I CEREALI materiale didattico vario, letture, dettati ortografici ecc…, di autori vari, per la scuola primaria. I cereali
I cereali sono per lo più graminacee che servono all’alimentazione dell’uomo e degli animali domestici, soprattutto se ridotti in farina. Ad essi appartengono il grano, l’avena, la segale, l’orzo, il riso, il granoturco, il miglio, il sorgo, ecc…
Le graminacee fonte di alimenti
L’amido di frumento viene utilizzato per la confezione del pane e per la fabbricazione della pasta. Per il pane, la farina di frumento, setacciata in modo da allontanare ogni residuo dei tegumenti che formano la crusca, viene impastata con acqua tiepida e lievito in opportune proporzioni; lasciata riposare per qualche ora, in modo che il lievito la faccia gonfiare, viene divisa in pezzi, modellati in vario modo, e cotta in un forno caldissimo. Il pane può essere confezionato anche lasciandovi i pezzi dei tegumenti della cariosside; in tal caso viene detto integrale.
La pasta viene ottenuta mescolando farina e acqua senza aggiungere lievito. Quando si confeziona in casa, viene schiacciata col mattarello in modo da formare uno strato sottile, che poi è tagliato secondo il bisogno in pezzetti (lasagne), rettangolini o strisce (tagliatelle o fettuccine), e così via. Nella produzione industriale l’impasto, preparato nei pastifici, viene passato in speciali macchine, che lo comprimono tra rulli e lo tagliano a nastro oppure lo passano attraverso trafile, che lo riproducono in lungi pezzi cilindrici di varia lunghezza, omogenei o cavi, secondo che si vogliano ottenere, per esempio, i vermicelli, gli spaghetti o i maccheroni. La pasta può anche essere tagliata in piccoli pezzetti e stampata ottenendo le conchiglie, le farfalle, ecc…
Nella confezione della pasta si può aggiungere anche del tuorlo d’uovo (pasta all’uovo) o del glutine (pasta glutinata).
Non tutte le varietà di frumento sono egualmente adatte alla fabbricazione della pasta alimentare. Possono essere bene utilizzati a questo scopo solamente i cosiddetti grani duri, coltivati nelle regioni a clima caldo, arido. I grani teneri sono invece preferiti per la confezione del pane.
Oltre al frumento, l’uomo utilizza anche altre graminacee. Ne ricordiamo qualcuna tra le principali.
Il mais o granoturco non è originario della Turchia, ma del Messico. Viene denominato turco perchè dopo la scoperta dell’America rimase per molto tempo l’uso di chiamare turco ogni prodotto proveniente da oltremare, in quanto fino ad allora i fiorenti commerci con l’Oriente passavano generalmente attraverso la Turchia, seguendo numerose vie carovaniere. Il mais, molto coltivato nella zona che va da Bergamo al Veneto, compreso il Trentino, è utilizzato per preparare la polenta; la cariosside dà anche olio, e il fusto cellulosa.
Il riso, coltivato soprattutto in Piemonte e in Lombardia, è una pianta acquatica originaria della Cina, Indocina, India e Giappone, dove viene coltivato fin dall’antichità. Si può dire che il riso alimenta la metà della popolazione umana. Le cariossidi del riso vengono asciugate e poi brillate; sono cioè liberate, con speciali procedimenti, dai tegumenti e vengono lucidate prima di essere messe in commercio.
La segale si coltiva nelle regioni settentrionali e ad una certa altitudine. Serve per preparare un pane profumato, di colore più scuro di quello del frumento.
L’orzo viene utilizzato soprattutto per preparare la birra, ottenuta macinando con acqua le cariossidi germinate e lasciandole poi fermentare.
L’avena trova applicazione sia come foraggio per i cavalli, sia nell’alimentazione umana; a questo scopo la cariosside viene pressata, senza essere macinata completamente, e messa in commercio col nome di “fiocchi di avena”, molto nutrienti e molto in uso per l’alimentazione dei bambini e degli ammalati. (M. La Greca e R. Tomaselli)
Le semine
La semina consiste nell’affidare al terreno i semi delle piante, dopo l’opportuna preparazione. Le operazioni di semina si compiono all’incirca negli stessi periodi dell’anno secondo un calendario agricolo determinato dall’esperienza e dalla tradizione, oppure, come più spesso si fa oggi, secondo criteri scientifici che tengono conto dell’epoca più opportuna per il raccolto in correlazione con le vicende meteorologiche stagionali.
Nel nostro paese la semina dei cereali (grano, avena, segale, orzo) viene fatta normalmente in autunno; quella delle leguminose, in primavera nell’Italia settentrionale e in autunno nell’Italia meridionale. Per altre colture particolari, come quella del granoturco, della saggina, della canapa e della barbabietola, la semina avviene in primavera.
Alla semina, che deve trovare già il terreno sciolto dall’aratura e inumidito dalle piogge o dall’irrigazione, segue la erpicatura. Essa consiste nel passare sul terreno un telaio a maglie rettangolari munite di punte, oppure un cilindro munito di punte, in modo da estirpare le erbacce rimaste dopo l’aratura, comprimere il terreno ed affondarvi il seme.
La semina può essere fatta in posto, cioè distribuendo la semente sul terreno, a mano oppure a macchina, come si fa per i cereali e il mais; oppure in appositi semenzai, riquadri di terreno dove la semina è fatta molto fittamente, dopo di che si procederà al trapianto ossia alla messa a dimora delle pianticelle poco dopo che esse siano nate.
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Il grano
E’ una delle più importanti piante coltivate fin dai tempi preistorici e la sua coltura ha accompagnato lo sviluppo della civiltà. I chicchi disposti nella spiga su nodi alterni, sono costituiti da un frutticello (la cariosside detta volgarmente seme) rivestito da una buccia sottilissima. Nella buccia e negli strati periferici del frutticello c’è uno straterello di glutine ricco di sali, vitamine, grassi e cellulosa; nel nucleo centrale del frutticello c’è soprattutto una grande quantità di amido. Comunemente si distinguono i frumenti nudi e i frumenti vestiti. Tra i grani nudi, il grano tenero è il più importante nella coltivazione mondiale; i grani duri si prestano meglio alle regioni calde e aride. Il prodotto del frumento, cioè il chicco, viene utilizzato per l’alimentazione, il suo stelo, o paglia, come foraggio e come lettiera per gli animali, oltre che per la fabbricazione della carta. Il grano, con la macinatura, viene ridotto in farina e in questo stato si usa per la confezione del pane, della pasta, dei biscotti, ecc… Dal grano si ricava l’amido che, sottoposto prima alla saccarificazione e poi alla fermentazione, ci può dare un alcool di qualità inferiore utilizzato nell’industria. L’origine e la storia del frumento non si conoscono in modo certo. Pare che questo indispensabile cereale provenga dalla Persia.
Benchè formi la base essenziale dell’alimentazione di molti popoli, non è però il cereale coltivato di preferenza nel mondo. La sua coltura è poco estesa in Africa e in genere nelle zone equatoriali e tropicali, in Estremo Oriente, in Australia, dove viene coltivato soltanto in alcune regioni. Il frumento ha molti parassiti: numerosi funghi e insetti. Facile, per chi vive in campagna, assistere allo sviluppo della pianta del grano. Il frumento si semina in autunno nella terra già preparata dall’aratro. Il chicco resta sotto terra per alcuni giorni, e ai primi tepori ha già germogliato e ricopre il terreno di un’erbetta verde e tenera. Presto “accestisce” cioè mette molti steli laterali dalla base del culmo centrale. In seguito mette la spiga che fiorisce. Il vento favorisci l’impollinazione, che non avviene per opera degli insetti, e gli ovuli fecondati si trasformano in grani. La spiga granisce, i frutticelli prendono consistenza farinosa, e dopo poco la pianta ingiallisce, cioè diventa sempre più matura. A questo punto il grano viene mietuto, cioè falciato e raccolto in covoni, dopo di che è lasciato all’azione del sole che ne assorbe l’umidità. Quando il grano è ben secco viene passato alla macchina trebbiatrice che separa il chicco dalla paglia e dalla pula. I chicchi così ottenuti vengono portati al granaio dove subiscono altre operazioni: la vagliatura, cioè la separazione del chicco dalla pula (il suo rivestimento) che vi fosse ancora restata, e quindi la conciatura, cioè una preparazione fatta per impedire che i parassiti attacchino il raccolto. A questo punto il grano è pronto per essere portato al mulino e macinato. Anticamente gli uomini trituravano il chicco fra due pietre e questo sistema è ancora in uso presso alcune popolazioni. In seguito, come si è detto, furono costruiti mulini formati da due grosse pietre (macine) fatte girare una sull’altra con diversi mezzi. Anche qui il progresso ci ha saputo dare mulini perfezionati che fanno non soltanto il lavoro di macinatura, ma anche quello di spulatura, di cernita dei semi e di setacciatura. (Per molto altro materiale sul grano vai qui: https://www.lapappadolce.net/tag/grano/).
Storia del grano
Gli antichi uomini che vivevano nelle praterie dell’Asia e si spostavano qua e là dietro le loro greggi, conoscevano già questa utile piantina. Essi avevano imparato a liberare un tratto di terreno dalle altre erbe e a gettarvi sopra i chicchi.
Il grano sfrutta intensamente il terreno nel quale è coltivato, perchè succhia tutti i sali minerali che esso contiene. Se non viene intensamente concimato, ben presto questo terreno non può più nutrire le piante.
Gli antichi uomini, però, non conoscevano l’arte di concimare i terreni. Quando un campo non rendeva, lo abbandonavano e si spostavano dove il terreno era ancora fertile.
Così, sulla scia dei primi uomini, che dall’Asia si diffusero in tutte le terre conosciute, anche il grano raggiunse l’Europa, l’Africa, l’America.
A che cosa serve il grano?
I chicchi del grano sono usati dagli uomini per farne pane e pasta. I chicchi di grano macinati nei mulini, cioè schiacciati e tritati con le macine, diventano farina.
Il grano tenero, quello che serve a fare il pane, sopo esser stato macinato viene setacciato. In questo modo la farina viene liberata dalla crusca, cioè dalla buccia dei chicchi che è dura e di colore scuro. La farina che rimane è bianca e ricca di amido, ma ha perso, con la crusca, parte del glutine e delle vitamine.
Il pane scuro, quello fatto con la farina nella quale è rimasta un po’ di crusca, benchè a molti piaccia meno del pane bianco, è in realtà più nutriente. Con la farina ottenuta macinando il grano duro, quello ricco di glutine, si fabbrica, invece, la pasta.
La tecnica contro la fame
I Romani diffusero la coltivazione del grano in tutto il loro vasto impero: essi inventarono anche una macina entro cui il grano veniva sfarinato in modo finissimo. Molti fornai facevano lavorare gli operai con guanti e maschere di garza, perchè il sudore e l’alito non contaminassero l’impasto.
Una delle poche invenzioni del Medioevo riguarda il frumento: si tratta dei mulini a vento, sviluppati poi dagli olandesi.
In epoca moderna, vennero le grandi invenzioni tecniche che facilitarono la lavorazione del grano: la prima aratrice e seminatrice meccanica, le prime mietitrici-trebbiatrici tirate dai cavalli, e poi le prime macchine a vapore per il lavoro dei campi. Giacomo Watt, l’inventore della macchina a vapore, costruì un mulino a vapore sul Tamigi, ma i mugnai di Londra glielo incendiarono.
Oggi la tecnica produce aratri meccanici capaci di tracciare contemporaneamente 18 solchi profondi 40 cm, di collocare i semi, concimare e ricoprire, tutto in una sola passata! Nello stesso tempo, gli scienziati selezionano e incrociano le varietà di grano per trovare quelle che meglio si adattano a un clima o all’altro, quelle che producono di più, quelle che servono ad usi speciali come la produzione della pasta dal grano duro.
Sono conquiste della scienza che spesso non si trovano sui libri, ma si tratta delle invenzioni più preziose.
La semina del grano
In che cosa consiste la semina?
Quale lavoro ha fatto il contadino prima di spargere i semi?
Come può essere fatta la semina?
Un chicco di grano darà una o più spighe?
Che cos’è la spiga?
In quale stagione, nel nostro paese, viene fatta normalmente la semina? Quando viene fatto il raccolto?
Che cosa si ricava dal grano?
Quali sono i nemici del grano?
Com’è il fiore del grano?
Che cos’è l’erpicatura?
Quale prova fa il contadino per accertarsi di aver acquistato dell’ottimo grano?
Il grano
Fra tutti i cereali, il più diffuso ed il più utile, perchè dà farina dall’alto potere nutritivo, è il grano o frumento. Lo si conosce da tempo immemorabile. La sua farina, mescolata con sostanze adatte che le permettono di lievitare e di gonfiarsi, dà il pane, la base dell’alimentazione umana dal tempo degli antichi Egizi che lo fabbricarono per primi. Data la grande diffusione del frumento in tutto il mondo, è logico pensare che ne esistano innumerevoli varietà, come è in realtà.
Una grande distinzione è quella che si fa tra frumenti di grano tenero e quelli di grano duro; i primi danno specialmente farina da pane, mentre gli altri, che sono assai ricchi di una sostanza molto nutriente, il glutine, producono una farina adatta a preparare paste alimentari.
Il grano duro, diffuso per opera degli Arabi, è coltivato in Canada e nelle regioni mediterranee.
Il frumento viene seminato in autunno; dopo pochi giorni germoglia e spunta dal terreno come una tenera pianticella. Durante l’inverno il freddo ne arresta la crescita, ma non la danneggia. Tutti conosciamo il detto “sotto la neve pane”, che ci ricorda come la neve, con la sua coltre, protegge i teneri germogli, impedendo loro di gelare. Coi primi soli primaverili il grano riprende a crescere: verso la tarda primavera o l’estate, secondo i climi, sarà pronto per la falce.
In Egitto comincia la storia del pane
Seimila anni or sono, il frumento era già apparso sulle rive del Nilo. Le pianticelle del nuovo cereale provenivano dall’Altipiano Etiopico. Furono ben accolte dagli abili agricoltori egiziani e seminate con cura sui campi fecondati dal Nilo, accanto a un altro cereale dai duri chicchi: l’orzo.
Con l’orzo e col frumento non di faceva il pane: i chicchi venivano schiacciati, la grossolana farina veniva impastata con acqua e cotta in focacce, fra mattoni roventi.
Ma un giorno una donna, dopo aver preparato le focacce per il giorno dopo, dimenticò un po’ di pasta in un angolo. Qualche tempo dopo, nel riprendere la lavorazione, si accorse di questa pasta e vide che in essa erano avvenuti strani cambiamenti: si era gonfiata ed appariva piena di bollicine.
Oggi noi sappiamo che si trattava delle spore del lievito che, portate dall’aria, avevano fatto inacidire e lievitare l’impasto. Allora, la donna egizia non seppe che pensare. Chiamò tutta la famiglia e mise quella strana pasta nel forno.
Era un prodigio davvero, un miracolo della provvidenza che conduceva l’uomo alla scoperta del pane: dal forno non uscì la solita focaccia, ma qualcosa completamente nuova, una sostanza profumata, soffice, diversa da quanto s’era visto e mangiato fino allora: era nato il pane!
Il grano, base della nostra alimentazione
Da tempo immemorabile il frumento è stato alla base della nostra alimentazione, insieme con una certa misura di altri cereali: pane italiano di tutte le fogge, dalle larghe pagnotte pugliesi ai bianchi gioielli in pasta di semola ed agli azzimi della Sardegna, pane di tutte le sfumature fra il nero e il candido, pane ad acqua, olio e mentuccia dei pastori maremmani e sfilatino spaccato, col pomodoro dentro, degli operai napoletani.
E poi la piada romagnola, la pizza, la schiacciata di Mantova, le infinite varietà di paste alimentari… E, del frumento, esistono due principali qualità: il grano tenero, usato per il pane, e il grano duro, usato per le paste.
L’Italia del centro e del nord coltiva soltanto il primo, le isole maggiori coltivano soprattutto il secondo. In tutto, circa un quinto della nostra superficie coltivabile è dedicata al grano; ma, sia per insufficienti metodi di coltura, che per altre ragioni, non raggiungiamo ancora l’autosufficienza. Per di più, la produzione varia molto da regione a regione, a causa del diverso rendimento del suolo. Ad esempio, la Sicilia è al primo posto in rapporto all’area coltivata a grano, ma al quarto o quinto posto per produzione.
Il grano e l’uomo
Tra giugno e luglio, il grano dona all’uomo il so frutto prezioso ed il campo, pieno e dorato, rivela tutta la sua ricchezza. La falce o la macchina recidono lo stelo: è la mietitura. Con la trebbiatura le cariossidi vengono separate dalle spighe ed i chicchi, così ottenuti, vengono avviati ai mulini, dove dal pericarpo si ricaverà la crusca e dal seme la farina, con la quale verrà fatto il pane e la pasta.
Il calendario del grano
Se vi chiedessero in che mese si miete il grano, voi risponderesti “In giugno” e sbagliereste. Il grano si raccoglie durante tutto l’anno e non c’è mese dell’anno in cui non di mieta in qualche Paese del mondo. Il grano infatti è il cereale più diffuso sulla terra e alligna e prospera da per tutto, dai Tropici al Circolo Polare. Ecco un interessante calendario del grano.
In giugno si miete in Italia, in altri Paesi del Mediterraneo e in California.
Il luglio si miete in Francia, in Ungheria, nella Russia meridionale, negli Stati Uniti e nel Canada.
In agosto si miete in Germania, in Belgio, in Inghilterra e nel Canada orientale.
In settembre si miete nel Canada settentrionale, in Scozia, in Scandinavia e nella Russia centrale.
In ottobre si miete nella Russia settentrionale.
In novembre nell’Africa australe.
In dicembre nell’Australia e nella Nuova Zelanda.
In gennaio si miete in Argentina.
In febbraio in India.
In marzo in India e in Egitto.
In aprile nei Paesi del Mediterraneo orientale e in Messico.
Finalmente, in maggio, si miete in Cina.
Quale raccolto può dare un solo seme di frumento?
Il frumento dell’uomo primitivo era esiguo. Probabilmente ogni pianta dava un solo stelo con scarsi chicchi.
Ora da un solo seme si ottengono da sei a dodici steli, ed alcune piante ne hanno tre o quattro dozzine, con la ricchezza di altrettante spighe.
Una spiga può produrre da trenta a cinquanta chicchi; dunque un solo seme di frumento può dare oggi un raccolto di tre o quattrocento chicchi.
Le radici del frumento e la loro parte nella maturazione del chicco
La pianta del frumento è meravigliosamente adatta per l’impollinazione a mezzo del vento, sebbene spesso si impollini da sè. Il fiore a spiga si eleva nell’aria, e le antere mature, che contengono il polline, sono spinte fuori.
Essendo lunghi e sottili, questi filamenti penzolano e oscillano alla minima scossa; perciò il loro polline cade sull’estremità del pistillo provvisto di peli, che facilmente trattengono il polline.
La pianta ora comincia ad utilizzare la grande quantità d’alimento immagazzinata nelle sue radici facendo così maturare i chicchi. Le radici penetrano fino a considerevole profondità nel terreno per trarne abbondante nutrimento, e se le varie pari delle radici si disponessero in linea retta esse raggiungerebbero una lunghezza inverosimile.
La pianta di frumento sta in posizione eretta, sebbene abbia un’apparenza così fragile; il fusto di grano è il più bell’esempio di forza combinata con la leggerezza e l’economia del materiale.
Un buon chicco di grano è gonfio ed ha un rivestimento liscio e sottile: tagliato in mezzo, esso appare semitrasparente.
I molti nemici del grano
Il frumento ha molti nemici, che l’agricoltore deve continuamente combattere per salvare il prodotto.
Il topo campagnolo a coda lunga e il topo dei raccolti divorano i chicchi in sviluppo; il topo comune ed il ratto attaccano lo stelo; insetti dannosi, quali la mosca del grano, la cimice, qualche specie di dittero e il moscerino del grano attaccano la pianta in sviluppo.
Affliggono il frumento anche varie specie di funghi delle quali la peggiore è la notissima “ruggine del grano”, che segnala la sua presenza a danno avvenuto, mediante strisce brune o nere sulle foglie.
Perchè la pasta è dura e compatta e il pane è soffice e spugnoso?
Vi ricordate quei piccolissimi esseri che vivono nell’aria, nella terra, nell’acqua, i batteri?
Oltre ai batteri, esistono altri piccolissimi esseri viventi, anche essi tanto piccoli da essere invisibili. Alcuni di essi si chiamano lieviti e sono piccolissimi funghi, che possono vivere liberi nell’aria.
Come tutti gli esseri viventi, anche i lieviti si nutrono e respirano.
che cosa avviene nella pasta del pane, cioè nella farina impastata con l’acqua, quando in essa vanno a cadere alcuni di questi lieviti?
I lieviti nella pasta del pane incominciano a nutrirsi e a produrre, fra l’altro, un gas, l’anidride carbonica.
L’anidride carbonica forma nella pasta del pane delle bolle. La pasta si gonfia e non è più compatta. Quando poi il pane è messo nel forno, il calore fa evaporare l’anidride carbonica e il pane resta tutto pieno di cavità, come una spugna.
Quando i panettieri fanno il pane, non possono certamente aspettare che nella loro pasta vadano a cadere i lieviti che sono nell’aria.
Adoperano quindi dei lieviti disseccati, riuniti a formare quello che si chiama lievito di birra. Non appena mescolati alla pasta e tenuti in ambiente caldo, i lieviti cominciano a nutrirsi e a respirare e, in breve tempo, il pane si gonfia, o come si dice meglio, lievita.
Il pane lievitato viene messo a cuocere nel forno, dal quale esce dorato e croccante.
Il calore del forno, però, deve essere ben dosato. Se nel forno il calore è troppo poco, il pane resta umido e molliccio; se il calore invece è troppo, il pane brucia e diventa nero e duro come il carbone. Tutti i forni perciò sono muniti di un termometro situato fuori dal forno, sul quale si può controllare qual è, in ogni momento, la temperatura all’interno. (P. Gribaudi)
Il grano
Ogni chicco di grano è un frutto di forma ovoidale, chiamato cariosside. Appuntito da una parte e arrotondato dall’altra, ricoperta da una lieve penuria, esso è percorso, per tutta la sua lunghezza, da un solco stretto. Il frutto vero e proprio è il solo pericarpo, costituito da una serie di membrane tegumentali sovrapposte, aventi uno spessore complessivo non superiore a un decimo di millimetro. Esse sono: il tegumento proprio del seme, la testa, sotto la quale si trova lo strato di aleurone, che contiene il glutine. Il glutine è una sostanza gommosa, che rende elastico l’impasto della farina con l’acqua e che rende il pane più nutriente e di più facile digestione. Nell’interno, infine, si trova il seme costituito dalla mandorla, che nei grani teneri è bianca e farinosa e nei grani duri è verde e vetrosa, e dell’embrione o germe del grano. Anche l’embrione è ricco di glutine. Nel chicco di grano troviamo le stesse parti che abbiamo osservato nel fagiolo, ma un solo cotiledone, piccolo e difficilmente distinguibile, che si trova tra l’embrione e la mandorla.
Il chicco di grano viene seminato in autunno o in primavera in un terreno rimosso, in modo che l’aria lo raggiunga facilmente. Se la temperatura è di almeno sei gradi, ha inizio la germinazione. Utilizzando le riserve contenute nel seme, la radichetta si sviluppa dirigendosi verso il basso mentre il fusticino si volge verso l’alto. La radice è costituita da un fascio di filamenti, lunghi fino a un metro.
Il fusto o stelo di grano è quanto di più razionalmente economico si possa concepire; esso è costituito da un tubetto di cellulosa, rinforzato da molto materiale siliceo e vuoto all’interno. Robustezza e leggerezza danno un’armonica combinazione di forza e di economia di materiale. Lo stelo è suddiviso in cinque – otto segmenti, separati da ingrossamenti detti nodi. In corrispondenza di questi si trovano le foglie a forma di nastro, appuntito all’esterno, mentre alla base formano una specie di grondaia per deviare l’acqua di pioggia. Inferiormente al nodo, la foglia avvolge strettamente lo stelo fino al nodo sottostante.
La fioritura del grano non è vistosa, essendo il verde l’unico colore che si nota; anche gli insetti ignorano l’esistenza di questi fiori. Inoltre, tra la pianta matura e la pianta in fiore non si nota una grande differenza: sia i fiori che i frutti sono disposti a spiga e si formano all’estremità del fusto. Nel grano i fiori sono disposti su due file e risultano costituiti da una sorta di foglie, dette glume, e da altre più piccole, chiamate glumette: le une e le altre racchiudono gli organi propri del fiore. Tra questi si notano due pennacchi piumosi dei quali, per ora, notiamo la presenza senza precisarne le funzioni, di cui si parlerà più avanti.
Il passaggio dal fiore al frutto si nota appena all’esterno. I chicchi, allocati là dove si trovano i fiori, sono rivestiti dalle glumette e dalle glume; talvolta queste ultime si prolungano in un sottile e rigido filamento, la resta.
A questo punto si può considerare concluso il ciclo vitale del grano che, come il fagiolo, è una pianta annuale. (S. Stolfa)
La storia del pane
I primi uomini non sapevano coltivare le piante. Vagavano tra le steppe e le immense foreste a caccia di animali, mentre le donne scavavano le radici commestibili e raccoglievano semi e bacche. C’erano alcuni semi che ogni anno, d’estate, si trovano in abbondanza in certe zone: erano i chicchi d’orzo e di frumento. Le donne li raccoglievano, e riempivano bisacce di pelle, pr portarli con sè nei lunghi vagabondaggi nella foresta. Prima di partire, però, non dimenticavano di spargere qualche chicco sul terreno per propiziarsi gli dei. Quando, dopo il duro inverno, ritornavano sui loro passi, trovavano con grande meraviglia che i chicchi lasciati sul terreno avevano germinato e dato origine a nuove pianticelle, dalle spighe gonfie. Fu così che l’uomo imparò a seminare i chicchi per ottenere nuove piante. E fu in questo modo che alcuni uomini da cacciatori, si fecero agricoltori, coltivando il grano per sè e per le loro famiglie, e inventarono nuovi attrezzi per lavorare la terra, quali le vanghe e più tardi gli aratri. E poichè la vita dell’agricoltore è un po’ meno dura di quella del cacciatore, la popolazione rapidamente si moltiplicò. Ma non si conosceva ancora l’arte di preparare il pane.
Il grano non era un cibo adatto per i bambini più piccini. Essi non riuscivano a masticare quei semi così duri. Qualche mamma pensò allora che si poteva anche triturarli pestandoli tra due pietre. Provò e riuscì ad ottenere una farina grossolana, che piacque ai piccini e anche ai grandi. Aveva scoperto il modo di macinare il grano. Con la farina d’orzo e di frumento le donne impastavano piccole gallette che seccavano al sole. Poi impararono a mettere le focacce di pasta sopra pietre roventi o tra le braci, o sotto la cenere. La pasta abbrustolita e cotta era molti più saporita. Era nato il pane. Anche i cacciatori ora partivano per le battute di caccia nella foresta con una scorta di focacce di pane nella bisaccia. Il pane era un alimento meraviglioso: poco meno nutriente della carne, poteva essere conservato assai più a lungo, specie nella stagione calda. Intanto, col passare del tempo, l’uomo imparava sempre meglio a lavorare la terra per seminarvi il grano. Nelle palafitte del lago di Ledro è stato trovato un aratro di legno. Dunque a quel tempo non si smuovevano più le zolle con il rudimentale punteruolo, ma si arava già con l’aiuto degli animali da traino, e il grano, nel terreno così preparato, cresceva più abbondante.
I primi a conoscere l’arte di preparare il pane vero e proprio furono gli Egiziani. Lo storico Erodoto ci narra che in Egitto gli schiavi usavano impastarlo con i piedi, cuocendolo poi in forma di piccole pagnotte rotonde o di sfilatini. Il pane comune era di farina d’orzo; quello di frumento era riservato ai ricchi e alla corte del Faraone. Le pagnotte servivano anche come moneta: i servi venivano pagati con forme di pane. Era così grande il valore attribuito al grano che spesso i mercanti partivano con le navi cariche di frumento, per usarlo come mezzo di pagamento nei porti dove si recavano ad acquistare le merci. Le prime monete greche di metallo pregiato portavano spesso incisa una spiga., per ricordare che la moneta stessa rappresentava la vera ricchezza: il grano. L’invenzione del pane diede un grandissimo impulso al progresso umano. L’agricoltore, infatti, doveva quasi ogni giorno risolvere nuovi problemi: scavare canali per irrigare i suoi campi, costruire carri per trasportare il suo grano, dividere e misurare gli appezzamenti di terra, stabilire un calendario che gli dicesse quando seminare e quando mietere. Dal lavoro agricolo nacque la prima scienza umana.
Presso i Romani troviamo i primi forni pubblici, in cui la gente poteva andare ad acquistare il pane come si fa oggi nelle panetterie. Questi forni erano controllati dallo Stato, per evitare che alla farina si mescolassero sostanze non permesse. I fornai erano spesso schiavi alle dipendenze di un padrone. Già allora, per alleviare la fatica, si usavano macchine impastatrici formate da una vasca circolare di pietra in cui un grosso legno a pale rimestava la farina e la impastava. Non tutti però si servivano dei forni pubblici. Le grandi famiglie romane avevano forni privati, con propri schiavi panettieri. Negli scavi di Pompei sono stati rinvenuti alcuni di questi forni. Ma l’Impero cadde sotto l’urto dei barbari, e l’agricoltura rapidamente declinò. I barbari infatti non erano agricoltori, ma cacciatori e guerrieri; e dovette trascorrere molto tempo prima che essi imparassero quell’arte, nuova per loro. I forni pubblici spariscono: chi può, specialmente in campagna, si cuoce da solo il proprio pane. Il grano è nascosto nelle botti e negli otri, per evitare che venga prelevato dalle soldataglie. Il pane si cuoce una o due volte al mese: ma sono pochi quelli che possono mangiarne tutti i giorni.
Al tempo del feudalesimo le cose non vanno meglio che durante le invasioni barbariche. I signori feudali impongono ai contadini di usare solo il mulino e il forno del castello e arrivano a proibire i forni privati. In tal modo riescono a farsi pagare tasse sempre più forti. Bisognerà attendere il sorgere dei Comuni per vedere riapparire i fornai come artigiani indipendenti, uniti in corporazioni. Nel Comune, però, i fornai si limitavano a cuocere il pane preparato in casa dal cliente stesso. Erano rari quelli che ricevevano la farina o addirittura il grano da macinare. Nel Rinascimento l’arte di fare il pane si perfeziona e si diffondono ovunque i forni pubblici. I ricchi tuttavia preferiscono avere il loro forno in casa, anche per essere sicuri di mangiare pane genuino. In quei tempi di carestie frequenti, infatti, certi fornai usavano mescolare la farina con altre polveri. Il popolino considerava tutti i panettieri ladri e affamatori, a volte assaltava i forni per vendicarsi. Pene severissime erano riservate ai panettieri disonesti: se si coglievano in fallo venivano inchiodati per un orecchio alle porte della bottega.
Oggi i panettieri non vengono più inchiodati per un orecchio, come qualche secolo fa, anche se qualche volta si trovano ancora i disonesti che mescolano al pane sostanze nocive o non consentite dalla legge. Si deve riconoscere che il pane che mangiamo noi è pulito e genuino, oltre che saporito, grazie ai rigorosi controlli igienici e alle moderne macchine che permettono la completa lavorazione automatica. E’ assai diffuso tuttavia l’uso del pane bianco, assai più digeribile ma meno completo e perciò meno nutriente del pane nero o integrale. Fin dall’antichità si cercò di costruire macchine che facilitassero il lavoro faticoso del fornaio, ma i primi buoni risultati si ottennero solo verso il 1800. Da allora si è continuato a perfezionare le macchine, a costruirne di nuove, fino ad arrivare alle attrezzature dei moderni panifici, dotati di perfetti forni elettrici o a vapore. Sopravvivono ancora i forni a legna.
La panificazione
Oggi la panificazione viene effettuata con macchine automatiche. Noi però vi faremo vedere come si prepara il pane a mano, per rendere più comprensibile il procedimento.
Innanzitutto si fa un impasto di farina, lievito e poca acqua.
Quando la pasta incomincia a lievitare si aggiunge altra acqua e farina.
Il lievito rende gonfio e spugnoso l’impasto. Alla fine si aggiunge il sale.
Quando la fermentazione è a buon punto, si divide la pasta in pezzetti.
Ogni pezzetto viene modellato e poi ridotto nella forma dovuta.
Ora le pagnotte si lasciano riposare perchè finiscano la fermentazione.
Dopo circa mezz’ora si introducono nel forno a temperatura di 200 – 300 gradi.
Il pane si dilata ancora al calore, forma la crosta e cuoce. E’ pronto per la vendita.
Pane per tutti
Il pane può avere forme svariatissime. In Francia di solito è preparato in grossi sfilati lunghi mezzo metro e più. In Germania abbiamo grosse pagnotte scure, fatte con grano e segale. In Austria sono famosi i piccoli pani di Vienna. In Ungheria le grosse forme di due o tre chili sono fatte con farina di frumento e di patate. In Italia… lo sapete anche voi quante qualità di pane, condito o semplice, si possono trovare dal panettiere. Oggi da noi il pane si trova in abbondanza e a prezzi accessibili a tutti.
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Il riso
E’ una pianta conosciuta dalla più remota età. I primi a coltivarla pare siano stati gli Indiani e quindi i Cinesi ed i Giapponesi che oggi ne fanno il loro nutrimento principale. il riso si semina fitto in appositi vivai da dove si trasporta, poi, a dimora, costituita da campi allagati naturalmente o artificialmente, che si chiamano risaie e nelle quali prospera fra i lunghi argini che soli interrompono le vaste pianure. In giugno o luglio ha luogo la monda, cioè l’estirpazione delle cattive erbe che crescono in mezzo alle piante di riso. Tale lavoro veniva un tempo svolto dalle mondine, che stavano ore ed ore con l’acqua fino alle ginocchia, sotto il sole cocente, a compiere la loro grave fatica. D’autunno si prosciugano i campi e le spighe di riso, giunte a maturazione, vengono falciate. Quando il riso è asciutto si batte, cioè si separano i granelli dallo stelo, e si raccoglie in sacchi che vengono posti ad essiccare in appositi forni. Il riso che noi comunemente usiamo è il riso brillato, cioè privo della pellicola esterna.
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Il granoturco
Sono note a tutti le gialle pannocchie fitte di chicchi, che si producono quasi in ogni regione d’Italia. In qualche paese le pannocchie vengono consumate dopo averle abbrustolite sul fuoco, ma generalmente i chicchi vengono macinati ricavandone una farina con cui si fa la polenta, cibo di facile digeribilità e di alto potere nutritivo. Il granoturco è originario dell’America del Sud e fu importato in Europa nel XVI secolo. Si semina in aprile e maggio e il suo raccolto si effettua per lo più in settembre.
La scoperta del mais
La terza graminacea in ordine di importanza (precedono il frumento e il riso) è il granoturco. Turco? E’ forse originario della repubblica della mezzaluna? State a sentire.
Nell’anno 1492, il giorno 28 ottobre, verso mezzogiorno, tre minuscole caravelle chiamate Santa Maria, Nina e Pinta toccarono per la prima volta le coste dell’isola di Cuba; e il grande genovese che le aveva guidate oltre i confini del mondo conosciuto, volendo avere qualche notizia di quell’isola meravigliosa, inviò a terra due suoi fidi: Rodrigo di Xeres e Luigi de Torres. Narrarono che i nativi si nutrivano spesso di certi grani chiamati maiz di buonissimo sapore quando erano cotti arrosto o pestati e ridotti in polenta. Si trattava del mais, del frumentone, il quale non tardò a essere trasportato e coltivato in Spagna donde si diffuse in molte Nazioni europee e anche, estesamente, in Italia.
Il mais
La pianta del mais venne importata nel 1543 in Toscana, nel 1560 a Rovigo. Le odierne varietà si distinguono per altezza, per forma, per grossezza, per l’epoca della semina e della raccolta.
La qualità più coltivata, perchè più redditizia, ha il chicco giallo; si semina all’inizio della primavera e si raccoglie al principio dell’autunno.
Nei luoghi che hanno la possibilità di irrigazione si seminano le varietà di breve vegetazione, il “quarantino” e il “cinquantino”, nei terreni che già hanno prodotto frumento.
Il seme deve essere tolto dalle pannocchie più belle sgranate al tempo della semina. Il granoturco vuole terreni freschi, poco compatti, ben concimati, profondamente arati. Appena le piantine segnano le file, richiedono la sarchiatura con zappa e aratrino e la diradatura. Il granoturco matura in pianura e in collina, fino a 500 metri sul livello del mare.
Attualmente in Italia la sua coltivazione è accentrata nelle regioni della polena, Piemonte, Lombardia, Veneto, poi nell’Emilia, Friuli, Toscana, Marche, Campania.
L’uso della farina di mais, privato della corteccia vitaminica che circonda il seme, portò nei secoli scorsi alle gravissime epidemie di una particolare avitaminosi (simile allo scorbuto) detta pellagra, che colpiva le genti dell’Italia settentrionale. Ora che la farina di granoturco va scomparendo dall’alimentazione, e comunque il suo uso è integrato da altri cibi apportatori di vitamine, anche la pellagra è praticamente scomparsa. Larga quantità della produzione di mais è destinata ora all’alimentazione del bestiame.
Le pannocchie
Or che il granoturco fu raccolto, a gara
le massaie hanno appeso in molte file
alle rozze verande le pannocchie.
Splendono le pannocchie sui graticci
di legno, gialle, d’un bel giallo ardente
che è quasi rosso, fitto di rotondi
chicchi, lieto allo sguardo e liete al cuore.
Splendono le pannocchie al sol d’autunno,
tutte certezza: ed ai fanciulli parlano
della polenta che la madre al fuoco
nel paiolo rimesta, e d’un sol colpo
sul tagliere arrovescia e, nel buon fumo
ravvolta, suddivide in tante fette
quante le bocche. (G. Pascoli)
La leggenda del mais
Noi sappiamo che il mais fu per lungo tempo coltivato dalla maggior parte delle tribù di Indiani d’America non nomadi, cioè le più numerose. Essi consideravano questa pianta preziosissima, un dono davvero divino: ne sapevano cucinare i frutti in mille modi diversi, da cui sono derivate molte tipiche ricette americane. Sul mais si narra questa leggenda, che fa parte delle tradizioni della tribù del nord dei Chippewas.
Woo-Na-Mone, genio delle foreste e delle piante, fu in vita un cacciatore valentissimo: aveva la forza dell’orso e la rapidità del daino, e mai la sua freccia falliva un bersaglio.
Accadde un giorno che i suoi magici mocassini lo portassero in un territorio sconosciuto. Di fronte alla prateria immensa di alte erbe che si stendevano a perdita d’occhio, il gran cacciatore non ebbe un momento di esitazione. La sua temeraria curiosità lo spinse a penetrare nella prateria. Ma egli non andò lontano: improvvisamente davanti a lui le verdi fronde si agitarono e apparve uno strano personaggio-
Era piccolo di statura, e a malapena, tendendo le braccia, avrebbe potuto sfiorare il viso di Woo-Na-Mone. Sul capo portava un pesante turbante, formato dai suoi capelli biondi intrecciati, tra cui spuntavano due lunghe e bizzarre fronde verdi. Il suo abito era tutto intero, liscio e verde come l’erba. Portava una sacca di foglie intrecciate da cui usciva una lunga pipa: egli la riempì e la offrì a Woo-Na-Mone, dopo averne tirato una boccata.
Woo-Na-Mone fumò a sua volta la pipa della pace, poi parlò: “Io sono il forte Woo-Na-Mone, a cui nessun uomo può resistere!”
E lo strano personaggio gli rispose: “Anch’io sono assai forte, più forte di ogni uomo, ma non ti dirò il mio nome, se non riuscirai a battermi!”
Woo-Na-Mone scoppiò in una gran risata e si alzò in tutta la sua imponente statura, gonfiando di orgoglio il suo poderoso torace. I suoi lunghi capelli neri e le frange scomposte del suo abito barbaro gli davano un aspetto davvero impressionante. Ma il piccolo sconosciuto non si lasciò turbare, e così parlò: “Se tu mi vincerai, dunque, io ti donerò qualcosa che potrai trasmettere alla tua tribù”.
Ebbe allora inizio la gara: vincitore sarebbe stato chi fosse riuscito per primo a mettere a terra l’avversario. Woo-Na-Mone si accorse ben presto che il suo antagonista era davvero molto veloce e molto forte, e più volte si trovò in difficoltà sotto l’attacco del piccolo sconosciuto.
Il cielo si arrossava ormai all’orizzonte: Woo-Na-Mone decise che la sua vittoria avrebbe dovuto brillare all’ultimo sole. Con un ultimo sforzo sollevò il piccolo uomo biondo e lo gettò al suolo con violenza, facendo fremere il terreno intorno, poi lo calpestò nella polvere, fra le erbe sparse.
“Sono vinto”, sospirò a questo punto lo strano personaggio, “tu sei davvero il più forte. Ascolta! Io sono il Mais. Faccio dono del mio corpo agli uomini dalla pelle rossa. Ricoprimi ora di terra in modo che io non mi possa più muovere. E tra luna sii di nuovo qui”.
Woo-Na-Mone obbedì: tornò nella grande prateria e lasciò trascorrere un’intera luna. Passato questo tempo, si avviò sul luogo dove aveva combattuto l’incredibile duello. Nel punto in cui il suo avversario era stato sepolto crescevano ora due lunghe foglie verdi, le stesse che adornavano il turbante del misterioso Mais. E a un tratto si sentì la sua voce: “Prenditi somma cura di questa pianta che tu vedi agitarsi alla brezza. Quando le sue pannocchie saranno mature, poni nella terra i semi e attendi. Quando i semi che tu avrai piantato daranno i loro frutti, tu prendi il raccolto e distribuiscilo tra gli Indiani. Dal nutrimento che darà loro questa pianta essi ben presto trarranno forza e ricchezza. Ma tu non dimenticare di rendere onore e gloria al mio nome ogni qual volta il raccolto di queste piante sarà maturo”.
Così ogni anno a settembre c’è festa tra i pellirosse; essi devono questo omaggio al Mais che tolse loro la paura della fame.
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La segale
La segale è il frumento delle terre povere e dei paesi di montagna dove non prospera il grano; dopo il frumento, essa contiene maggior percentuale di glutine di ogni altro cereale; è questa la ragione per la quale fu sempre intensamente coltivata in Europa, in regioni dove il suole e il clima non sono adatti a produrre il frumento.
La farina di segale è usata dalle nostre popolazioni di montagna soprattutto per la confezione del pane; ma per avere un pane veramente sostanzioso essi lo mescolano a farina di grano.
La paglia della segale è molto flessibile e lunga, ma non è adatta come cibo per il bestiame: essa, invece, è molto usata nella fabbricazione della carta, del cartone e dei cappelli di paglia, nonchè come lettiera per gli animali.
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Il grano saraceno
Originario dell’Asia, il cosiddetto grano saraceno viene coltivato specialmente nei paesi settentrionali ed in montagna, per farina che danno i suoi chicchi, adatta per il pane e per la polenta. Si tratta, come è noto, d’un grano di colore scuro, e questa leggenda vuole spiegare l’origine del suo colore.
Al calar del sole, tre viandanti accaldati, sudati, impolverati, entrarono in un villaggio. Nei cortili stavano finendo di battere il grano, e per l’aria ancora volava la pula.
“O di casa!” dissero i tre a una donna che stava spulando. Questa donna, che era vedova, li fece entrare e diede loro da mangiare e da dormire nel fienile, a patto che l’indomani l’aiutassero a battere. Quei viandanti, che erano il Signore, San Giovanni e San Pietro, andarono a dormire nel fienile. Allo spuntar del giorno, Pietro sentì cantare il gallo e disse: “Su, spicciamoci ad alzarci, perchè abbiamo mangiato ed è giusto che si lavori!”.
“Dormi e taci” rispose il Signore, e San Pietro si voltò dall’altra parte.
S’erano appena riaddormentati, quando capitò la vedova con un bastone in mano, e: “Beh? Credete di starvene a poltrire dino al giorno del giudizio, voi altri? Dopo aver mangiato e bevuto alle mie spalle?”. Lasciò andare una legnata sulla schiena di Pietro, e se ne andò di furia.
“Avete visto se avevo ragione?” disse Pietro, fregandosi le spalle. “Su, su, andiamo a lavorare, se no quest’accidente di donna ci concia per le feste”
E il Signore di nuovo: “Dormi e taci”.
“Dite bene voi, ma se torna, se la prende con me!”
“Se hai tanta paura” disse il Signore, “passa qua, e lascia che al tuo posto vada Giovanni”.
Cambiarono di posto e poi si riaddormentarono tutti e tre.
La vedova tornò tutta invelenita, col bastone. “Come, ancora a dormire, siete?” e, per non fare ingiustizie, stavolta diede una bastonata a quello di mezzo, che era di nuovo Pietro.
“Sempre a me!” gemeva Pietro; e il Signore, per farlo stare tranquillo, scambiò il posto con lui. “Così sei più riparato. Dormi e taci”.
Tornò la vedova, e: “Adesso tocca a te!” e giù un’altra legnata a Pietro, che stavolta saltò fuori dal fieno.
“Il Signore dica pure quel che vuole, ma io qua non ci resto” e corse in cortile a prendere la trebbia e a mettersi al lavoro più lontano che poteva da quel diavolo di donna.
Un momento dopo giunsero anche il Signore e San Giovanni, presero le trebbie anche loro, ma il Signore disse: “Portami un tizzone acceso” e fatto segno agli altri che stessero quieti, diede fuoco ai quattro angoli dell’aia. In un attimo ci fu una gran fiammata che avvolse i covoni. Quando si spense, si credeva di aver solo cenere: invece c’era tutto lo strame a destra, tutta la paglia a manca, la pula in aria, e il grano in mezzo, tutto fuori dalle spighe, bello e pulito come fosse già spulato e abburattato. La battitura era fatta, senza neanche dare un colpo di trebbia.
I tre non aspettarono nemmeno d’esser ringraziati; escono dal cortile e se ne vanno. Ma la vedova, invece di pentirsi della sua prepotenze e di contentarsi di quella bella trebbiatura senza fatica, fa subito sgombrare l’aia, fa misurare e portar via il frumento, e fa portare sull’aia un altro carico di covoni. Appena gli uomini ebbero slegato i covoni, la vedova prese anche lei un tizzone e diede fuoco all’aia. Ma stavolta le fiamme bruciarono davvero, e il grano ardeva scoppiettando come frittelle in padella.
La vedova, con le mani nei capelli, corse fuori nel villaggio per raggiungere i tre viandanti. Appena li vide, si buttò in ginocchio e raccontò la sua disgrazia. Il Signore, visto che era pentita davvero, disse a Pietro: “Va’, salva quello che puoi, e insegnale che si deve rendere bene per male”.
San Pietro arrivò sul battuto e fece il segno della croce: la fiamma si spense e il grano mezzo abbrustolito si radunò tutto in un grumo. Nero com’era, sformato, scoppiato, non sembrava più frumento; ma, per la benedizione di San Pietro, era ancora pieno di farina, e quei granelli scuri, piccini, puntiti, furono il primo grano saraceno che si vide sulla terra. (Italo Calvino)
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