Il menestrello – racconto ambientato nel Medioevo per bambini della scuola primaria, adatto alla lettura e al riassunto.
Era da poco cominciato l’inverno, ed i fossi erano tutti gelati, quando un giovane venne a suonare il corno davanti al castello di sir Galihud Sans Pitiè.
Dalla finestra del barbacane un soldato gli chiese: “Che volete?”.
“Sono un menestrello” rispose il giovane, “e voglio entrare, per rallegrare il signore di questo luogo con le mie poesie”.
“Se vuoi un consiglio, vattene via. Sir Galihud Sans Pitiè non ama se non la caccia e la guerra”.
“Ma ci saranno pure delle dame, al castello, e dei cavalieri cortesi!”
“Ci sono”.
“Bene” disse il menestrello “aprimi, allora. Io canterò per loro”.
Il ponte levatoio s’abbassò, la porta si aprì ed il menestrello entrò nel maniero. Era un giovane biondo, dai lunghi capelli, dal viso bianco come la cera, dalle spalle delicate e rotonde. Vestiva di scarlatto, ed aveva a tracolla un liuto ed una sacca piena di carte. Il soldato lo condusse subito nella sala ove sir Galihud teneva tavola imbandita.
Quando videro il menestrello, le dame ed i cavalieri che vivevano al castello, o che vi erano ospiti si rallegrarono e lo invitarono a cantare le sue canzoni.
“Col permesso del signore, delle dolci dame e dei giovani cavalieri” disse allora il menestrello, “canterò la storia d’amore della regina Didone per l’eroe Enea” e cominciò a suonare ed a cantare; ma non aveva tratto che poche e delicate note, quando sir Galihud esclamò: “No, no! Codesta canzone non mi piace!”.
Il menestrello si inchinò e cominciò un’altra canzone; ma l’aveva appena intonata, che sir Galihud esclamò: “Via, via, nemmeno questa mi piace!”.
Per la terza volta il menestrello ricominciò, e per la terza volta sir Galihud lo interruppe, esclamando: “Basta con questi lamenti!”.
Il menestrello allora gli si volse e disse: “Parlando in codesto modo, messere, voi fate una grande villania prima a voi stesso che a me. Perchè cosa penseranno, le dame ed i cavalieri che vi ascoltano, se non che siete un uomo sgarbato e rozzo e senza cortesia?”
A queste parole tene dietro un lungo silenzio; e sir Galihud, alzandosi dal suo scranno esclamò: “Tu hai parlato troppo!” e scavalcata la tavola si avventò sul menestrello, e strappandogli il liuto, prese con questo a batterlo: e lo fece con tanta rabbia che ben presto il giovane cominciò a sanguinare dal naso e dalle orecchie, e cadde a terra svenuto. sir Galihud stava per colpirlo ancora, quando il giovane sir Lionel, un cavaliere ospite del castello, lo agguantò per le braccia trattenendolo e gridò: “Vergogna, sir Galihud! Voi avete battuto un uomo disarmato!”.
“Lasciatemi subito andare e chiedetemi perdono!” rispose furibondo il cavaliere “O vi batterete con me!”.
Sir Lionel lasciò la presa e disse: “Così sia. Mi batterò con voi quando vorrete!”.
“Ciò sarà subito!” replicò sir Galihud, e lasciò la stanza, per andare a prepararsi. Le dame e gli altri cavalieri seduti alla tavola, allora, si rivolsero a sir Lionel, scongiurandolo di lasciare subito il castello e di non misurarsi con sir Galihud. “Egli è feroce come un leone” gli dissero “e vi ucciderà, come avrebbe ucciso questo menestrello, perchè non ha mai dato quartiere ai suoi nemici”.
Sir Lionel rispose: “La nostra vita è nelle mani di Dio; ed anche se io morrò, almeno avrò salvato la vita di questo giovane”, e qui si chinò sul menestrello insanguinato e gli disse: “Coraggio, poeta! Di queste ferite non si muore!”.
Il menestrello aprì gli occhi e mormorò: “Dio vi ricompensi, messere, per quello che avete fatto. Da parte mia, io non lo scorderò mai”.
In questo momento entrarono gli araldi e dissero come sir Galihud fosse già sceso nel cortile ed aspettasse sir Lionel per il duello. Sir Lionel allora, con sereno volto, prese il suo cimiero e si avviò, tra il pianto delle dame ed i sospiri dei cavalieri.
sir Galihud era già in sella, e quando vide sir Lionel gridò, levando il pugno: “Nemo me impune lacessit!” che era un motto che significava ‘nessuno mi ha mai sfidato impunemente’. Sir Lionel montando in sella rispose: “Dio mi è testimone che non vi feci offesa alcuna”.
In breve, i due furono pronti per il duello, ed al segnale corsero fieramente ad incontrarsi, e ruppero le lance con strepito e fragore; ma sir Lionel fu scavalcato e piombò a terra, ed allora sir Galihud, smontato sveltamente da cavallo, gli si fece addosso e, toltogli l’elmo, gli troncò di netto la testa. Le dame gridarono, coprendosi il volto con le mani ed anche i cavalieri volsero gli occhi per non vedere.
Sir Galihud gridò: “Dov’è il menestrello? Portatelo qui!”
Due soldati trascinarono nel cortile il menestrello; e sir Galihud gli disse, accennando al corpo di sir Lionel: “Prendi il tuo protettore, e vattene. Ricorda: se metterai ancora piede nel mio castello, ti ucciderò!”.
Nel gran silenzio del cortile, il menestrello avanzò e con molta pietà prese tra le braccia sir Lionel: barcollando sotto il peso, poi, uscì dal castello. Quando fu fuori, scavò con le sue mani una fossa, e vi depose il morto, e dopo avere lungamente pianto e pregato lo coprì di terra dicendo: “Sir Lionel, non mi scorderò di voi!”.
Passarono due anni. Venne due volte la neve e cancellò ogni cosa. Poi due primavere portarono cielo azzurro e fiori, e fecero spuntare tenera erba sulla tomba di sir Lionel; giunsero due rigogliose estati, e gli autunni ricchi di foglie e di colori. Quando il terzo inverno riapparve coi primi geli, le sere tornarono a farsi molto lunghe nelle sale del castello ove sui camini ardevano ceppi resinosi.
Una sera assai fredda, ecco suonare il corno sotto il castello di sir Galihud. Questi, che sonnecchiava accanto al fuoco, domandò: “Chi suona a quest’ora?”
“Messere” annunciò un servo, “è un menestrello che chiede di entrare”.
“Ah, fatelo entrare, sir Galihud!” gridarono le dame, che si annoiavano profondamente, “che ci narri qualche storia d’amore e d’avventura!”.
“Io non sono amico dei menestrelli, lo sapete e sterminerei la loro razza. Ma poichè la sera vi sembra tanto lunga, ebbene, che quel poeta salga a cantarvi le sue canzoni!”.
Così fu fatto, ed il menestrello entrò nel maniero e venne condotto nella sala; ma, anziché avanzarsi verso la tavola, si arrestò sulla soglia, dove la luce delle torce giungeva appena.
“Vieni avanti, menestrello!” ordinò sir Galihud.
“Ci sarà tempo, per questo” rispose il menestrello senza muoversi; e le dame mormorarono: “In verità questa sembra la voce di un guerriero, e non di un poeta!”.
“Va bene, sta pure dove sei” disse sir Galihud. “Quale canzone buoi cantare?”
Stando nell’ombra il menestrello disse: “Col permesso del signore, dello dolci dame e dei nobili cavalieri, io narrerò la storia di un prode e generoso cavaliere, che venne ucciso da un villano signore senza pietà, perchè aveva difeso un povero menestrello come me”.
Tutti rabbrividirono e si volsero verso sir Galihud; e questi, buttato a terra il boccale di sidro che teneva in mano esclamò levandosi in piedi: “Codesta storia non mi piace! E tu, menestrello, fatti avanti, in modo che io ti veda in volto!”.
Allora, mentre tutti tacevano, il menestrello camminò verso il centro della sala, e rivelò l’essere suo; e tutti mormorarono stupidi perchè, malgrado avesse capelli corti da soldato, viso abbronzato, spalle larghe e quadrate, riconobbero in lui il menestrello venuto due anni prima e percosso da sir Galihud. E questi disse: “Hai sbagliato a tornare nel mio castello! Avevo promesso che ti avrei ucciso! Tu vuoi morire!”.
“Non sono ancora giunto a questo.”
“Ebbene, vi giungerai!”.
Sir Galihud prese un grosso coltello, che serviva per tagliare la carne, e si avventò sul menestrello; ma questi corse al muro dove erano appesi i trofei di guerra, e staccò da esso una spada, e brandendola disse: “Io sono qui sir Galihud, per vendicare la morte di sir Lionel!”.
“Tu morrai come lui! Nemo me impune lacessit!”
Sir Galihud menò alcuni colpi col suo coltello, ma il menestrello li schivò facilmente tutti, ed anzi a sua volta colpì di spada e ruppe il pesante giaco di cuoio di cui il cavaliere era rivestito. Tutti si meravigliarono che un poeta sapesse duellare con tanta perizia; ed ancor più si stupirono, quando sir Galihud venne ferito a un fianco, e cominciò a perdere sangue.
“Tu combatti con una spada, menestrello! Lascia dunque” esclamò il malvagio cavaliere arrestandosi ” che io mi armi come te”.
“Messere, sia come volete. Ciò non vi salverà dalla morte”.
Sir Galihud andò allora accanto al muro dei trofei di guerra; ma, invece di prendere una spada come quella del menestrello, ecco che staccò un enorme spadone che si impugnava a due mani; e con esso, roteandolo furiosamente, si fece avanti.
I cavalieri presenti pensarono, allora, che nessun onore poteva venire a sir Galihud da una simile azione. Il menestrello però non dimostrò alcuna paura, e fermamente fronteggiò sir Galihud, arretrando ed abilmente schivando tutti i terribili fendenti dello spadone.
Quando ebbe compiuto per tre volte il giro della grande sala, senza mai riuscire a menare un colpo al segno, sir Galihud si fermò ansimante e disse: “Tu fuggi, codardo!”.
“L’ho fatto fino ad ora” replicò il menestrello “perchè voi vi battete con due mani, ed io non una. Ma a questo” aggiunse fieramente, “c’è rimedio!” e con un gran fendente, tagliò netta la mano sinistra di sir Galihud. “Ecco che ora combatterete con una mano sola!” disse ancora, e mentre il malvagio cavaliere cercava, con una sola mano, di manovrare quel suo pesantissimo spadone, il menestrello lo colpì sulla testa con tanta violenza che sir Galihud cadde morto e non si mosse più.
Allora il menestrello si volse alle dame ed ai cavalieri, che avevano dato un grido, ma che non erano mossi, e disse loro: “Per due anni, signori, scordando poesia e canzoni, combattendo nella Terra Santa per il riscatto del sepolcro di Gesù, mi sono esercitato nell’arte della guerra, fortificando il mio spirito e il mio corpo. E ciò ho fatto, perchè dovevo compiere giustizia e vendicare la morte di sir Lionel. Ho atteso lungamente: ma ora che quest’uomo senza pietà è perduto ecco io rinuncio alla lancia ed alla spada. E” concluse “torno per sempre al mio liuto ed alle mie poesie”.
Così dicendo lasciò cadere la spada; né volle fermarsi al castello, benché fuori smisuratamente fioccasse la neve; e si allontanò sul suo cavallo, e mentre si allontanava, lo udirono cantare una dolce e triste canzone d’amore e di guerra.
(P. Selva)
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