Dettati ortografici – LA SCUOLA
Dettati ortografici – LA SCUOLA – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Una scuola di città
La ghiaia del cortile, le pozzanghere, i muri alti, con tante finestre tutte uguali, ogni finestra una classe, tanti maestri, tante maestre, tanti ragazzi tutti vestiti con lo stesso grembiule, e le stesse parole, gli stessi rimproveri, gli stessi problemi, da anni… Non c’è proprio niente di nuovo… Uno sguardo nel corridoio: come sempre un attaccapanni lunghissimo, tanti cappotti, tante mantelline, sciarpe rosse, duo o tre pelliccette e dentro le tasche, che cosa? Fischietti, bottoni, viti, il coperchio di una scatola di lucido, briciole di dolci mangiati chi sa quanto tempo fa, briciole che diminuiscono perchè ogni tanto, a ricordo di quel sapore, anche una briciola è buona. (G. Mosca)
Una vecchia scuola di villaggio
Il locale aveva tre pareti su quattro, dimezzate dal tetto a punta e due aperture per la luce simili più a feritoie che a finestre. L’una infatti spiava su un vicolo angusto e l’altra guardava le montagne che chiudevano l’orizzonte dalla parte di tramontana. I banchi erano lunghi e di quercia stagionata e portavano i segni ingloriosi delle offese ricevute da cinque generazioni di scolari. Al momento dell’entrata i primi arrivati si annunciavano con il battere dei loro zoccoli sui gradini della ripida scala di legno. (M. Menicucci)
Scuola
Tutti, tutti studiano ora. Pensa agli operai che vanno a scuola la sera, dopo aver faticato tutta la giornata; alle donne, alle ragazze che vanno a scuola la domenica, dopo aver lavorato tutta la settimana. Pensa agli innumerevoli ragazzi che, press’a poco a quell’ora, vanno a scuola in tutti i paesi. Vedili con l’immaginazione, che vanno, vanno per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi, dove sotto un sole ardente, dove tra le nebbie, tutti con i libri sotto il braccio. E pensa: se tutto questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie. (A. De Amicis)
Animo, al lavoro!
Animo, al lavoro! Al lavoro con tutta l’anima e con tutti i nervi! Al lavoro che mi renderà il riposo dolce, i giochi piacevoli, il mangiare allegro; al lavoro che mi renderà il buon sorriso del maestro e quello benedetto di mio padre. A. De Amicis
La cartella
Stamattina ho ripreso in mano la mia cartella per tornare a scuola. E’ la mia cartella dell’anno passato che la mamma ha ben spolverata e lucidata. Mi seguirà ancora per un intero anno scolastico e sarà partecipe delle mie gioie e dei miei dolori. Come l’anno passato conterrà libri, quaderni, astuccio. Cercherò di conservarla bene.
Ritorno
L’estate è finita. I felici giorni trascorsi sulle spiagge, in campagna, sui monti, rimangono vivi soltanto nel nostro ricordo: si torna al lavoro, le vacanze sono finite. Anche i bambini, a cui il riposo ha ritemprato le forze, tornano volentieri a scuola. Cominciano serenamente il nuovo anno scolastico: è bello lavorare, è bello imparare! (Teresa Stagni)
La scuola
Anche la scuola ha le sue lotte, le sue battaglie; ma lotte pacifiche, battaglie amichevoli, dove la vittoria è comune, comune il premio. Vittoria è sentirsi dopo la battaglia più ricchi di virtù e di sapere; premio è il sentire cresciuta l’amicizia e la stima. Lontano dalla scuola i rancori e le insidie; oh, non arrivino mai questi a turbare l’aria pura e serena della scuola! (F. De Sanctis)
Ritorno
Bentornati, bambini, a scuola. Il tempo del riposo e dello svago è finito ed ora dobbiamo dedicarci allo studio. C’è in noi un certo rincrescimento per aver lasciato il mare, i monti e la campagna, ma c’è anche la gioia di esserci incontrati ancora tutti, per riprendere insieme il nostro lavoro.
La scuola non vi toglierà tutto il vostro tempo, di cui avete bisogno per giocare, ma vi ricorda che prima del gioco avete un dovere da compiere: studiare.
Amate la scuola, accorrete alle vostre aule puntuali, volenterosi e soprattutto sereni. Ricordatevi che le vacanze estive vengono tutti gli anni e saranno sempre più belle per chi durante l’anno scolastico avrà ben meritato.
Buon lavoro e siate buoni! (G. Spanu)
A scuola
Eccoci di nuovo a scuola. Tu non sei più uno scolaretto timido come nelle classi precedenti, quando eri più piccino. Sai che il tuo dovere è quello di studiare e di imparare tante cose che ti faranno diventare onesto, forte, buono.
I migliori amici
I libri sono nostri amici. Essi ci fanno compagnia nella quiete del nostro studio, ci seguono nella campagna, rallegrano la nostra solitudine, riempiono le ore placide della vita. Ci parlano se interrogati; se li lasciamo non si lamentano; divertono nei tempi quieti e sereni, danno forza e coraggio nelle terribili circostanze, aprono le pagine della storia, ci fanno vivere coi grandi uomini che già furono. (F. Pananti)
Compagni di scuola
Tu vuoi bene, vero, ai tuoi compagni di scuola? Potrai avere una predilezione per il tuo vicino di banco, per il più bravo della classe, per quello che è stato colpito dalla sventura, ma a tutti, vero? A tutti vuoi bene. Al più ricco come al più povero tu doneresti, se venisse a casa tua, un fiore del giardino e tua madre gli chiederebbe della sua mamma, e gli aprirebbe il suo cuore chiamandolo “Figlio mio”. (M. Moretti)
Il maestro
Ogni maestro è come il comandante di una nave pronta a salpare. La scuola è la tua nave e tu sei scolaro e marinaio. A ogni lezione si parte e si arriva. Ed è sempre il maestro che ti dà il segnale, indica i punti da vedere e insegna le cose da imparare. Spesso scrive sulla lavagna lettere e vocali, numeri e parole. E sempre guarda negli occhi e guarda nel cuore di ciascuno come un buon comandante fa coi suoi marinai. Ogni mattina si parte per una tappa nuova. E la nave scuola solca il grande mare del sapere. (N. Salvaneschi)
A scuola
La scuola vi accoglie con un sorriso e vi dice: “Siete ritornati a scuola, come a una festa. Sono passate le vacanze, e ne avete abbastanza di giochi, di corse, di libertà. I vostri occhi brillano di gioia, della gioia di ritrovare i vostri compagni, le vostre compagne, la vostra maestra. Vi ritrovo cresciuti, con un bel colorito: quasi non vi riconosco più. Il vostro viso è sorridente, nei vostri occhi c’è il desiderio di imparare. Al lavoro, bambini, con serenità!” (A. R. Piccinini)
Parla il libro
Io sono soltanto un libro, una cosa che tu potresti strappare con tue mani impazienti, che tu potresti sgorbiare con la tua penna, che tu potresti gualcire in un momento di stizza. Ma ricordati che sono il frutto del lavoro di tanti uomini.
Per farmi così, come mi vedi, una fabbrica ha lavorato per produrre la carta. Su questa carta gli stampatori hanno impresso i caratteri e le illustrazioni. Ma, prima di questo, lo scrittore ha dovuto scrivere i racconti e il pittore ha disegnato e colorato le figure. Ora sono nella tua cartella e tu puoi leggere su di me tante belle e nuove cose. Se tu vuoi ti insegnerò a diventare più buono e più bravo. In cambio ti chiedo di non sciuparmi e di leggermi, di studiarmi. Non è molto in confronto a tutto quello che ti dono. (M. Menicucci)
I miei compagni
22, sabato.
Ieri, mentre il maestro ci dava notizie del povero Robetti, che dovrà camminare un pezzo con le stampelle, entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte; tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttore, dopo aver parlato all’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito.
Allora il maestro gli prese una mano, e disse: “Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia da qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra Patria, dove son grandi montagne, abitate da un popolo pieno di ingegno e di coraggio. Vogliategli bene in maniera che non si accorga di essere lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta piede, ci trova dei fratelli”.
Detto questo si alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria.
Poi chiamò forte: “Ernesto De Rossi!”, quello che ha sempre il primo premio. De Rossi si alzò.
“Vieni qua” disse il maestro.
De Rossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese.
“Come primo della scuola” gli disse, “da’ l’abbraccio del benvenuto in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio del figliolo del Piemonte al figliolo della Calabria”.
De Rossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: “Benvenuto!”, e questi baciò lui sulle due guance, con impeto. Tutti batterono le mani.
“Silenzio!” gridò il maestro, “Non si battono le mani a scuola!”.
Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento.
Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: “Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perchè questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa sua a Reggio Calabria, il nostro Paese lottò per cinquant’anni, e tremila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti tra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno, perchè non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore”.
Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa e un altro ragazzo, dall’ultimo banco gli mandò un francobollo di Svezia.
Martedì, 25
Il ragazzo che mandò il francobollo al calabrese è quello che mi piace più di tutti, si chiama Garrone, è il più grande della classe, ha quasi quattordici anni, la testa grossa, le spalle larghe; è buono, si vede quando sorride; ma pare che pensi sempre, come un uomo. Ora conosco già molti dei miei compagni. Un altro mi piace pure, che ha nome Coretti e porta una maglia color cioccolata e un berretto di pelo di gatto; sempre allegro, figliolo di un rivenditore di legna, che è stato soldato nella guerra del ’66, nel quadrato del Principe Umberto, e dicono che ha tre medaglie. C’è il piccolo Nelli, un povero gobbino, gracile e col viso smunto. C’è uno molto ben vestito che sempre si leva i peluzzi dai panini e si chiama Votini.
Nel banco davanti al mio c’è un ragazzo che chiamano il muratorino, perchè suo padre è un muratore; una faccia tonda come una mela, con un naso a pallottola; egli ha un’abilità particolare, sa fare il muso di lepre, e tutti gli fanno fare il muso di lepre, e ridono; porta un piccolo cappello a cencio che tiene appallottolato in una tasca come un fazzoletto. Accanto al muratorino c’è Garoffi, un coso lungo e magro, col naso a becco di civetta e gli occhi piccoli piccoli, che traffica sempre con pennini, immagini e scatole di fiammiferi, e si scrive la lezione sulle unghie per leggerla di nascosto.
C’è poi un signorino, Carlo Nobis, che sembra molto superbo ed è in mezzo a due ragazzi che mi sono simpatici: il figlio di un fabbro ferraio, insaccato in una giacchetta che gli arriva al ginocchio, pallidino che par malato e ha sempre l’aria spaventata e non ride mai; e uno coi capelli rossi che ha un braccio morto, e lo porta appeso al collo: suo padre è andato in America e sua madre va attorno a vendere erbaggi.
E’ anche un tipo curioso il mio vicino di sinistra, Stardi, piccolo e tozzo, senza collo, un grugnone che non parla con nessuno e pare che capisca poco, ma sta attento al maestro senza batter palpebra, con la fronte corrugata e coi denti stretti; e se lo interrogano quando il maestro parla, la prima e la seconda volta non risponde, la terza volta tira un calcio. E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un’altra sezione.
Ci sono anche due fratelli, vestiti uguali, che somigliano a pennello, e portano tutti e due un cappello alla calabrese, con una penna di fagiano.
Ma il più bello di tutti, quello che ha più ingegno, che sarà il primo di sicuro anche quest’anno, è De Rossi, e il maestro, che l’ha capito, lo interroga sempre. Io però voglio bene a Precossi, il figlio del fabbro ferraio, quello dalla giacchetta lunga, che pare un malatino; dicono che suo padre lo batte; è molto timido e ogni volta che interroga o tocca qualcuno, dice “Scusami”, e guarda con gli occhi buoni e tristi. Ma Garrone è il più grande e il più buono.
(E. De Amicis)
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È stato proprio bello il dettato che mi ha dettato la mamma.
Mi fa molto piacere. Grazie a te e alla tua mamma