Metodo Montessori: metodologia di insegnamento, dal capitolo IV – Il metodo Montessori. Considerato il fatto che, grazie al clima di libertà nel quale sono immersi a scuola, i bambini possono manifestare le loro tendenze naturali, e che a tal fine abbiamo preparato l’ambiente ed i materiali (gli oggetti con cui il bambino lavora), l’insegnante non deve limitare la sua azione all’osservazione, ma deve continuare a sperimentare.

In questo metodo la lezione corrisponde ad un esperimento continuo.

Nei primi giorni di scuola l’insegnante non può dare lezioni collettive. Tali lezioni saranno comunque sempre molto rare anche in seguito, dal momento che i bambini non sono liberi nel loro apprendere se hanno l’obbligo di rimanere al loro posto tranquilli e pronti ad ascoltare l’insegnante, e di vedere cosa sta facendo. Le lezioni collettive sono di importanza molto secondaria, e sono state quasi del tutto abolite nelle scuole Montessori.

CARATTERISTICHE DELLE LEZIONI INDIVIDUALI: Concisione, semplicità ed oggettività.

La lezione, quindi, è individuale, e la brevità deve essere una delle sue principali caratteristiche.  Più saremo stati capaci di eliminare da essa tutte le parole inutili, più perfetta sarà la lezione. E nel preparare le lezioni l’insegnante deve prestare particolare attenzione a questo punto, e contare e pesare il valore delle parole che sta per utilizzare col bambino.

Un’altra qualità caratteristica della lezione è la sua semplicità. Essa deve essere spogliata di tutto ciò che non è verità assoluta: le parole dovrebbero essere attentamente scelte ed essere le più semplici che è possibile trovare, e naturalmente devono fare riferimento alla verità.

La terza qualità della lezione è la sua oggettività. La lezione deve essere presentata in modo tale che la personalità dell’insegnante deve scomparire. Deve rimanere in piena evidenza solo l’oggetto a cui si vuole richiamare l’attenzione del bambino. Questa lezione, breve e semplice, deve essere considerata dall’insegnante come una spiegazione dell’oggetto e dell’uso che il bambino può fare di esso.

Durante la lezione,  la guida fondamentale deve essere il metodo di osservazione, metodo che include la piena comprensione della libertà del bambino. L’insegnante deve osservare se il bambino si interessa all’oggetto, come è questo interesse, per quanto tempo si protrae, ecc.., anche notando l’espressione del suo viso.

Ma deve sempre fare molta attenzione a non offendere il principio di libertà.

Infatti, se si porta il bambino a compiere uno sforzo innaturale, tale situazione impedirà l’osservazione scientifica dell’attività spontanea del bambino.

Se dunque la lezione, per quanto preparata secondo le regole di   semplicità, brevità e verità non è compresa dal bambino, cioè non è da lui accettata come una spiegazione dell’oggetto, il maestro dovrà:

– in primo luogo,  non insistere ripetendo la lezione;

– in secondo luogo, non fare sentire il bambino come se avesse commesso un errore, o come se non fosse capace di comprendere, perché così facendo lo spingerebbe a fare uno sforzo per capire, e quindi a modificare quello stato naturale che dovrebbe essere l’oggetto dell’osservazione psicologica del maestro.

Un piccolo esempio può illustrare meglio questo punto

Supponiamo che l’insegnante voglia insegnare ad un bambino i due colori rosso e blu, e che quindi voglia attirare l’attenzione del bambino verso tale oggetto. Dice, dunque: -Guarda questo-. Poi, mostrandogli il rosso: -Questo è il rosso.-, alzando leggermente il tono di voce e pronunciando la parola “rosso” lentamente e chiaramente. Poi mostrerà il secondo colore dicendo: -Questo è il blu-. Infine, per assicurarsi che il bambino abbia capito, gli dice: -Dammi il rosso…- , -Dammi il blu…-. Supponiamo che il bambino in questa ultima fase della lezione faccia un errore. L’insegnante non ripete e non insiste, sorride, dà al bambino una carezza amichevole e porta via i colori.

Gli insegnanti di solito sono molto sorpresi da tanta semplicità. Spesso dicono: “Ma tutti sanno fare una lezione così!”  E in  effetti è un po come l’uovo di Colombo… ma la verità è che non è affatto vero che tutti sanno come fare le cose in modo semplice, che tutti siano in grado di creare una lezione con tanta semplicità.

Misurare la propria attività, rendere il proprio insegnamento conforme ai principi di chiarezza, brevità e verità, è nella pratica una questione molto difficile.

Spesso, senza renderci conto, investiamo i bambini con parole inutili e addirittura false. Poniamo l’esempio di un insegnante che sceglie di utilizzare il metodo della lezione collettiva, e che inizia la sua lezione in questo modo per presentare i colori rosso e blu: -Bambini, riuscite a indovinare quello che ho in mano?-. Questo insegnante naturalmente sa bene che i bambini non possono indovinare, e quindi attira la loro attenzione per mezzo di una menzogna. Poi dice: -Guardare il cielo… Guardate il mio grembiule… Sapete di che colore è? Non vi sembra dello stesso colore del cielo? Molto bene allora, guardare questo colore che ho in mano. E’ dello stesso colore del cielo e del mio grembiule. E’ blu. Ora guardatevi intorno e vedete se è possibile trovare qualcosa di blu anche nella nostra stanza…  E sapete di che colore sono le ciliegie?  E la brace nel camino?-. Ecc…

Ora, nella mente del bambino, dopo aver fatto lo sforzo inutile di cercare di indovinare l’oggetto nelle mani dell’insegnante, dopo che intorno a tale oggetto è ruotata una confusione di idee varie (il cielo, il grembiule, le ciliegie, ecc…), sarà difficile estrarre da tutta questa confusione il riconoscimento dei due colori blu e rosso. Tale lavoro di selezione è quasi impossibile per la mente di un bambino che non è ancora in grado di seguire un lungo discorso.

Ricordo di essere stata presente ad una lezione di aritmetica, dove ai bambini veniva insegnato che due e tre fanno cinque. A tal fine, l’insegnante aveva fatto uso di perline colorate. Aveva preparato due perline sulla riga superiore, poi su una linea inferiore  tre perline, e infine ancora più in basso cinque perline. Non ricordo molto chiaramente lo sviluppo di questa lezione, ma ricordo che l’insegnante aveva ritenuto necessario porre accanto alla fila di due perline una piccola ballerina di cartone con una gonna blu, che aveva battezzato col nome di uno dei bambini della classe, dicendo: -Questa è Mariettina-. E poi, accanto alle altre tre perle una ballerina vestita di un colore diverso, “Gigina”. Non so esattamente come l’insegnante sia poi arrivata alla dimostrazione della somma, ma di certo ha parlato a lungo con questi piccoli danzatori, spostandoli su, giù, ecc…  Se ora io ricordo i ballerini più chiaramente del processo di aritmetica, come deve essere stato con i bambini? Se da un tale metodo sono stati in grado di apprendere che due più tre fa cinque, devono aver fatto un enorme sforzo mentale!

In un’altra lezione un’insegnante voleva dimostrare ai bambini la differenza tra rumore e suono. Ha iniziato raccontando una lunga storia. Poi, all’improvviso, qualcuno in combutta con lei ha bussato rumorosamente alla porta. L’insegnante si è fermata e si è messa a gridare: -Che cosa è successo! Che problema! Bambini, sapete cosa ha fatto questa persona alla porta? Non posso più andare avanti con la mia storia, non la ricordo più. Dovrò lasciarla incompiuta. Sapete cosa è successo? Avete sentito? Avete capito? Quello era un rumore, un rumore. Oh! Avrei preferito giocare con questo piccolo bambino ( riprendendo un mandolino che aveva vestito in una copertina). Sì, caro bambino, avrei proprio preferito giocare con te. Vedete questo bambino che ho in mano fra le mie braccia?-  Diversi bambini hanno risposto: -Non è un bambino-. Altri dicevano: -E’ un mandolino-. Ma l’insegnante ha continuato: -”No, no, è un bambino. Volete che ve lo dimostri? Mi sembra che il bambino stia piangendo. O, forse sta parlando, forse sta per dire papà o mamma.- Quindi ha messo la mano sotto la coperta e ha toccato le corde del mandolino. -Ecco! Avete sentito il bambino piangere? Avete sentito bussare alla porta? -Poi ha scoperto il mandolino e ha cominciato a suonarlo dicendo: -Questo è il suono-.

Supporre che il bambino da una  lezione come questa possa arrivare a capire la differenza tra rumore e suono, è ridicolo.

Il bambino avrà probabilmente l’impressione che o la maestra ha voluto giocare uno scherzo alla classe, oppure che è una persona un po’ matta, perché ha perso il filo del suo discorso quando  interrotta dal rumore, e perché ha scambiato un mandolino per un bambino.

Certamente, è la figura della maestra che si è impressa nella mente del bambino attraverso una tale lezione, e non l’oggetto della lezione stessa.

Questi esempi dimostrano che per un maestro preparato secondo i metodi tradizionali, è molto difficile arrivare a tenere lezioni semplici.

Ricordo che, dopo aver spiegato il materiale in modo dettagliato, ho chiamato uno dei miei maestri per insegnare, per mezzo degli incastri geometrici, la differenza tra un quadrato e un triangolo. Il compito del docente era semplicemente quello di inserire un quadrato e un triangolo di legno negli spazi vuoti fatti per riceverli, e mostrare al bambino come  seguire con il dito i contorni dei pezzi di legno e delle cornici in cui si inseriscono, dicendo: -Questo è un quadrato… questo è un triangolo-.

L’insegnante che avevo chiamato ha iniziato facendo toccare al bambino il quadrato e dicendo: -Questa è una linea, questa un’altra…, un’altra…, e un’altra.  Vi sono quattro linee. Contale con l’indice e dimmi quante sono. E gli angoli, conta gli angoli, sentili col tuo indice. Vedi, ci sono anche quattro angoli. Guarda bene questo pezzo. Si tratta di un quadrato. ”

Ho corretto l’insegnante, dicendogli che in questo modo non stava insegnando al bambino a riconoscere una forma, ma gli stava dando un’idea di lati, di angoli, di numero, e che questa era una cosa molto diversa da quella che doveva insegnare al bambino attraverso questa lezione. Non è la stessa cosa.

E’ infatti possibile per il bambino avere un’idea della forma del quadrato senza saper contare fino a quattro. I lati e gli angoli sono astrazioni che di per sé non esistono; ciò che esiste è questo pezzo di legno di una determinata forma. Le spiegazioni elaborate del maestro non solo confondono la mente del bambino, ma creano ancora maggior distanza tra il concreto e l’astratto, tra la forma di un oggetto e la matematica.

Non crediamo che il bambino sia troppo immaturo per apprezzare la forma nella sua semplicità; non è affatto uno  sforzo per lui guardare una finestra quadrata o una tavola, o riconoscere le forme negli oggetti nella sua vita quotidiana. Per richiamare la sua attenzione su una determinata forma basta tenere presente che il bambino ha già ricevuto un’impressione di quella forma nel suo quotidiano, ed ora si tratta soltanto di fissarne l’idea. E’ come se, mentre stiamo guardando distrattamente la riva di un lago, un artista improvvisamente ci dice: -Com’è bella la curva che prende la costa, là, sotto l’ombra di quella rupe.-

Ed a queste parole, ciò che stavamo guardando distrattamente, si imprime nella nostra mente come se fosse stata illuminata da un improvviso raggio di sole, e noi sperimentiamo la gioia di questa consapevolezza. Il nostro dovere nei confronti del bambino è proprio questo: gettare raggi di luce sul suo cammino.

Per quanto riguarda la psicologia infantile, c’è ancor oggi una grandissima quantità di pregiudizi che allontanano da una conoscenza reale dell’argomento.  Abbiamo, fino ad oggi,  voluto dominare il bambino con la forza, con l’imposizione di leggi esterne.

E così i bambini hanno vissuto accanto a noi senza che noi potessimo conoscerli. Ma se riusciamo ad eliminare totalmente  l’artificialità nella quale li abbiamo avvolti, e la violenza attraverso cui abbiamo scioccamente pensato di educarli, allora essi ci riveleranno tutta la verità della natura infantile.

Maria Montessori

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