GLI APPENNINI materiale didattico vario per la scuola primaria.

Gli Appennini
Chi risale la strada che da Savona (Liguria) inerpicandosi conduce in Piemonte, giunto alla sommità dell’erta, nel momento in cui inizia la discesa, può scorgere alla sua destra la prima falda dell’Appennino.
Questo sistema montuoso, colonna vertebrale della penisola italiana, appare saldamente radicato al continente: si aggancia infatti al primo pendio alpino  che lo fronteggia al passo di Cadibona, e in Piemonte distende lunghe propaggini collinari verso la nascente pianura padana.

L’Appennino, esteso dalla Liguria alla Sicilia, supera di circa 200 chilometri la lunghezza del sistema alpino e, in alcuni tratti, ne uguaglia lo spessore.  Sistema notevole, quindi, ma non paragonabile di certo a quello alpino per imponenza di forme (il profilo tondeggiante prevale su quello aguzzo), per compattezza di roccia (alle salde pareti alpine contrasta lo sfasciume delle dorsali appenniniche), per altezza di vette (poche superano i 2000 metri), per ricchezza di ghiacci e di nevi (nessun ghiacciaio scintilla nelle alte conche; pochi nevai ricoprono i dossi).

Nel suo insieme, il sistema appenninico non ripete la disposizione ad arco delle catene alpine; esso è costituito da tre segmenti rettilinei successivi, i quali, se non spezzano la continuità del sistema, ne mutano tuttavia la direzione; ad un primo segmento da nord-ovest a sud-est segue un secondo segmento appoggiato alla costa adriatica, quasi in direzione nord-sud, e a questo un terzo segmento riportato al centro della penisola.
L’Appennino non procede, solo e massiccio, attraverso tutta la penisola; a tratti, lo fiancheggiano altri rilievi: nasce l’immagine di una schiera lunga e compatta che, ad un certo momento, cammini fra due ali di folla allineata ora a sinistra ora a destra. Sono rilievi ordinati in brevi catene, in massicci di estensione limitata, in ampi altipiani; si innalzano di fronte alle catene appenniniche, ora vicini ora discosti, sul lato del Tirreno e su quello dell’Adriatico, in Toscana, nel Lazio, nella Campania, nella Puglia, in quei luoghi, cioè, dove l’Appennino sembra ritrarsi in se stesso per lasciare spazio alle pianure, alle colline, ai rilievi di cui s’è fatto cenno, indicati da alcuni geografi con la denominazione comune di antiappennino.

L’Appennino è formato da rocce tenere, incapaci di resistere validamene all’azione delle acque; sono ora ammassi di rocce impermeabili sulle quali le piogge scorrono rapidamente, dilavando, limando, scavando solchi sempre più profondi (calanchi), determinando cedimenti e frane; ora sono formazioni di rocce permeabili che bevono come spugne le acque, le assorbono in profondità, lasciando arida la montagna e scaricandole in potenti risorgive ai piedi dell’Appennino.

In questo ambiente è facile immaginare come la vegetazione di media ed alta quota incontri gravi ostacoli allo sviluppo ed alla diffusione; l’uomo, da parte sua, ha contribuito in vaste plaghe a peggiorare la situazione con un diboscamento eccessivo, disordinato. I fianchi di intere montagne, ormai tutto  uno sfasciume, rendono pressocchè impossibile l’opera di rimboschimento; del resto complessa è tale opera anche nelle zone appenniniche più aride. Dove la vegetazione riesce ad imporsi crescono il castagno, il faggio e l’abete (nell’Appennino Centrale e Meridionale verdeggiano fino oltre i 2000 metri); l’olivo mette radici nelle fasce appenniniche della Liguria e della Calabria. Gli stessi pascoli, per l’aridità del suolo, sono meno estesi e meno ricchi; più che alle mandrie dei bovini offrono cibo alle greggi che, numerose, migrano nella buona stagione verso di essi, ritornando a valle alle prime avvisaglie del freddo.

Suddivisione degli Appennini
L’Appennino si divide in Settentrionale, Centrale e Meridionale.
L’Appennino Settentrionale si estende dal Colle di Cadibona alla Bocca Serriola. Le vette più alte sono quelle del Maggiorasca, del Falterona, del Monte Cimone. L’Appennino prende il nome di Ligure e Tosco-Emiliano. In questo tratto esso è superato da molte strade di valico. I valichi più importanti sono il Passo dei Giovi e il Passo del Turchino, che uniscono la Liguria al Piemonte; il Passo della Cisa, il Passo dell’Abetone, il Passo della Porretta e il Passo della Futa, che uniscono l’Emilia alla Toscana.
L’Appennino Centrale si estende dalla Bocca Serriola alla Sella di Rionero. Le vette più alte sono nel massiccio del Gran Sanno (Monte Corno), della Maiella (Monte Amaro) e del Monte Velino. L’Appennino prende il nome di di Umbro-Marchigiano e Abruzzese. Il valico più importante è quello di Sella di Corno, che unisce l’Umbria al Lazio.
L’Appennino Meridionale si estende dalla Sella di Rionero allo Stretto di Messina. Le vette più elevate sono nel massiccio del Pollino e nell’Aspromonte. Notevole è l’altipiano della Sila. L’Appennino Meridionale prende il nome di Campano, Lucano e Calabrese.

GLI APPENNINI materiale didattico vario

Valichi e trafori appenninici
Nella barriera appenninica si aprono valichi che permettono il passaggio di vie di comunicazione tra le regioni italiane. I principali sono:
– Passo dei Giovi, tra Liguria e Piemonte
– Passo della Scoffera, in Liguria per l’Emilia
– Passo di Cento Croci, tra Liguria e Emilia
– Passo della Cisa, Passo del Cerreto, Passo dell’Abetone e Passo dei Mandrioli, tra Emilia e Toscana
– Passo della Porretta, della Futa, della Raticosa e del Muraglione, in Toscana per l’Emilia Romagna
– Passo di Bocca Trabaria e di Bocca Serriola, tra Marche ed Umbria
– Passo di sella di Corno, tra Abruzzo e Lazio.
Numerosi trafori ferroviari ed autostradali si addentrano per brevi tratti nelle catene appenniniche, collegando fra loro le regioni italiane. Di notevole importanza è la galleria ferroviaria sulla direttissima Firenze-Bologna.

Vette più importanti della catena appenninica
Gli Appennini si innalzano alle quote più alte nella sezione centrale; vanno decrescendo nella sezione meridionale, sono poco elevati in quella settentrionale.
Etna (3263) m Appennino siciliano
Gran Sasso d’Italia (2914 m) Appennino abruzzese
Maiella (2795 m) Appennino abruzzese
Monte Velino (2487 m) Appennino abruzzese
Monte Vettore  (2478 m) Appennino umbro-marchigiano
Monte Sirente  (2349 m) Appennino abruzzese
Monte Pollino  (2271 m) Appennino lucano
Monte Terminillo   (2213 m) Appennino umbro-marchigiano
Monte Cimone   (2165 m) Appennino tosco-emiliano
Monte Cusna   (2165 m) Appennino tosco-emiliano
Monte Miletto   (2050 m) Appennino campano
Monte Sirino   (2005 m) Appennino lucano
Monte Giovo   (1991 m) Appennino tosco-emiliano
Pizzo Carbonara   (1979 m) Appennino siciliano
Aspromonte   (1956 m) Appennino  calabrese
Corno delle Scale   (1945 m) Appennino tosco-emiliano
Monte Calvo   (1901 m) Appennino abruzzese
Gennargentu   (1834 m) Appennino sardo
Monte Mutria   (1823 m) Appennino campano
Monte Maggiorasca   (1803 m) Appennino ligure

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Animali e piante degli Appennini
Poichè gli Appennini si estendono da Nord a Sud, dovrebbe esistere una grande varietà tra le piante che li ricoprono. Invece è curioso notare che sull’Appennino meridionale troviamo la stessa vegetazione di quello settentrionale.

Sia nell’Appennino settentrionale, sia in quello calabrese, predomina l’abete bianco, albero tipico delle Alpi. Nel resto degli Appennini prosperano alberi caratteristici della zona mediterranea, che forniscono legname da lavoro o da ardere; i più rappresentativi sono:
– il faggio, che vegeta fin oltre i 1500 metri d’altezza e offre ottimo legname per fabbricare mobili
– il castagno, che si trova in zone più basse ed offre, oltre ai buoni marroni, legname per infissi e per tutto ciò che è esposto alle intemperie, essendo resistentissimo all’acqua
– il rovere e la quercia, il cui legno è usato per ricavarne carbone dolce e per lavori artigianali
– il frassino, diventato un albero comune degli  Appennini; il suo legno bianco è usato per costruire mobili.

Sugli alti pascoli degli Appennini, crescono gli stessi fiori che si trovano sulle Alpi. Assai comune è la genziana, dalle cui radici si estrae un succo amarognolo usato in medicina e per la fabbricazione di liquori e bibite. Più rara è la stella alpina, che si trova oltre i 2200 metri di altezza nell’Appennino centrale; è più piccola di quella che cresce sulle Alpi, ma ugualmente graziosa e delicata. Il crocus e la viola tappezzano i prati degli altopiani; comune in tutte le altezze è il dente di leone o soffione.

I foraggi che crescono spontanei sulle alture sono poveri di sale; i mandriani somministrano questa sostanza agli animali ponendola negli scifi.

Gli Appennini ospitano sui loro pascoli numerosi greggi di pecore che salgono lassù a primavera, dopo aver svernato nella pianura.

I cavalli dono diminuiti di numero, come gli asini ed i muli, in conseguenza del progredire della motorizzazione, ma rappresentano ancora un valido aiuto per gli abitanti dei monti. Tra gli animali selvatici che vivono sugli Appennini ricordiamo il cinghiale e il lupo, che nei tempi passati rendevano malsicuri i sentieri montani e delle selve. Oggi il loro numero è molto diminuito. In Sardegna esiste il muflone, una pecora selvatica.
Sempre in Sardegna pascolano il cervo e il daino, ridotti a rari esemplari. Molto comuni in tutto l’Appennino sono lo scoiattolo, che saltella fra gli alberi in cerca di semi e di frutta; la lepre ed il coniglio selvatico, che recano danni alle colture agricole; il tasso, l’istrice e il riccio, spietato nemico dei serpenti e degli insetti. Tra gli altri animali che vivono nelle foreste dell’Appennino ci sono: l’orso bruno, quasi scomparso in Italia; la volpe, che ama vivere tra burroni e grotte dove tiene la propria tana e da dove parte per le sue scorrerie; il gatto selvatico, che ama vivere nel folto della macchia; la donnola, la faina, la puzzola, capaci di sterminare pollai interi.
Fra gli uccelli, i più comuni sono il passero, il pettirosso, lo storno, il falco e il corvo, mentre l’aquila va facendosi sempre più rara.

Diverse sono le specie di serpenti che strisciano sui pascoli o si nascondono tra i cespugli e i sassi, ma il più temibile è la vipera, che col suo morso velenoso è capace di uccidere in breve tempo un uomo.

Gli abitanti dell’Appennino
Sin dai tempi preistorici abitarono l’Appennino le fiere stirpi italiche degli Umbri, dei Sabini, dei Peligni, dei Marsi, dei Sanniti, dei Lucani, dei Bruzi, chiuse tra i loro monti, mentre le genti del piano, i Campani e i Latini, poterono più rapidamente evolversi per i più facili contatti con la civiltà mediterranea. La regione appenninica fu poi tutta unificata dai Latini sotto il dominio di Roma.

Oggi sono più densamente popolate le zone pianeggianti; sul versante tirrenico, la Lunigiana, la Garfagnana, il Casentino, ecc…; nell’Appennino centrale le già ricordate conche di Foligno, Terni, L’Aquila, Sulmona; nell’Appennino meridionale le valli dei maggiori fiumi (Volturno, Garigliano, ecc…).
La presenza, ad alti livelli, di piani carsici consente, sull’Appennino, la possibilità di abitanti permanenti a grandi altezze (1200 – 1400 metri).

L’economia
Nelle conche pianeggianti, nelle grandi valle e nelle zone di collina l’attività economica prevalente è l’agricoltura (ma nel dopoguerra molti aridi poderi collinosi hanno visto la fuga dei contadini verso le città, attratti dalla possibilità di un lavoro meno ingrato e più remunerativo); sulle montagne prevale la pastorizia, soprattutto ovina a causa della magrezza dei pascoli. Le greggi svernano nella Maremma, nella Campagna romana, nel Tavoliere delle Puglie; in estate, i pastori le guidano in alto sulla montagna. Questa migrazione dal piano al monte e dal monte al piano è detta transumanza.

La distribuzione delle valli, sia longitudinali che trasversali, determina la rete stradale che risulta, più che in ogni altra ragione della Penisola, legata alle forme del terreno. Si aggiunga da ultimo che la presenza di gole anguste e incassate ha favorito la creazione, mediante dighe di sbarramento, di grandi serbatoi, come quelli sul Tronto, sul Salto, sul Turano, sul Vomano e sull’alto Sangro.
(R. Almagià)

Il subappennino
Il sistema appenninico, nel versante rivolto alla pianura padana ed al mare Adriatico, presenta un orlo continuo di colline, indicate generalmente con il nome di subappennino.
L’Appennino è affiancato a tratti, lungo il Tirreno e lungo l’Adriatico, da rilievi non molto elevati, disposti a gruppi e catene, i quali formano l’anti-appennino tirrenico e adriatico.

Versante tirrenico:
– anti-appennino toscano: colline Metallifere, monte Amiata
– anti-appennino laziale-campano: monti Volsini, Cimini, Sabatini, Albani, Lepini, Ausoni, Aurunci.
Versante adriatico:
– anti-appennino adriatico: Gargano, Murge.

Le grotte
Entro le viscere dei monti del Carso, di tutte le Prealpi e di parte dell’Appennino si allungano numerose grotte e si sprofondano numerosi pozzi naturali. E poichè la roccia è tutta fessurata e bucherellata in superficie, le acque piovane vengono assorbite e così il terreno rimane sterile.

Nelle grotte le acque abbandonano spesso la sostanza calcarea che avevano asportato dalla roccia e che tenevano disciolta; così si formano stalattiti che pendono dalla volta, e le stalagmiti che sorgono dal suolo delle grotte. In profondità si formano dei fiumi sotterranei che spesso sgorgano poi all’esterno sotto forma di poderose sorgenti. Questi fenomeni si chiamano fenomeni carsici perchè si presentano grandiosi nel Carso (alle spalle di Trieste, ecc…)

I turbolenti fiumi
I fiumi che scendono dal sistema appenninico sfociano nel mar Ligure, nel mar Tirreno, nel mare Adriatico, nel mar Ionio. Quelli dell’Appennino Ligure sono di corso breve e precipitoso; impoveriscono fin quasi all’esaurimento nei mesi estivi. I fiumi che si avviano alla pianura emiliana, pur avendo un corso abbastanza lungo, rivelano la loro origine appenninica per la povertà di acque, in contrasto con la ricchezza dei fiumi alpini. Di corso breve e ripido sono tutti i fiumi che, procedendo su linee parallele, scendono dalle sorgenti appenniniche verso l’Adriatico e il mar Ionio. Del tutto caratteristici sono i corsi d’acqua della Calabria e della Sicilia (fiumare), anch’essi brevi e rapidi, in cui l’abbondanza o la povertà di acque dipende in modo decisivo dalla caduta delle piogge, cosicchè a periodi di magra e di siccità completa si alternano periodi di piena rovinosa.
Le lunghe ed ampie valli longitudinali che l’Appennino apre sul versante tirrenico permettono lo scorrimento di fiumi di maggiore sviluppo, i quali attingono da sorgenti più ricche. Essi con un lavoro millenario hanno disteso largamente i loro depositi alluvionali, formando pianure di ampiezza mediocre (tutte assieme non raggiungono un terzo della pianura padana) che si affacciano appunto sul mar Tirreno. E ancora il paesaggio si ravviva per gli occhi azzurri dei laghi di cui è punteggiata qua e là la penisola. Non è soltanto immagine elegante quella degli occhi azzurri; in realtà, oltre il tondeggiante lago Trasimeno esteso in un ampio avvallamento dell’Umbria, vi sono, nell’Appennino Laziale, rotondissimi laghi nati nel cratere di antichi vulcani spenti; e ricordiamo quelli di Bolsena, di Vico, di Bracciano, di Nemi.

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Anche le montagne muoiono
Non tutte le montagne si sono formate nella stessa epoca. Alcune sono sorte nell’era primaria e secondaria, e cioè da migliaia e migliaia di secoli; molte nella terziaria. Vi sono dunque montagne vecchie e montagne giovani. Appena una montagna sta formandosi, gli agenti atmosferici ne cominciano la distruzione. Il calore, il freddo, la pioggia, le acque correnti, i ghiacciai ne corrodono la vetta e i fianchi, trascinano in basso una enorme quantità di detriti e tendono a livellare il terreno. Così le montagne più vecchie sono le più deteriorate. Invece, le montagne giovani, sulle quali gli agenti atmosferici da minor tempo esercitano la loro azione distruttiva, sono ancora molto elevate e le loro vette ardite portano i nomi significativi di dente, picco, corno, ago.
(P. Gribaudi)

Valli appenniniche
Molte e diverse sono le valli appenniniche, e fra l’una e le altre passano alte foci. Foce, per dir passo di monte come si dice bocca di fiume, è un termine che ho trovato sulle Alpi Apuane, e mi pare di una singolare felicità. E’ come dire che i venti, impetuosi e ardenti a ridosso del monte, sboccano in cielo sul passo del colle. E’ come dire che l’occhio, lungamente chino sui sassi della salita, e i passa e la fatica sfociano sulla discesa e nell’aperto, come l’acqua del fiume nella pace del mare.
Sulle foci dei fiumi il traffico e l’assemblea dei popoli diversi sono numerosi e frequenti; viaggiatori solitari e scarsi valicano coi venti le deserte foci montanine; ma chi passa i monti reca notizie e pensieri minori di numeri, ma più certi e sicuri di quelli che porta il mare, pieno di novità, di stranezze e di bugie. (R. Bacchelli)

Gli Appennini
Il corpo svelto ed elegante della nostra penisola ha la sua colonna vertebrale nell’Appennino. Seguendo i fiumi tortuosi e i torrenti, i primi abitatori dell’Italia, dalle dorsali appenniniche sono scesi per conquistare e fecondare le poche pianure costiere: il mare li chiamava, il loro bel mare. L’Appennino, pur dando unità alle aggraziate forme della penisola, non ha tolto loro quella varietà di aspetti che moltiplica le attrattive del paesaggio. Vario il paese, varie le genti, varie le loro vicende storiche. (Gribaudi)

Per il lavoro di ricerca
Presso quale passo ha inizio la catena degli Appennini? E quanto è lunga?
Che aspetto hanno gli Appennini?
In quante parti si divide la catena degli Appennini?
Vi sono ghiacciai sugli Appennini?
E’ diversa la vegetazione dell’Appennino meridionale da quella dell’Appennino settentrionale? Perchè?
Quali sono gli alberi comuni degli Appennini? E i fiori?
Quali sono gli animali selvatici che vivono sugli Appennini? E gli uccelli più comuni?
Lo Stretto di Messina interrompe la catena appenninica?
Quali sono le vette più importanti della catena appenninica?
Conosci il nome di alcuni passi e valichi appenninici? Quali regioni uniscono fra di loro?
Perchè è frequente il pericolo di frane nell’Appennino?
Hanno grande abbondanza d’acqua i fiumi appenninici? Qual è la loro caratteristica?

Il paesaggio appenninico
La montagna appenninica, anche quando si solleva fin sopra i 2000 metri e di costituzione calcarea (come in Abruzzo) presenta nell’insieme più d’una diversità rispetto a quella alpina e prealpina, se non altro per un rivestimento boscoso di regola più magro e per i compatti borghi e villaggi che s’inerpicano sui fianchi, annidandosi su sproni e su cocuzzoli secondari. Gli orizzonti sono spesso molto vasti, in conseguenza del frazionamento del rilievo appenninico. Dove la montagna raggiunge direttamente il mare, ne derivano scenari anche più impressionanti ed ammirabili di quelli liguri, almeno per quanto riguarda gli aspetti naturali; e l’acme si raggiunge nella costa amalfitana e nella vicina Capri.
Gran diffusione assumono i paesaggi collinosi, ai due lati dell’Appennino e talora anche nel suo interno. Tra le regioni maggiormente interessate a questi tipi di paesaggio sono la Toscana, le Marche, la Basilicata. Un minuto intarsio di valli e di vallecole, di dolci dorsali e di morbide cime. Gli abitanti, tranne lungo certe valli maggiori, coronano i luoghi culminanti e sembrano voler dare risalto alle sommità, altrimenti poco distinte, specie quando dalla strettoia delle case svettano le vecchie torri medioevali.
E’ però agevole riconoscere due tipi di questi paesaggi, in relazione alla natura del suolo; le colline costituite in prevalenza da materiali sabbiosi (o conglomerati ghiaiosi) e quelle argillose. Le prime mostrano forme più energiche e più regolari, con un mantello vegetale ricco e vario: olivo e vite presenti dovunque, popolamento piuttosto denso, come svela la presenza dei villaggi e delle case sparse, anche quest’ultime site in posizioni apriche e dominanti per godere l’aria e il sole. Le colline d’argilla si stemperano in forme più blande e flessuose, a meno che, verso la testata delle vallette, non le squarci il calanco, mostrando nelle ferite la terra grigia o biancastra, sterile.
Un’impronta caratteristica conferiscono al paesaggio appenninico i vulcani attivi, con l’aspra nudità delle lave e delle ceneri; non così i vulcani spenti, o almeno non sempre: se infatti sono caratteristici i coni delle isole Eolie o certi crateri dei Flegrei e del Lazio, molti apparati eruttivi, ora spenti, sono talmente erosi, ormai, o coperti di vegetazione, che risulta difficile distinguerli da altri paesaggi montani.
Paesaggi tipici offre la Puglia, dove altipiani e terrazze calcaree rendono dominanti linee orizzontali lievemente ondulate, ora poveri di cespugli ed arbusti, ora esuberanti di colture arboree: l’olivo, il mandorlo, il fico, la vite, il tabacco, gli ortaggi.
Nella Calabria meridionale, tipici paesaggi sono offerti dalle selvagge fiumare, torrenti sovraccarichi di sfaciume detritico, sassi e fanghiglie che scorrono in fondo a valli profondamente incise, dai pendii squarciati e rovinosi, e dalle ampie terrazze (pianalti) che, ad esempio nell’Aspromonte discendono di gradino in gradino sui fianchi dei monti.
Il Sicilia, sotto un medesimo cielo d’intensa luminosità, vivo è il contrasto tra la fascia costiera tirrenica e ionica da un lato, la costa meridionale, l’interno e specialmente il cuore dell’isola, dall’altro. Il paesaggio interno presenta spesse volte una sua solenne e desolata grandiosità, che si accentua là dove, nel silenzio della campagna, si ergono le rovine delle città morte, come a Segesta o Selinunte, ammonitrici della transitorietà di tutte le cose umane.
Il paesaggio della Sardegna, se per certi aspetti ricorda quello della Sicilia interna, d’altro lato se ne differenzia per il predominio delle linee orizzontali e del terreno incolto, coperto dalla tipica macchia sempreverde, da radi cespugli o da prati ad asfodeli e privo, per vasti tratti, di abitazioni umane.
In parecchie zone il paesaggio sardo è caratterizzato dai celebri nuraghi, antiche costruzioni a tronco di cono poste a dominare un’altura, un cocuzzolo, comunque un luogo elevato.
Nella Penisola e nelle grandi isole non mancano i paesaggi di pianura, a volte simili a quelli della Padania (conche toscane ed umbre) per l’intensità e il genere delle colture, a volte assai diversi, come nel caso degli oliveti, dei mandorleti, degli agrumeti, ecc…
In tanta diversità, c’è però un carattere comune alle pianure peninsulari ed insulari, ed è la costante prossimità dei rilievi montuosi o collinosi che delimitano l’orizzonte e racchiudono il paesaggio in una cornice che la grande pianura padana ha soltanto nelle sue estreme zone periferiche. (A. Sestini)

La maggiore galleria ferroviaria dell’Appennino
Si apre sulla linea che unisce Firenze a Bologna la linea “direttissima” per eccellenza, che costituisce in tutto il suo insieme una delle opere più sorprendenti della moderna tecnica ferroviaria. Ben trenta gallerie si susseguono sui 97 chilometri del suo percorso, per consentire ai treni di evitare i forti dislivelli della catena appenninica, la quale si eleva qui fin oltre i 1100 metri a dividere l’Emilia dalla Toscana. Un totale di 37 chilometri nelle viscere della terra, sottopassando le cime montuose. Quando, nell’aprile del 1934, il primo treno percorse i 18 chilometri e mezzo della più lunga fra quelle gallerie, non vi fu chi non guardasse stupito il lavoro compiuto, che, superando difficoltà immense, aveva potuto giungere a tanto: a perforare cioè l’intero crinale appenninico tra la valle del toscano Bisenzio (a 21 km da Prato) e quella del Setta sul versante emiliano, dove l’audace traforo sbocca ad appena 41 chilometri da Bologna.
Prima di allora, il viaggio di chi avesse voluto da Firenze raggiungere per ferrovia la capitale emiliana, non poteva certo dirsi ne breve ne comodo. Non meno di tre ore, su vagoni anneriti dal fumo che una locomotiva sbuffante spingeva faticosamente su per la ripida montagna alle spalle di Pistoia: curve strette e frequenti, gallerie brevi e basse, e fumo, fumo denso e nero dappertutto che entrava nelle vetture e negli scompartimenti. Attraverso i finestrini, il paesaggio appariva e spariva rapidamente.
Chi avrebbe pensato che un giorno sarebbero bastati 52 minuti per raggiungere dalle rive dell’Arno la città della Garisenda? La grande galleria dell’Appennino ha consentito infatti alla nuova linea non solo di abbreviare di 36 km il tragitto, ma pure di evitare altitudini superiori ai 320 metri.

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