le attività di lettura e scrittura.
Gli esercizi sensoriali costituiscono una sorta di autoeducazione che, se ripetuti, portano a un perfezionamento dei processi psicosensoriali del bambino. L’insegnante interviene per portare il bambino dalla sensazione all’idea, dal concreto all’astratto, e all’associazione di idee. Per fare questo userà un metodo che tende ad isolare l’attenzione interiore del bambino e a fissarla sulle percezioni, come nelle prime lezioni la sua attenzione era fissata, attraverso l’isolamento, su singoli stimoli.
L’insegnante, in altre parole, quando dà una lezione deve cercare di limitare la gamma di conoscenze del bambino all’oggetto della lezione, come ad esempio, durante la lezioni di educazione sensoriale isolava il senso che voleva far esercitare al bambino.
Per questo, deve conoscere una speciale tecnica. L’educatore deve, per quanto possibile, limitare il suo intervento, ma non deve per questo permettere al bambino di sottoporsi ad uno sforzo eccessivo di autoeducazione.
Una parte fondamentale del lavoro del maestro è quello di insegnare una nomenclatura esatta. Egli deve pronunciare i nomi e gli aggettivi necessari senza aggiungere altro. Queste parole si dovrebbero pronunciare distintamente, con voce forte e chiara, in modo che i vari suoni che compongono la parola possano essere distinti e chiaramente percepiti dal bambino.
Così, ad esempio, toccando le carte del liscio-ruvido dovrebbe dire: “Questo è liscio. Questo è ruvido.”, ripetendo le parole con diverse modulazioni di voce, sempre lasciando che il tono sia chiaro e l’enunciazione distinta: “Liscio, liscio, ruvido, ruvido”.
Allo stesso modo, quando si trattano le sensazioni di calore-freddo con le scaldine, dirà: “Questo è freddo. Questo è caldo. Questo è ghiacciato. Questo è tiepido.”. Può quindi usare i termini generici ‘caldo’, più caldo, meno caldo, ecc…
La lezione di nomenclatura deve consistere semplicemente nel provocare l’associazione del nome con l’oggetto, o con l’idea astratta che il nome rappresenta. Così l’oggetto e il nome si uniscono e vengono ricevuti insieme dalla mente del bambino, e questo non rende necessario l’aggiunta di altre parole. L’insegnante deve sempre verificare se la sua lezione ha raggiunto il fine che si proponeva nel campo della nomenclatura. La prima prova è quella di verificare che il nome è associato all’oggetto nella mente del bambino. Dopo un certo tempo di silenzio quindi si può chiedere al bambino, pronunciando lentamente e in modo molto chiaro il nome o l’aggettivo insegnato: “Qual è liscio? Qual è ruvido?”. Il bambino indicherà l’oggetto col dito, e l’insegnante saprà se ha fatto l’associazione corretta. Se non l’ha fatta, non lo deve correggere, ma deve sospendere la sua lezione, per riprenderla un altro giorno. Infatti, perché correggerlo? Se il bambino non è riuscito ad associare il nome con l’oggetto, l’unico modo per riuscirci è ripetere un altro giorno l’azione degli stimoli sensoriali associati al nome.
Se il bambino non è riuscito, sappiamo che in quel momento non era pronto per farlo. Se lo correggessimo dicendo “no, hai fatto un errore” tutte queste parole avrebbero più forza delle parole da imparare, ritardando l’apprendimento.
Al contrario, il silenzio che segue l’errore lascia il campo libero per una lezione successiva nella quale egli potrà eseguire correttamente il suo compito. Correggendolo si porterebbe il bambino a fare uno sforzo innaturale di memoria non dovuto, e lo si potrebbe scoraggiare.
Infine, se il bambino non ha commesso alcun errore, l’insegnante come terza parte della lezione provocherà l’attività motoria corrispondente all’idea dell’oggetto, cioè in questo caso la pronuncia del nome. Chiederà: com’è questo? E il bambino risponderà: ruvido. Se la pronuncia presenta difetti, l’insegnante potrà ripetere senza aggiungere nulla, dopo un respiro profondo, la parola, scandendola molto bene.
Per quanto riguarda la generalizzazione delle idee ricevute, cioè l’applicare l’idea all’ambiente, questa non deve avvenire in tempi brevi, e dovrebbe avvenire in modo spontaneo, non attraverso lezioni. Ci saranno bambini che, dopo aver toccato un paio di volte le stoffe o le carte del liscio-ruvido, cominceranno a toccare spontaneamente le varie superfici ripetendo: “liscio… ruvido… questo è velluto…”. Dobbiamo attendere questa indagine spontanea nei bambini, questa esplosione volontaria di attività. Così i bambini sperimentano la gioia della scoperta, e si faranno spontanei esploratori.
L’insegnante deve avere grande cura e capire quando e come il bambino arriva a queste generalizzazioni di idee. Il più grande trionfo del nostro metodo educativo dovrebbe sempre essere questo: osservare lo stato di avanzamento spontaneo del bambino.
Così abbiamo la prova del progresso intellettuale del bambino. Non possiamo creare osservatori dicendo “osserva”, ma dando loro i poteri ed i mezzi per questa osservazione, e questi mezzi provengono dall’educazione dei sensi. Una volta che abbiamo suscitato tale attività, l’autoeducazione è assicurata.
Il nostro scopo educativo coi bambini molto piccoli deve essere quello di favorire lo sviluppo spontaneo della personalità mentale, spirituale e fisica, e non di farne un individuo colto nel senso comune della parola.
Così, dopo aver offerto al bambino un materiale didattico che ha provocato lo sviluppo dei sensi, dobbiamo aspettare che questa attività spontanea di osservazione si sviluppi. Qui sta l’arte dell’educatore: saper misurare i suoi eventuali interventi, limitandoli il più possibile.
Alcuni giochi possono aiutare a rispettare questo principio.
Uno dei giochi di maggior successo è “il gioco del cieco”, che consiste nel manipolare il materiale sensoriale, dopo che è ben noto al bambino, con gli occhi bendati. Ad esempio, una volta che il bambino ha imparato la nomenclatura (velluto, cotone, lino, ecc…), bendiamo il bambino e gli offriamo le storie una ad una.
Si richiama l’attenzione del bambino su tutti gli oggetti, in aula, in giardino, durante le passeggiate. Gli aggettivi arricchiscono il vocabolario del bambino e lo aiutano a fare classificazioni nell’ambiente che lo circonda. Un altro importante lavoro è quello che si svolge con le lezioni di buone maniere e gentilezza, che offrono il codice che si usa nella vita sociale con espressioni come per favore, mi dispiace, scusi, posso, le espressioni di saluto, ecc…
Gli esercizi di nomenclatura sono fondamentali. Possono riguardare:
– Dimensioni: la maestra, dopo che il bambino ha giocato a lungo con gli incastri solidi, estrae tutti i cilindri di uguale altezza e li pone in una posizione orizzontale sul tavolo, uno accanto all’altro. Poi seleziona i due estremi, dicendo : questo è il più grosso, questo è il più sottile. Mette fianco a fianco in modo che il confronto sia più marcato, e poi li confronta richiamando l’attenzione sulla grande differenza che hanno. Poi li pone di nuovo uno accanto all’altro in un ordine di posizionamento verticale per mostrare che sono uguali in altezza, e ripete più volte grosso, sottile. Dopo aver fatto questo chiederà: dammi il più grosso, dammi il più sottile, e alla fine chiederà com’è questo? Le due qualità possono anche essere graduate, ad esempio prendendo un elemento e chiedendo: mi porteresti un pezzo un po’ più sottile di questo, il più grosso di tutti, il più piccolo di tutti, ecc… insegnamenti simili possono essere dati con la scala marrone, la torre rosa e le aste delle lunghezze e numeriche. I prismi marroni sono spessi e sottili e di pari lunghezza. Le aste sono lunghe o corte a parità di spessore, i cubi sono grandi o piccoli…
– forma: si comincia con due forme contrastanti, ad esempio quadrato e cerchio. Non insegniamo tutti i nomi relativi alle figure geometriche, ma solo le forme più familiari. Richiamiamo l’attenzione sul fatto che ci sono rettangoli stretti e lunghi, altri larghi e corti, mentre i quadrati sono uguali da tutti i lati e possono essere grandi o piccoli, come i cerchi. Non facciamo geometria, ma diamo al bambino gli strumenti per riconoscere le forme nell’ambiente, in porte e finestre, e molti oggetti di uso comune. Questo meglio con le figure piane che non con i solidi.
Uno strumento fondamentale per la costruzione del lessico sono poi le carte delle nomenclature classificate. Si mostrano al bambino immagini di oggetti e si abbinano al loro nome. Poi queste carte vengono classificate: ad esempio la casa, il bagno, la camera da letto, le piante, gli animali, gli artisti, i climi, le regioni, ecc…
Tenendo sempre in considerazione l’età e gli interessi del bambino, si leggono ai bambini racconti e poesie.
Si insegnano anche canzoni semplici, con testi che si riferiscono preferibilmente alla vita reale.
Lo sviluppo di buone competenze verbali rende più semplice l’apprendimento della lettura e della scrittura, ma tale sviluppo deve progredire di pari passo con quello delle abilità motorie e di coordinazione.
Questo sviluppo viene coltivato attraverso gli esercizi di vita pratica e l’uso del materiale sensoriale, che insegnano a coordinare i movimenti, discriminare le forme, controllare la leggerezza del tocco, e stimolano la forza di volontà, la capacità di concentrazione, di lavorare in modo indipendente, di prendere decisioni.
L’apprendimento della scrittura comincia con le lettere smerigliate, che gli forniscono la chiave di questo linguaggio: l’alfabeto. Il lavoro con le lettere smerigliate non è né un lavoro di lettura né di scrittura: semplicemente aiuta il bambino a comprendere che il linguaggio che si parla e si ascolta, può anche essere visto. Le lettere smerigliate hanno una duplice funzione: aiutano il bambino a sviluppare la capacità mentale di usare il linguaggio, e aiutano l’abilità manuale richiesta per poterlo scrivere.
La scrittura è il mezzo che consente di registrare i pensieri e di trasmetterli nel tempo e nello spazio. Come il linguaggio verbale, anche la scrittura è un’espressione di sé, e richiede fiducia, desiderio di comunicare, conoscenza dei contenuti.
La lettura si sviluppa contemporaneamente alla scrittura. Quando presentiamo una lettera, il bambino fissa l’immagine della lettera col senso visivo e tattile-muscolare. Ad essa però si associa anche il suono relativo, quindi il bambino quando vede e riconosce sta leggendo, e quando traccia sta scrivendo.
La sua mente riceve gli strumenti necessari per i processi di lettura e scrittura. Insegnando questi due atti fusi tra loro, mettiamo il bambino di fronte ad una nuova forma di linguaggio. Non importa che il bambino impari prima a leggere o prima a scrivere. Le differenze individuali in questo campo sono notevoli.
Quando il bambino arriva alla fase di composizione delle parole, lo fa con i primi alfabeti mobili, dai caratteri grandi, con le vocali rosse e le consonanti blu.
Non appena il bambino conosce alcune vocali e delle consonanti gli mettiamo davanti l’alfabetario e pronunciamo molto chiaramente una parola, ad esempio ‘mamma’ scandendo bene più volte. Il bambino compone la parola prendendo le lettere in base ai suoni che sente.
Ma la lettura della parola che ha composto non è così facile. Anzi, di solito riesce a leggerla solo dopo un certo sforzo. In questo caso aiutiamo il bambino leggendo la parola con lui un paio di volte, pronunciando sempre molto distintamente “mamma”.
Ma una volta che ha compreso il meccanismo del gioco, egli va avanti da solo, e si interessa intensamente a questa attività. Possiamo pronunciare qualsiasi parola, facendo attenzione solo a che il bambino capisca separatamente le lettere di cui si compone. Compone la nuova parola ponendo uno dopo l’altro i segni corrispondenti ai suoni.
Anche se il bambino è in grado di comporre qualsiasi parola, se pronunciata chiaramente, generalmente è meglio dettare solo parole che siano a lui ben note, dato che vogliamo che la sua composizione sia legata ad un’idea. Quando usiamo parole familiari, egli rilegge spontaneamente la parola che ha composto, ripetendo i suoni.
La parola pronunciata è un problema da risolvere, ed egli lo affronterà ricordando i segni, selezionandoli tra gli altri, e disponendoli nell’ordine corretto. Avrà poi la prova della soluzione esatta al problema quando rilegge la parola che ha composto, e che rappresenta per tutti quelli che sanno leggerla, un’idea. Quando il bambino sente un altro che legge la parola che ha composto, è soddisfatto e orgoglioso. È colpito da questa corrispondenza: la lingua scritta rappresenta per lui la massima realizzazione raggiunta dalla sua intelligenza, ed è allo stesso tempo un premio.
Infine, terminato l’esercizio, il bambino rimette ogni lettera al suo posto nella scatola dell’alfabeto, cercando il vano di ognuna.
Presto il bambino sentendo la parola o pensando a una parola che già conosce, la vedrà con gli occhi della mente e riprodurrà questa visione.
Gli atti psicofisici che si uniscono per creare la lettura e la scrittura vengono elaborati separatamente e con attenzione. I movimenti muscolari necessari alla scrittura sono preparati a parte, e lo stesso vale per la manipolazione dello strumento di scrittura. La composizione delle parole, anche, è ridotto ad un meccanismo psichico di associazione tra le immagini sentite e viste. Prima o poi queste abilità meccaniche porteranno ad un’esplosione spontanea della scrittura.
Quando il bambino sta scrivendo, sta lavorando con la propria lingua, la sta rendendo visibile. Quando legge sta lavorando ad una lingua nuova e sconosciuta.
Il bambino scoprirà la lettura solo nel periodo sensibile, che va tra i 3 e i 4 anni e mezzo o 5, se preparato a farlo. Se questo periodo è passato, bisogna invece insegnargli il meccanismo partendo dalla lettura per arrivare alla scrittura.
Insieme al lavoro con le lettere, i bambini utilizzano gli incastri metallici, come ultima preparazione alla scrittura.
Per quanto riguarda la lettura, i bambini possono fare due scoperte. Prima di tutto, scoprono che alcune parole sono semplici da leggere, perché ogni singola lettera rappresenta un suono. In secondo luogo scoprono che altri suoni, invece, hanno bisogno di più due o tre lettere, e non di una sola.
In questa fase di sviluppo della lettura, il bambino ritorna al materiale delle nomenclature che abbiamo usato per l’arricchimento del vocabolario, e questo lo aiuta a leggere intuitivamente il materiale.
Il materiale didattico per le lezioni di lettura consiste in fogli di carta in cui sono scritte in modo chiaro, con caratteri grandi, parole e frasi. In aggiunta abbiamo una grande varietà di oggetti.
Distinguiamo chiaramente tra scrittura e lettura: non sono affatto processi contemporanei. Generalmente si pensa che la scrittura preceda la lettura, ma non possiamo considerare lettura l’operazione che il bambino fa quando verifica la parola che ha scritto, che è solo la traduzione dei segni in suoni, dopo aver tradotto in suoni i segni.
Per lettura invece si intende l’interpretazione di un’idea a partire dai segni scritti.
Il bambino che non ha sentito la parola pronunciata e che riconosce l’idea quando la vede composta in segni sul tavolo: qui il bambino legge. La parola che legge ha lo stesso rapporto con la lingua scritta, che la parola che sente ha col linguaggio verbale. Entrambi servono per ricevere il linguaggio trasmesso a noi dagli altri. Quindi, fino a quando egli non legge una trasmissione di idee attraverso lo scritto, non legge.
Possiamo dire che la scrittura è un fatto in cui prevale il meccanismo psico-motorio, mentre la lettura è un lavoro puramente intellettuale, ma è evidente che il nostro metodo per la scrittura prepara alla lettura.
Il senso della parola diventa evidente solo quando il bambino pronuncia la parola chiaramente e con l’accento fonetico giusto. Per mettere l’accento fonetico giusto è chiaro che il bambino deve aver riconosciuto la parola, cioè l’idea che la parola rappresenta.
Per leggere è necessario un lavoro superiore dell’intelletto.
Maria Montessori ha osservato che i bambini cominciano ad interessarsi alla lettura non in contemporanea con l’esplosione in scrittura, ma qualche tempo dopo. Questo perché il bambino è portato prima ad esprimere i propri pensieri, e solo dopo è interessato anche a decifrare il pensiero degli altri.
La lettura chiede un più alto livello di sviluppo intellettuale.
Per i primi esercizi di lettura prepariamo un certo numero di cartellini. Su ognuno scriviamo in maniera chiara e caratteri grandi una parola che rappresenti un oggetto realmente presente o ben noto. Mettiamo l’oggetto davanti al bambino, in modo da facilitare la sua interpretazione della parola scritta. Per questo gioco possiamo usare gli elementi della casa delle bambole e altri giocattoli e miniature.
Se la scrittura serve a dirigere e perfezionare il meccanismo del linguaggio verbale, la lettura aiuta lo sviluppo delle idee, e aiuta il linguaggio sociale, la comunicazione.
Scegliamo oggetti noti, non per dividere le parole in facili e difficili, ma per creare forti legami tra parola scritta e idea.
Quando il bambino ha letto la parola, pone l’oggetto accanto al cartellino.
Un gioco utile è quello di disporre su un tavolo o su un tappeto una grande varietà di giocattoli. I bambini vengono chiamati in gruppo. Prepariamo cartellini coi nomi di ogni giocattolo, li pieghiamo e li mettiamo in un cestino. Ogni bambino pesca una carta, va al suo banco a leggerla mentalmente, senza dire o mostrare agli altri la sua carta. Uno ad uno pronunciano chiaramente il nome e presentano la carta alla maestra, e la carta diventa la moneta corrente per acquistare il giocattolo chiamato: il bambino riceverà il giocattolo e ci potrà giocare tutto il tempo che vuole.
La sicurezza nella lettura arriva piuttosto lentamente. Nella maggior parte dei casi, il bambino scrive splendidamente mentre legge ancora piuttosto male.
Il libro fa riferimento al linguaggio logico, non al meccanismo della lingua. Prima che il bambino possa capire e godere di un libro, occorre tempo. Tra il saper leggere le parole, e il cogliere il senso di un libro, c’è la stessa differenza che c’è tra il saper pronunciare una parola e fare un discorso.
La lingua scritta non ha bisogno di parole parlate. Può essere compresa in tutta la sua grandezza solo quando è isolata completamente dalla lingua parlata. Il gioco dei comandi è il miglior esercizio di lettura che si possa predisporre per i bambini in questa fase.
Scriviamo su cartellini frasi che descrivano azioni che i bambini devono eseguire, ad esempio:
- Chiudere le persiane, poi aprirle a metà, quindi attendere un attimo e rimettere le cose come erano all’inizio.
- Chiedi molto gentilmente a otto compagni di lasciare le loro sedie, formare una fila a coppie al centro della stanza, poi marciare in avanti, poi tornare indietro in punta di piedi senza far rumore.
- Scegli tre dei tuoi compagni che cantano bene e chiedi di aspettarti al centro della stanza, disponili in una bella fila e canta con loro una canzone che hai scelto.
Distribuiamo i cartellini ai bambini, che li leggono ed eseguono i comandi.
Questo gioco dimostra che la composizione precede la lettura logica, e la scrittura precede la lettura della parola. Dimostra inoltre che la lettura, per coglierne l’idea, deve essere mentale e non ad alta voce.
La lettura ad alta voce implica l’esercizio di due forme di linguaggio diverse: la forma grafica e la forma vocale.
Il bambino che inizia a leggere dovrebbe leggere mentalmente.
La lingua scritta deve isolarsi dal linguaggio verbale.
Osservazioni sul linguaggio nella scuola d’infanzia