La vera storia di Valentino: racconto dell’Emilia Romagna per la scuola primaria.
Questa è la storia di Valentino.
Chi non lo conosce, Valentino? E’ l’ultimo dei figli di Giovanni Arrighi, detto il Mére.
Il Mére era il colono del Carrara, e la Chiara era sua moglie.
Vivevano da poveri, si sa, ma a Castelvecchio e a Barga li conoscevan tutti per quel che erano: gente alla buona, onesta, senza chiacchiere.
Un giorno, dunque, il Mére disse alla moglie: “Oh Chiara, non ti sembra che quel moccioso abbia bisogno di essere rivestito?”
“Eh, lo so anch’io, purtroppo!” rispose, un po’ seccata la buona donna. “Qualcosa gli ci vuole, ma…” e continuò a rimestare nel paiolo la semola da dare alla Bianchina.
“Ma qualcosa gli ci vuole!…” ripeté il Mére tentennando il capo. Ma, lì per lì, non seppe neppure lui come risolverla.
Palanche non ne aveva. Bisogni, in casa, ce n’erano tanti da cavare gli occhi. E tre figlioli da tirar su: Tonino, Carolina, Valentino.
Qualche tempo prima il padrone gli aveva detto: “Ho deciso di vendere tutto, Mére: campi e casa. C’è il professor Pascoli che sarebbe disposto a comperare. Tu, intanto, se ha bisogno di qualcosa, dagliela pure: latte, formaggio, uova. Dopo, semmai, ci rifaremo. Hai inteso?”
E il Mére: “Ho inteso”.
“Tanto ci rifaremo, Chiara: hai inteso?”
“Sì, ho inteso, ho inteso. Ma intanto non abbiamo una palanca per far cantare un cieco. Fra un mese e mezzo è Pasqua. Ed io come glieli compro una giacchetta ed un paietto di calzoni al Valentino?”.
Poi ci ripensò meglio; si sa, il bisogno spinge.
Ed ecco che una bella mattina, quando il Mére era già nei campi a legar viti, la Chiara spazientita spacca il salvadanaio, conta gli spiccioli, si aggiusta alla vita il pannello delle feste e, via, se ne va a Barga, dal Carrara che gestiva un negozio di pannine.
“Sor padrone, ho bisogno di qualcosa”.
“Sono contento di servirvi, Chiara. Di che cosa avete bisogno?”
“Due cencetti per Pasqua. Da spendere poco, vè! Che le panche, da casa nostra, se ne son ite!”
“Ma non vi preoccupate, scegliete pure!”
La Chiara scelse e pagò fino all’ultimo centesimo. Poi andò dalla Filomena, che cuciva anche donne e per ragazzi.
“Zitta, non lo dire, veh! E’ una sorpresa” e tirò fuori la stoffa acquistata dal Carrara. “Vorrei che tu ci facessi un vestitino al mio Valentino. Due zoccoletti, prima di Pasqua, glieli comprerò. Ho due galline: se non mi coveranno tanto presto…” (Voleva dire: faranno delle uova, le venderò, ci comprerò gli zoccoli).
Invece tutti sappiamo come andò a finire. Le galline chiocciarono, la Chiara non potè più vendere un uovo…
e tu, magro contadinello,
restasti a mezzo, così, con le penne,
ma nudi i piedi come un uccello.
Venne il giorno di Pasqua. Sole meraviglioso, voli, trilli di rondini.
Valentino uscì di casa, scese le scale, arrivò sulla piazzetta un po’ impacciato nei movimenti a causa del vestito nuovo.
“Oh, Valentino, vestito di nuovo!” si udì esclamare.
Si arrestò di colpo. Voltò gli occhi a destra, a sinistra, in alto. Guardò verso la casa del professore: il poeta affacciato alla finestra sorrideva. Il ragazzo abbassò il capo, diventò rosso rosso. Poi, via, di corsa a rifugiarsi in casa.
Il Pascoli invece, rimase a lungo a guardare dalla finestra, muto.
Lungo i borri dell’Orso, tra le siepi dei biancospini fioriti penduli sull’acqua trasparente, le allodole, le cince, i pettirossi cinguettavano lieti alla primavera. Proprio come il bimbo del Mére e della Chiara, proprio come Valentino: lui pure saltava, correva, ignaro se al mondo potesse esistere una felicità più grande della sua.
Così nacque una delle più delicate poesie del Pascoli.
Oggi, dei protagonisti di questa storia è rimasto soltanto Valentino Arrighi, ma è emigrato in America: a Cincinnati (Ohio), dove ha famiglia e dove… viaggia in automobile.
(G. Mirola)
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