Lo specchio di MISURINA – leggenda Veneta per bambini della scuola primaria.
LEGGENDE ITALIANE
Lo specchio di MISURINA – leggenda Veneta
C’erano una volta un papà e una bambina. La bimba si chiamava Misurina e Sorapis il papà. Papà era un gigante, e Misurina una bimba piccina piccina, che poteva benissimo stargli nel taschino del panciotto. Eppure, quella piccina piccina poteva a suo agio prendere in giro quel papà grande come una montagna.
E’ la sorte che tocca ai papà troppo buoni con le bambine che non meritano nessuna bontà. E Misurina intanto cresceva stizzosa ed insolente.
Al castello di babbo Sorapis tutti la fuggivano come la peste, uomini di corte e valletti di camera, dame di compagnia e donne di cucina.
“Signori miei”, gemeva Sorapis, “lo so, lo so. Misurina è un po’ monella, ma è tanto una cara bambina! Rimedieremo… rimedieremo…”.
Ma non rimediava, pover’uomo. Anzi, la piccola, crescendo, diventava sempre più insopportabile. Il suo difetto più grande, però, era la curiosità. Una bimba così curiosa non la si sarebbe incontrata in tutto il mondo. Voleva sapere tutto, voleva vedere tutto.
Un giorno la nutrice le disse: “Una signorina come te, dovrebbe possedere lo specchio Tuttosò”
“E che cos’è questo specchio?” esclamò la bimba, facendosi rossi per l’emozione.
“Uno specchio dove basta specchiarcisi per saper tutto quanto si vuol sapere”.
“Oh” mormorò Misurina, “E come posso averlo?”
“Domandalo al tuo papà, che sa tutto”.
Misurina andò dal babbo, saltellando come un passero.
“Papà,” cominciò a gridare prima di giungergli accanto, “devi farmi un regalo!”.
“Se posso, gioietta”
“Sì che puoi”
“E allora sentiamo”
“Prima giura che me lo farai”
“Non posso giurare se non so di che regalo si tratta”
“Voglio lo specchio Tuttosò”
Sorapis impallidì. “Tu non sai ciò che mi chiedi, figliola”
“Sì che lo so!”
“Ma non sai che lo specchio appartiene alla fata del Monte Cristallo?”
“E che mi importa? Lo comprerai!”
Il povero Sorapis sospirò…
“O glielo ruberai.”
“Senti… Misurina…”
“L’hai promesso, papà!”
E quel demonio di figliola si mise a piangere e a sospirare e a rotolarsi per terra. “E se non mi porterai quello specchio, io morirò”.
Il povero papà si mise in testa la corona, vestì il mantello di ermellino, prese lo scettro a mo’ di bastone, e si avviò dalla fata che abitava a pochi passi da lui. Non appena giunse al castello, bussò.
“Avanti” disse la fata, che sedeva nella sala del trono, insieme con due damigelle. “Chi sei e cosa vuoi?”
“Sono Sorapis, e voglio lo specchio Tuttosò”
“Corbezzoli!” rise la fata, “Solamente? Come se si trattasse di fragole!”
“Oh, fata, fatina, non ridere… se tu non me lo dai, la mia bambina morirà”
“La tua bambina? E che ne sa dello specchio Tuttosò? A che le serve? Come si chiama questa bambina?”
“Misurina”
“Ah, ah!” disse la fata, “La conosco di fama. Le sue grida giungono fino a me quando fa i capricci, e questo è un capriccio ben degno di lei. Va bene, io ti darò lo specchio, ma a un patto”
“Sentiamo” accondiscese il re.
“Vedi quanto sole batte da mattina a sera sopra il mio giardino?”
“Vedo” rispose Sorapis.
“Mi brucia tutti i fiori e mi dà noia. Mi ci vorrebbe una montagna a gettarmi un po’ d’ombra. Ecco, bisognerebbe che tu, grande e grosso come sei, ti contentassi di trasformarti in una bella montagna. A questo patto ti darei lo specchio Tuttosò”.
“Oh… oh…” disse Sorapis, grattandosi un orecchio e sudando freddo.
“Prendere o lasciare” disse la fata.
“Va bene! Dammi lo specchio”, sospirò il poverino.
La fata trasse da uno scrigno, che aveva a portata di mano, un grande specchio verde e glielo porse, ma poichè si accorse che il povero Sorapis era diventato smorto, ebbe pietà di lui, e gli disse:
“Facciamo una cosa; capisco che tu non hai troppo desiderio di trasformarti in una montagna, ed è naturale, ma, d’altra parte, hai paura che la tua bimba muoia se non mantieni la promessa che le hai fatto. Ritorna al tuo castello e di’ alla bimba la condizione per cui può venire in possesso dello specchio; se ella ti vuol bene rinuncerà a possederlo per non perdere il suo papà, e tu mi rimandi lo specchio, e se no, se no… io non ne ho colpa”.
“Sta bene” rispose il re, e ripartì.
Misurina lo aspettava seduta sullo spalto più alto del castello e non appena lo vide, gli gridò: “Ebbene, me l’hai portato?”
“Eh, sì, te l’ho portato”, ansimò il poverino. E presala in mano per parlarle meglio, le riferì l’ambasciata della fata del Monte Cristallo. Misurina battè le mani.
“Tutto qui?” disse, “Dammi pure lo specchio, papà, e non pensarci. Diventare una montagna deve essere una bellissima cosa. Anzitutto non morirai più, poi ti coprirai di prati e di boschi ed io mi ci divertirò.
Il poveretto impallidì, ma tanto valeva; la sua condanna era stata decretata. Non appena Misurina ebbe afferrato lo specchio, Sorapis si ampliò, si ampliò, si gonfiò, parve lievitasse nel sole, si impietrì, e in un attimo diventò la montagna che ancora oggi si erge di fronte al Monte Cristallo.
Misurina, trovatasi innalzata a quell’altezza prodigiosa sulla cresta di una montagna bianca e nuda, dove a poco a poco gli occhi di suo padre morivano, gettò un grido terribile e, presa da un capogiro, col suo specchio verde precipitò giù.
Allora dagli occhi semispenti di Sorapis, incominciarono a scendere lacrime e lacrime, fino a che gli occhi si spensero e le lacrime non piovvero più.
Con quelle lacrime si è formato il lago sotto cui giacciono Misurina e lo specchio, e in quel lago il Sorapis si riflette e cerca con gli occhi morti la sua bimba morta.
(P. Ballario)