Dettati ortografici e materiale didattico sulla LOMBARDIA, di autori vari, per bambini della scuola primaria.
Osserviamo la cartina
Confini: Svizzera, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia, Piemonte
Monti: Alpi Centrali (Lepontine, Retiche, Orobie); Prealpi Lombarde (Bergamasche e Bresciane)
Cime più alte: Bernina, Disgrazia, Ortles, Cevedale, Adamello (Alpi Centrali); Grigna settentrionale, Resegone, Presolana (Prealpi Lombarde)
Valli: Valle del Ticino, di San Giacomo, Val Bregaglia, Valtellina, Val Camonica (Alpi); Val Brembana, Seriana, Trompia (Prealpi)
Valichi: Spluga, Maloggia, Aprica, Stelvio, Tonale.
Colline: del Varesotto, della Brianza, del Garda, Oltrepò Pavese
Pianure: Padana, con alcune zone ben delimitate (Lomellina)
Fiumi: Po. Affluenti di sinistra: Ticino, Olona, Lambro, Adda con l’affluente Serio, Oglio con gli affluenti Mella e Chiese, Mincio.
Canali: Naviglio Grande, Naviglio Pavese, Naviglio della Martesana, Canale Villoresi
Laghi: Lago Maggiore (lombarda solo la sponda orientale), Lago di Lugano (lombardi i rami estremi), Lago di Como, Lago di Garda (lombarda solo la sponda occidentale), Lago d’Idro, Lago di Monate, Lago di Comabbio, di Pusiano, d’Annone, d’Endine, di Varese.
La Lombardia deve il suo nome ai Longobardi, che la occuparono nell’anno 568 e posero in Pavia la loro capitale.
La Lombardia confina ad ovest col Piemonte, a nord con la Svizzera, ad est con l’Alto Adige, il Trentino ed il Veneto, a sud con l’Emilia. La parte settentrionale di questa regione è montuosa, comprende le Alpi Lepontine, le Retiche e le Orobie, che degradano nelle Prealpi Lombarde, percorse da amene valli ed adornate da pittoreschi laghi; la parte meridionale della Lombardia si estende nella Pianura Padana, irrigatissima. Solo nell’estremo lembo dell’Oltrepò Pavese si allunga l’Appennino Ligure. Dalle Alpi scendono vari corsi d’acqua, tutti affluenti di sinistra del Po ed in genere immissari ed emissari dei laghi. Si ha, al confine col Piemonte, un buon tratto di Lago Maggiore (la sponda orientale) da cui esce il Ticino; pure lombarda è una piccola porzione di costa del lago di Lugano. Dal lago di Como scende l’Adda, dall’Iseo l’Oglio, dal Garda il Mincio, che segna il confine col Veneto; da ricordare anche i fiumi Brembo, Serio, Chiese e Mella.
La regione, a breve distanza dagli scali marittimi di Genova e di Venezia, è pure centro di un grande traffico commerciale, ed occupa i primi posti nelle attività industriali e nell’economia del nostro Paese.
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Economia
Anche la Lombardia, come il Piemonte, comprende tre zone: la montuosa, la collinare e la pianeggiante.
La zona alpina, ricca di pascoli, favorisce l’allevamento del bestiame, il quale, praticato con criteri razionali anche in pianura, permette di ottenere una sempre maggiore produzione di latte.
Sulla collina e in pianura si producono in abbondanza uva, frutta, granoturco, frumento, foraggi, riso, barbabietole da zucchero e ortaggi.
L’industria è molto sviluppata, in ogni settore produttivo. Modesti sono invece i prodotti del sottosuolo.
Il commercio è molto attivo ed è favorito da una fitta rete di vie di comunicazione (stradali, ferroviarie ed aree).
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Province della Lombardia
La Lombardia è divisa in dodici province.
Milano è un grandissimo centro industriale e commerciale, tra i maggiori d’Europa. Oltre le sue industrie, la città vanta splendidi monumenti e insigni opere d’arte.
Bergamo, la “città dei mille”, posta trai fiumi Brembo e Serio, raccoglie e commercia i prodotti delle sue ricche e laboriose vallate prealpine.
Brescia, detta “leonessa d’Italia”, sorge allo sbocco della industriale Val Trompia, al limite delle Prealpi e la fertilissima pianura. Ha notevoli complessi industriali, tra i quali primeggiano le fabbriche di armi.
Como, sul lago omonimo, fu patria di Alessandro Volta. Nota per le seterie, è un notevole nodo stradale e ferroviario situato a poca distanza dal confine svizzero.
Cremona, importante per le sue industrie alimentari, fu patria dei più celebri liutai d’Europa. Anche oggi vi si fabbricano violini e pianoforti.
Lecco è celebre per essere il luogo in cui Alessandro Manzoni ambientò il romanzo de I Promessi Sposi, che costituisce la più significativa eredità culturale lecchese, oltre ad affermarsi fra Ottocento e Novecento come uno dei primi centri industriali in Italia.
Lodi è un importante nodo stradale e centro industriale nei settori della cosmesi, dell’artigianato e della produzione lattiero-casearia. È inoltre il punto di riferimento di un territorio prevalentemente votato all’agricoltura e all’allevamento.
Mantova, nei cui pressi, a Pietole, nacque Virgilio, è posta sul Mincio. La sua provincia ha un’economia prevalentemente agricola.
La provincia di Monza e della Brianza è stata istituita nel 2004, ed è divenuta operativa nel 2009 con l’elezione del primo consiglio provinciale. E’ nata dallo scorporo di una porzione di territorio della allora provincia di Milano. Capoluogo della provincia è Monza, già residenza estiva del regno longobardo all’epoca di Teodolinda e Agilulfo.
Pavia, la romana Ticinum, è mercato agricolo e città industriale. E’ anche sede di una famosa Università.
Sondrio, sul fondo dell’ampia Valtellina, è città rinomata per l’industria enologica, le centrali elettriche ed i boschi che danno prezioso legname.
Varese, la gemma delle Prealpi, situata tra i laghi di Varese, Maggiore e di Lugano, è centro turistico, ma soprattutto industriale.
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Per il lavoro di ricerca
Come si presenta il territorio della Lombardia? Quali gruppi montuosi vi si elevano? Quali ne sono le cime principali?
Nomina i principali valichi alpini che permettono le comunicazioni fra la Lombardia, lo Stato confinante e le altre regioni.
Quali sono oltre al Lago di Como gli altri laghi della Lombardia?
Come si chiama la grande pianura che si estende nella parte meridionale della Lombardia e che è anche la più vasta d’Italia? Da quali fiumi è solcata?
Segui il corso dell’Adda dalla sorgente: come si chiama la valle entro cui scorre nel primo tratto? E il lago di cui è immissario? Come si chiama il canale che collega le sue acque con quelle del Ticino? Di quale fiume è affluente l’Adda?
Quali sono le principali attività economiche della regione?
Quali sono i principali prodotti agricoli?
Perchè è famosa la fiera di Milano?
La regione vanta complessi industriali famosi non solo in Italia, ma in tutto il mondo: ricordi i principali?
Ricerca notizie sull’artigianato, le tradizioni, gli usi e i costumi della Lombardia.
Quante e quali sono le province in cui è suddivisa la Lombardia?
Per che cosa è nota la città di Como? E Cremona? E le altre province lombarde?
Da Milano si irradiano grandi autostrade: verso quali città? Osserva le linee ferroviarie che partono da Milano in direzione est, ovest, nord, sud: quali centri collegano? Dovendoti recare da Mantova a Varese quali città attraverseresti? E se da Voghera volessi giungere a Brescia quali fiumi dovresti attraversare?
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La Lombardia
La Lombardia, coronata dalle Alpi Lepontine e Retiche e limitata dall’ininterrotta via d’acqua Garda-Mincio-Ticino-Po, è terra aperta e luminosa, tutta pervasa da un ritmo febbrile di vita. Nessun’altra regione, forse, come questa, presenta condizioni tanto diverse: pianura, collina, montagne, nettamente delimitate; centri fragorosi di industrie e commerci come Milano e Brescia, e quiete cittadine prevalentemente rurali come Lodi e Mantova, ostinatamente impegnate nella grande battaglia da cui gli uomini traggono il pane. In Lombardia si trova il maggior numero di laghi alpini; sono lombardi infatti i laghi di Como e d’Iseo, tutta la parte italiana del lago di Lugano, la riviera orientale del lago Maggiore e quella occidentale del lago di Garda. (C. Paci)
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Le vie di comunicazione
Da Milano si irradia una fittissima rete di strade, autostrade e ferrovie dirette verso le altre regioni italiane e verso l’estero. A Milano fanno capo le autostrade per Torino, Varese, Como, Bergamo, Brescia, Verona, Padova, Mestre, Trieste, Napoli (autostrada del sole) e Genova.
Tutta la regione è solcata da strade statali e provinciali: importanti sono quelle dirette ai passi dello Spluga (Svizzera), dello Stelvio e del Tonale (Trentino Alto Adige). Milano è nodo ferroviario di importanza internazionale per tutte le linee che si diramano verso il Sempione, il San Gottardo e gli Stati dell’Europa occidentale e orientale, e, attraverso la Pianura Padana, lungo tutta la penisola. La Lombardia è servita dagli aeroporti della Malpensa e di Linate, nei pressi di Milano.
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Le vie d’acqua
Quando le strade erano scarse e mancavano motori e treni, esistevano già in Lombardia alcune assai utili vie d’acqua.
Il Naviglio Grande è forse il più antico dei canali: risale al 1777 ed ha una lunghezza di 150 chilometri. Esce dal Ticino e giunge a Milano, a Porta Ticinese; fu questo naviglio che permise di trasportare da Candoglia, presso Fondotoce sul Lago Maggiore, i marmi per il Duomo, su ampi barconi.
Il Naviglio di Pavia congiunge Milano col Ticino, che confluisce nel Po. Attraverso questa via d’acqua si poteva raggiungere il Mare Adriatico.
Il Naviglio della Martesana esce dal fiume Adda in vicinanza di Trezzo e giunge quindi a Milano. Fu ideato e voluto, nel 1460, da Francesco Sforza; venne prolungato da Ludovico il Moro. Questo naviglio prese il nome del contado della Martesana, che attraversa.
Il Canale Villoresi serve ad unire il Ticino con l’Adda. Le sue acque rendono più fertile la bassa Brianza. Fu iniziato nel 1881 e porta il nome del suo ideatore.
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Il lago di Como
Chi ha vissuto una sera d’estate in riva a un lago sa che cosa sia la beatitudine. Un calore fermo, avvolgente, sale in quell’ora dalle acque che sembrano lasciate lì, immobili e qua e là increspate dall’ultimo fiato di vento che il giorno andandosene ha esalato, e il loro aspetto è morto e grigio. Si prova allora, più che in qualunque altro istante della giornata, quella dolce infinita sensazione di riposo auditivo che danno le lagune, dove i rumori non giungono che ovattati.. Come sanno d’acqua le parole che dicono i barcaioli che a quell’ora stanno a chiacchierare sulla scaletta! Come rimbalzano chiocce nell’aria! I rintocchi delle squille lontane attivano all’orecchio a grado a grado e rotondi, scivolando dall’alto del cielo pianamente a guisa di lentissimi bolidi. La sera scorre placida, è tutta un estatico bambolarsi, un fluire di cose silenziose a fior d’acqua. Naufraga d’un tratto in un chiacchiericcio alto, intenso, diffuso, simile al clamore di una festa lontana, appena si accendono i lampioni, tra le risate e le voci varie e gaie che escono dagli alberghi dopo cena e il fragore allegro di un pianoforte che giunge dall’altra riva.
Poi tutto sfuma e rientra ben presto nel gran silenzio lacustre, dove più non si ode che il battere degli orologi che suonano ogni quarto d’ora, a poca distanza l’uno dall’altro, da tutti i punti della sponda, e quel soave, assiduo scampanio delle reti che i pescatori lasciano andare di sera alla deriva, che fa pensare insistentemente a un invisibile gregge in cammino.
Nelle notti di luna piena i monti che non la ricevono sono cento volte più neri e le vie ed i viottoli della campagna paiono tante scie di lumaca.
(V. Cardarelli)
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Agricoltura
Nel settore agricolo la Lombardia è ai primi posti tra le regione italiane. Ciò è dovuto sia a motivi d’ordine naturale (la grassa terra padana, l’abbondanza di acqua e le tiepide risorgive) sia ad una razionale organizzazione del lavoro umano, che si avvale dei più moderni ritrovati meccanici e chimici (macchine, concimi ecc…). Nell’alta pianura, dove sono stati scavati numerosi canali, si produce mais; nella bassa grano e riso. La produzione di foraggi, ingentissima, è favorita dalle marcite, ove, sfruttando l’acqua delle risorgive (18° di temperatura) si attuano sette o otto raccolti l’anno. Notevole anche la produzione di barbabietola, canapa, ortaggi, patate e legumi. In regresso è la cultura del gelso per l’allevamento del baco da seta; molto sviluppato è l’allevamento dei bovini. Sviluppatissima è l’industria dei latticini, con lo scarto dei quali di confezionano mangimi per l’allevamento dei suini. Nelle colline vi sono frutteti e vigneti; attorno ai laghi il clima permette la coltivazione di olivi e agrumi.
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La marcita
E’ una speciale caratteristica coltura a prato della regione lombarda. La denominazione deriva dal pratum marcidum, cioè terra bassa, con acque non del tutto stagnanti.
L’osservazione, assai antica, del persistere di una certa vegetazione a prato, anche durante il periodo invernale, fece sorgere l’idea dell’irrigazione in tempo d’inverno, usufruendo della abbondanti acque del terreno. Dapprima si trattò di distribuire meglio l’acqua sorgiva (della zona dei fontanili), favorendone anche il deflusso.
Si attribuisce a San Benedetto ( secoli V – VI) il merito di aver insegnato ai contadini lombardi i metodi di tale coltura, ma i maggiori perfezionamenti si ebbero più tardi, nel secolo XIX, con l’attuazione di impianti di irrigazione, studiati per tale scopo.
D’inverno le marcite si presentano verdeggianti, perchè sono irrigate dall’acqua delle sorgive che hanno una temperatura relativamente elevata, che impedisce il gelo.
Importanti marcite si trovano nei dintorni di Melegnano; questa zona viene irrigata dalle acque della Vettabbia, che attraversano Milano.
Con il sistema delle marcite si possono avere vari raccolti di erba falciata; in genere da sei a otto tagli.
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Milano
Milano è il capoluogo della Lombardia. E’ una città movimentatissima e di aspetto moderno. Annualmente vi si teneva la Fiera Campionaria Internazionale, che era tra le più importanti nel mondo. Attualmente la Fiera di Milano è costituita dai due poli espositivi di Fieramilano (situato in un’area al confine tra i comuni di Rho e di Pero) e di Fieramilanocity (situato nel quartiere Portello del comune di Milano). E’ il polo fieristico più grande d’Europa.
Vanta quattro Università e il Teatro alla Scala, uno dei più celebri teatri lirici del mondo; ospita numerose gallerie d’arte, musei di eccezionale interesse, e parecchie manifestazioni culturali.
Ha grandiosi monumenti, tra cui lo splendido, marmoreo Duomo, con la famosa Madonnina dorata sulla più alta guglia; poi la Basilica di San Lorenzo, la Basilica di Sant’Ambrogio, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie (con il Cenacolo di Leonardo), il Palazzo della Ragione, il Castello Sforzesco, il Palazzo di Brera, la Galleria Vittorio Emanuele II.
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Milano, città che risorge
Durante la seconda guerra mondiale, Milano, che ormai superava il milione di abitanti ed era il più importante centro industriale d’Italia, subì una lunga serie di bombardamenti aerei, molti dei quali a tappeto, che la distrussero in gran parte. Quando la guerra finì, la città appariva come svuotata: i muri superstiti, con le occhiaie vuote delle finestre che lasciavano vedere il cielo, si levavano dritti come quinte di un tragico scenario. Le vie erano sconvolte e intasate dalle macerie, i servizi quasi inservibili, la popolazione viveva ammucchiata nelle poche case ancora abitabili e rabberciate alla meglio, senza vetri alle finestre, con i tetti sconnessi e gocciolanti, e porte scardinate; oppure abitava nei paesi dei dintorni e si sottoponeva alla fatica di continui viaggi con mezzi di fortuna, pur di non abbandonare il lavoro, sperando in un domani migliore. Questo domani migliore è venuto per merito soprattutto della febbrile attività dei Milanesi. Milano si merita davvero il soprannome di “capitale morale d’Italia”.
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Il duomo di Milano
Chi non l’ha veduto se non in fotografia, quando gli si trova davanti prova un senso di stupore, quasi di sgomento. Possibile che dei piccoli uomini, unendo marmo a marmo, abbiano elevato una montagna simile, traforata come un gioiello, gremita di statue, fiorita di ricami aerei, candida di un candore roseo di carne e di un biancore azzurrino d’argento? E’ possibile sì, ragazzi miei, perché quei piccoli uomini avevano due cose che smuovono le montagne: fiducia e genio.
Entriamo ora nel tempio. Cinque navate immense; una selva di piloni colossali che si ramificano, lassù, a reggere le volte venate come foglie, e, tutt’attorno, finestroni eccelsi che riversano raggi colorati dalle vetrate incandescenti di rubino e d’azzurro, nella penombra piena di mistero.
Ma poiché siamo a Milano voglio dirvi alcuni numeri precisi che vi faranno sgranare gli occhi: sapete quanto è lungo il Duomo? Centocinquantotto metri. Sapete quanto è alto, dal suolo alla corona di stelle della Madonnina? Centootto metri, l’altezza di un colle. Sapete quanti sono i finestroni esterni? Centosessantanove, per servirti. E quante le guglie? Centoquarantacinque. E quante le statue? Circa tremilacinquecento, la popolazione di un paese. E indovina indovina… quanto pesa? Pesa centottantaquattro milioni di chilogrammi. Non uno di più né uno di meno.
(G. E. Mottini)
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Città dell’eterna giovinezza
Pavia è la città goliardica per eccellenza. Molte altre città italiane hanno, tra le loro mura, un Ateneo: qualcuna può anche vantare un Ateneo più insigne di questo pavese, per anzianità e per il nome di qualcuno dei suoi Maestri. Ma forse nessuna città italiana vive, come Pavia, dei suoi studenti. Si direbbe che essa respiri del respiro del suo Studium. D’estate, per esempio, svuotata com’è di tutta la sua ventenne popolazione goliardica, quando i porticati dell’Università si allungano deserti e silenziosi intorno ai cortili quadrati dove ancora l’erba tenera cresce tra i sassi bianchi; quando nelle aule addormentate non s’ode che il ronzio di qualche moscone che danza nel pulviscolo d’oro di un raggio di sole, e le cento lapidi che tappezzano i muri si rimandano l’una con l’altra gli elogi dei grandi Maestri che vi tennero cattedra; d’estate, Pavia si direbbe che sonnecchi sulle rive del suo bel Ticino gonfio di mulinelli e di minuscoli vortici, tra i due ponti: quello nuovo che la guerra ha rispettato e il Ponte Coperto.
Ma quando viene l’autunno, e lungo i boschi del Ticino cominciano a salire le prime nebbie azzurrine, tornano gli studenti, e la città si ravviva, il ritmo delle sue giornate di fa gioioso e vibrante, le strade si rifanno giovani, i cortili dell’Università si ripopolano, le aule si affollano, i due grandi Collegi, il Ghislieri e il Borromeo, ridiventano due giganteschi alveari di giovinezza. E’ una specie di rito, diventato, lungo il corso dei secoli, abitudine di vita. Ecco perchè a fogliare le vecchie cronache universitarie, e soprattutto le vecchie cronache di quel Ghislieri che gli studenti si tramandano con geloso amore di generazione in generazione, da quasi cinque secoli, come potrebbe una famiglia tramandare una vecchia casa che d’anno in anno si rinnova; ecco perchè si trae la sensazione che Pavia sia una città privilegiata. E’ il privilegio dell’eterna giovinezza, in fondo: una fiaccola che ogni “sfornata” di laureati consegna, occhi negli occhi, e attenti a non mancare alla consegna all’infornata di matricole.
“Ragazzi” dicono i ‘vecchi’ andandosene (e chissà cosa costi loro lasciare questa cara città), “Ragazzi, noi ce ne andiamo, la vita ci chiama e sarà quel che sarà. Ma voi, che venite a riempire il vuoto che noi lasciamo; voi che raccogliete dalle nostre mani questa secolare eredità di fresca gaiezza e di gioconda primavera spirituale (primavera, sissignori, anche quando scende fitta la neve e mette gli orli di velluto bianco sulla severa facciata di San Pietro in Ciel d’Oro, e dell’incompiuto duomo del Bramante e sull’incanto romanico di San Teodoro che bisogna andare a scoprire per stradette medioevali e di quel San Francesco che è un esempio di snella gotica eleganza; e incappuccia di ermellino le statue che popolano i cortiletti dell’Università; primavera anche quando le gelide piogge sferzano le piccole piazze e le anguste strade e trasformano il corso in un torrentello che domandava dei ponticelli di legno per passare dall’uno all’altro marciapiedi): voi che raccogliete questa nostra eredità benedetta, siatene degni, continuatela con impegno, in questi indimenticabili anni che il destino vi ha concesso di trascorrere tra il Castello visconteo e il Ticino…”
(G. Cornali)
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Valenti armaioli a Brescia
Un tempo Brescia fu famosa in tutto il mondo per le sue fabbriche di armi. Tale industria si sviluppò perchè le valli a nord della città erano ricche di minerali, specialmente di ferro di ottima qualità. Ne approfittò particolarmente Venezia, che durante il periodo della sua massima potenza commissionò a Brescia, che le era soggetta, le sue armi migliori. Gli armaioli bresciani per due secoli fornirono gli eserciti di Venezia e di mezza Europa.
La decadenza di un’industria tanto fiorente cominciò quando Brescia fu dominata dagli Austriaci i quali non permisero a un’attività tanto pericolosa per loro di prosperare. I nomi dei più valenti armaioli sono affidati alle armi da loro costruite. Così un fabbricante, Lazzarino Cominazzo, diede il nome alle canne che da lui si dicono “lazzarine” (in Brasile fino al principio del XX secolo “lazzarina” era sinonimo di pistola). Ancor oggi la pistola calibro 9 in dotazione all’esercito di chiama “Beretta”, dal nome di un noto armaiolo bresciano.
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Bergamo, città sana. Uomini solidi, facce di alpini
Non si è ancora usciti da Milano, e già si arriva a Bergamo. Le lunghe ore del cammino di Renzo fino all’Adda ed oltre sono diventate, sulle fettucce di asfalto dell’autostrada, minuti, pochi minuti. Bergamo bassa, il Borgo come ancora dicono i vecchi, se ne sta appiattata nella pianura; la si sfiorerebbe, quasi senza accorgersene, se non fosse per il faro della città alta. Stretta nelle sue mura venete, adagiata su un tappeto di foschia invernale, la vecchia Bergamo sembra sospesa a mezz’aria: come l’isola volante dei viaggi di Gulliver. Il distacco tra le due città, quella alta e quella bassa, non è solo il prodotto di un’illusione ottica. E’ una realtà psicologica, economica, urbanistica. Una città con due corpi: e in un certo senso una città con due anime.
Città bassa: il traffico è intenso, ma senza le punte di convulsione esasperante delle metropoli. Strade pulite, bei negozi. Chi si metta sul Sentierone respira ordine, sicurezza, dignità. Uomini solidi, facce di alpini. Gli agricoltori che vengono dalle campagne per le loro contrattazioni suggellano tuttora gli affari con pesanti strette di mano (e i mediatori, che vogliono arrivare a una conclusione, tentano disperatamente, durante i lunghi sì e no, di avvicinare l’una all’altra le grosse, callose, riluttanti mani). Gente che afferma orgogliosamente: “Non sono mai stato in tribunale né come imputato né come testimone”.
Questo è il Borgo: un’appendice della vera Bergamo.
Gli uffici pubblici scappano dalla città alta. Il comune è giù, la prefettura è giù, il tribunale anche. In città alta è rimasto, tra le massime autorità, soltanto il vescovo. Non è sceso e non scenderà. La domenica la vecchia Bergamo, la Bergamo alta, è gremita di gitanti. Ma nei giorni feriali la vita vi pulsa assai più lentamente che in pianura. Il tempo è misurato con un metro diverso. La sera il campanone della torre civica dà il coprifuoco con cento rintocchi.
Le dimore signorili guardano orgogliosamente, dall’alto, il Borgo. Non indovinereste mai, percorrendo le strette vie, il panorama aereo che si apre davanti a queste case. Ecco palazzo Scotti: lì Gaetano Donizetti terminò il suo tragitto terreno cominciato in due bui locali bassi di Borgo Canale: “Nacqui sotto terra in Borgo Canale: si scendeva per una scala in cantino dove mai penetrò ombra di luce. E siccome gufo presi il volo”.
(M. Cervi)
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Varese: il cielo sui laghi
Nessuna provincia è ricca, come quella varesina, di bacini lacustri, anche se a tale ricchezza fa riscontro una relativa scarsità di corsi d’acqua. Sette sono i laghi che ingemmano il territorio della provincia.
Il lago di Varese, di origine glaciale, è lungo otto chilometri e largo circa quattro e mezzo.
Il lago di Biandronno ha rive piuttosto melmose ricche di torba e di canne palustri.
Il lago di Monate ha limpide acque azzurre ricche di pesci.
Il lago di Comabbio vanta una piscicoltura condotta con criteri razionali.
Il lago di Ghirla occhieggia nella verde Valcuvia.
Il lago di Delio è un piccolo specchio che se sta raccolto tra i monti di una solitaria conda nell’alto luinese.
Il lago di Ganna è nascosto tra il verde della valle omonima, ed è originato da uno sbarramento morenico.
Vi sono poi i grandi laghi che appartengono alla provincia di Varese solo in parte: ad est il lago di Lugano, sulle cui acque scorre in parte il confine con la Svizzera, ad ovest il lago Maggiore la cui riva destra è novarese.
Il lago di Lugano, sulla sponda italiana, è ancora chiamato, come un tempo dai Romani, Ceresio. A nord è riparato dai venti freddi da alte catene montuose; a sud, una serie di colline moreniche fa da barriera alle nebbie; così sulle sue rive si gode sempre una temperatura piuttosto moderata. Dei suoi quattro rami, che si allungano fra incantevoli montagne, interessa la provincia di Varese quello che va da Porto Ceresio fino a Ponte Tresa.
Grande, il lago Maggiore, dovette apparire anche ai Celti se lo chiamarono Verbano, cioè “grande recipiente”; a meno che si voglia collegare l’appellativo alle copiose erbe verbene o verbane che crescono lungo le sue sponde.
Nel lago Maggiore, amministrativamente per metà novarese, come abbiamo detto, confluiscono (oltre al Ticino che vi entra presso Locarno e ne esce a Sesto Calende, e al fiume Tresa, emissario del lago di Lugano) i torrenti varesini Boesio e Bardello, il quale ultimo vi porta le acque dei laghi, pure varesini, di Biandronno e di Comabbio.
Con la varietà dei suoi aspetti, ora severi, ora dolci e ridenti, il lago Maggiore ha il potere di incantare i visitatori.
Antonio Stoppani, l’autore de “Il bel Paese” scriveva: “Ho veduto più volte il lago Maggiore e sempre mi è parso nuovo, sempre mi è parso bello. Ognuno vorrebbe passarvi la vita”.
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Mantova
Secondo la leggenda la città fu fondata da alcuni profughi greci, tra cui la sacerdotessa indovina Manto. Mantova raggiunse grande splendore sotto i Gonzaga. Quattro sono le sue piazze monumentali: Piazza Sordello, dove si ergono il Duomo, il Palazzo Bonacolsi (signori della città dal 1273 al 1328), il Palazzo dei Gonzaga; Piazza delle Erbe con il Palazzo della Ragione, la Torre dell’Orologio e la Rotonda di San Lorenzo; Piazza Broletto con la Torre civica; Piazza Mantegna con la Chiesa di Sant’Andrea.
Per chi voglia dire di conoscere l’Italia, Mantova è un punto importante. Mantova è un mondo.
Mantova fu prima una città comunale, con una delle più belle piazze che sia dato vedere in Italia, la Piazza delle Erbe, tra una torre e un palazzo, tra una facciata di terracotta e un muro scabro, di quei vecchi muri compatti e nudi su cui l’azione del tempo ha descritto un lavoro suo, bello quanto una striscia istoriata da qualche grande scultore, dove la fantasia legge una storia senza immagini e senza parole precise. Vecchi muri ciechi di tutta l’Italia, dominati la notte da un lampione scialbo, questo muro di Mantova è uno dei più belli, un capolavoro del tempo e della natura. Il mercato con le osterie intorno è vegliato dalla figura di Virgilio in un bassorilievo medioevale, seduto a un banco, che svolge il suo libro.
La città comunale è pressapoco tutta qui. Ma tra il Palazzo del Te, che è un padiglione e un chiosco gigantesco, e la Reggia, si ritrova il più straordinario sogno di grandezza che sia dato osservare. Sono quattordici grandi sale nel Palazzo del Te, che era una specie di casa di campagna dove si andava a passare un’ora tra le stanze decorate e i giardini; sono cinquecento stanze la Reggia, ma non c’è un solo appartamento, una sola camera che si possano chiudere a chiave, e tutto è fatto per la rappresentazione, come in certi piccoli appartamenti moderni, dove tutte le stanze sono salotti e la sera divengono tutte stanze da letto.
(C. Alvaro)
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Vini famosi in Valtellina
Degno complemento alla polenta taragna (cibo caratteristico della Valtellina preparato con il grano saraceno) sono i famosi vini. Infatti, nella parte della vallata esposta a sud, dalle zone pedemontane fin oltre i seicento metri, si ha la coltivazione a vigneto, con i caratteristici terrazzamenti, sostenuti sulle scoscese pendici a destra dell’Adda, da lunghi muretti di sassi che danno all’insieme l’aspetto di un’ordinata scacchiera.
Di fronte a queste ordinate coltivazioni non si può trattenere un moto di stupita ammirazione, soprattutto quando si pensa che sono state create dalla costante e secolare laboriosità della gente valtellinese che lottò contro una conformazione naturale del terreno difficile, quasi esclusivamente con le sole forze fisiche, riuscendo così a strappare, anche da terre apparentemente avare, un prodotto pregiato. L’ottimo vino che si ricava da questi vigneti ricompensa però i sacrifici dei valligiani; infatti proprio da queste uve si ottengono vini squisiti, delizia dei buongustai, così da essere annoverati tra i migliori d’Italia e di godere di una certa rinomanza anche al’estero: tali sono il Sassella, il Grumello, l’Inferno, il Valgella e il Fracia.
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Il torrone di Cremona
Come si può pensare a Cremona senza associarla al suo dolce tipico, il torrone, che, nelle sue confezioni così tradizionalmente conservatrici, entra, si può dire, in ogni casa d’Italia, specialmente nel periodo delle feste natalizie?
Come accade per tutti i personaggi illustri di cui l’origine non sia storicamente accertata, anche per il torrone molti paesi si contendono l’onore di avergli dato i natali, e infinite sono le leggende che il popolo ha creato intorno alla sua nascita. Chi lo vuole originario dell’Oriente, chi lo considera una ghiottoneria italiana di antichissima data.
Raccontano che una donna fu sorpresa dalla notte in una località selvaggia mentre si recava al mercato trascinando su un carro i prodotti della sua terra: mandorle, miele e uova. Per difendersi dagli animali feroci che infestavano la zona, la donna si costruì un riparo, usando come materiale tutti i generi alimentari che aveva con sé, dopo averli opportunamente impastati; si salvò perchè le belve, intente a divorare golosamente quella leccornia, furono sorprese dalla luce dell’alba che le mise in fuga.
Narrano anche che i Crociati sostenevano da tempo un lungo assedio in Terra santa. Quando ormai stavano per arrendersi, stremati dalla fame, i mattoni delle torri e delle mura che li difendevano si trasformarono miracolosamente in mandorle, e la calce che li cementava, bagnata dalle loro lacrime, in miele.
Senza cercare nelle leggende le origini del torrone, sappiamo che i Romani erano ghiottissimi di un impasto i cui ingredienti, miele, noci e uova, erano pressapoco quelli dell’odierno torrone; chiamavano “turandae” le focaccine ottenute, e da quel nome a quello di torrone il passo è breve.
Del resto quando Biancamaria Visconti sposò Francesco Sforza, il dolce che rallegrò il banchetto nuziale era un vero e proprio torrone, la cui forma rappresentava il Torrazzo di Cremona, la città che la sposa portava in dote al marito.
E la leggenda si avvicina alla storia…
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Lombardia
La bella regione che ha preso il nome dal dominio dei Longobardi, scende dalle catene dell’Alpe Retica fino al Po, oltrepassando in parte, ed estendendosi al centro della grande pianura padana, fra le terre venete e piemontesi. Tocca tutta la gamma del paesaggio continentale italiano, dalle distese ghiacciate, ai monti prealpini, e da questi, attraverso la splendente regione dei laghi e a dolce zona collinosa dei loro archi morenici, alla prima fascia asciutta del piano per morire nelle molli zolle erbose dove erra il nostro massimo fiume. E questa varietà stupenda di forme è come il simbolo della poliedrica attività del suo popolo intraprendente.
(I. Zaina)
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L’irrigazione in Lombardia
Le acque di monte o di pioggia, penetrate per le spaccature e raccolte sui profondi strati impermeabili della terra, scorrono lungo i pendii e risgorgano nei fontanili. Da fiumi e da fontanili, gli uomini, col lavoro e con sapienza secolari, hanno derivato navigli, canali, rivi, fossi… tutto un mirabile sistema di condotti, di cateratte, di conche, di pescaie, di argini che guida, raccoglie, convoglia, modera, smaltisce. Assicura l’irrigazione, combatte le piene; risana gli acquitrini, concede la navigazione, dà vita alle risaie e alle marcite, dà moto agli opifici e ai mulini, dà freschezza alle campagne e pane alla gente.
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Bergamo
La romantica città che adagiata sul colle e cinta dall’arborato cerchio delle mura venete, si innalza sul piano, profilando nel cielo, al di sopra dell’armonioso chiarore delle sue case raggruppate in chiaro scuro pittoresco, le sue torri, gli aerei campanili, le salde cupole, a lato della Rocca imponente e austera, non ebbe nel corso della sua vita secolare splendori di corti principesche né fasti di glorie ducali…
L’essere la città antica, unica dell’alta Italia, sopralzata sulla pianura di circa cento metri, ha isolato questa città dall’imperversare della modernità violenta ed eguagliatrice. E poichè la stessa attività cittadina e il tradizionale bergamasco fervore di lavoro non potevano non affermarsi imponenti nell’ultimo cinquantennio, tale sviluppo di vita si è ampiamente svolto al piede del colle, nell’ingrandirsi e nell’espandersi progressivo e intenso della nuova città.
(L. Angelini)
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Pavia
Vivere a Pavia è una condizione felice, un regalo continuato: la sua quiete, la sua pace, e la modestia, che qui tutte le cose ispirano, sono sottolineate dal colore fondamentale della città che è tra il rosso vivo del mattone e il grigio un po’ pigro dell’arenaria.
Intanto il cittadino a passeggio per le vie non sente per nulla umiliata la sua statura di uomo camminando tra file di case basse. Pensate a Milano o a Torino dive la persona è schiacciata da quei palazzoni: uno perde subito la confidenza del passeggiare e dello stare.
Quelle sono metropoli, è vero, città cosmopolite. E lo siano. Ma per quei loro corsi sgargianti e tumultuanti, noi non daremo una spanna della nostra settecentesca via Foscolo o il silenzio di via Boezio. Vie tutte piene di cielo, illuminate e, direi, completate da certi bei nomi che ricordano glorie municipali o santi o costumi locali: contrada degli Apostoli, via dei Mulini, del Lino, e anche strada nuova, che poi si chiama così fin dal mille e trecento.
(C. Angelini)
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Mantova
Quando fummo alle mura di Mantova, una stazione accertava che c’era sempre una città ci questo nome. C’era: di strade acciottolate, fra case fosche, invano lavate da tanta acqua… Il canale che, nascostamente, taglia la città da lago a lago, era sordido di spazzatura galleggiante. Un sentore d’acqua stagnante saliva, per il lavandino, nella camera d’albergo. Come una città continuamente minacciata di marcire dalle fondamenta. Ma per le strade dure di ciottoli, sotto i portici, non erravano fantasmi acquatili: corpi vivi di uomini e donne con ombrelli andavano, ben sicuri di non sciogliersi in acqua, nella città da tanti secoli murata dentro l’ansa del Mincio dilagato in tre laghi. Nel tramonto livido, al ponte San Giorgio, il lago inferiore aveva la tristezza bigia, immota, della palude Stigia.
(G. Caprin)
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Milano
Togliete all’Italia Milano e sarà come togliere ad un’automobile il serbatoio della benzina o, se più vi piace, lo spinterogeno. Se essa è una città di nessun tempo, di nessuna epoca gli è perchè è di tutti i tempi e di tutte le epoche. Essa è nata da sé e vive di sé. Pensate al suo Duomo. Dite San Pietro e vi si affaccia Michelangelo, dite Santa Maria del Fiore e pensate al Brunelleschi della cupola o al Giotto del campanile. Ma per Duomo di Milano nessun nome grandeggia: esso è nato dal denaro di tutti i milanesi, che a turno vi portarono le pietre: avvocati, medici, operai, nobili e popolani. Negli archivi della Fabbrica, dove si conserva, scritta giorno per giorno, la storia immensa del sovrumano edificio, leggete migliaia e migliaia di donazioni che vanno da terre, da case, da sostanze ingenti, a lasciti di poche lire o di poche libbre di cera.
(G. Cenzato)
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Il famoso nebbione della bassa
Si cammina adagio: non si vede a un palmo dal proprio naso: un odore acre sale alle narici e penetra in gola. Sembra di essere immersi in una umida, vaporosa bambagia; i rumori giungono attutiti; come echi; gli oggetti appaiono all’improvviso, come ombre sorte dal nulla: la nebbia avvolge tutto, grava su ogni cosa.
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Luci di laghi
A paragonare il lago di Varese a una perla azzurrina legata in pallido argento dalla nebbietta smagliante, poco più che un sospetto di foschia luminosa, che lo ingrandiva singolarmente, e addolciva il crudo lume del sereno invernale, le terre bruciate dal gelo, le nitide rive e le spiagge; a paragonarlo ad una perla, si dice poco e non senza preziosità leziosa: per altro, il suo colore era quello; e mi pare di non aver mai vista, adunata in una conca di lago, una tanta effusione di luce perlacea, come quella che saliva e posava sulla viva quiete delle sue acque, mentre scendevo verso il lago per la proda lene del suo lato meridionale, che da codesta parte è aperto e disteso, adagiato, coniugato col fondo. E ci sono viottoli e stradette antiche, piene di un garbo agreste e gentilmente austero, di quella naturale ritrosia che conferisce un carattere sobrio e segreto, di idilliaca rusticità , al paese subalpino lombardo e piemontese, non appena si esce dalle strade maestre.
Quella riva è più romita, a tratti deserta, ma poi ingentilita da una rustica osteria, da un casale quieto fra le cannucce, da una piccola darsena, da un capitello con l’immagine della Madonna, levato sull’acqua come ad indicare l’approdo alle barche, col lumicino dell’immagine sacra…
(R. Bacchelli)
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Il lago di Como
Il lago di Como è fatto come una Y capovolta. Si direbbe che madre natura si sia prodigata in modo particolare per rivestire le sponde montuose di varia ed esuberante vegetazione. Gli uomini hanno fatto il resto. Vi crearono ville e giardini e alberghi senza numero con parchi ombrosi, terrazze, chioschi, e scenari vegetali che le acque cristalline del lago concorrono a colorire e animare.
Fra i giardini primeggia quello annesso alla Villa Carlotta a Cadenabbia, famoso in tutto il mondo. Lo si direbbe creato dalla fantasia di parecchie generazioni di artisti. Nel mese di maggio specialmente, quando azalee, camelie, rose, rododendri e ogni sorta di fiori rari, trionfano tra le aiole disseminate tra i viali e i boschetti di cipresso, di pini e di piante esotiche, sembra proprio una casa di sogno e di favola.
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Il Garda in burrasca
… Uno di questi giorni, anzi una notte, stavo ascoltando il Garda in burrasca.
La burrasca, propriamente, allentava, abbonacciava; il vento, ormai caduto, non frastornava più, con le sue stormenti folate, il fragore delle onde rompenti e frangenti. Aveva smesso di percuoterle e premerle, di incalzarle e istigarle, col flagello delle raffiche che esprimono dalla terra e dalle acque e dall’aria quella sorta di strozzato e strepitante spasimo della natura nel tormento, nello strido, nell’ululo dei turbini in tempesta.
Piene, alte, libere, sciolte, si levavano in pacata vigoria le onde, e correvano a riva, a frangere in largo scroscio disteso sui greti delle spiagge e fra i sassi delle scogliere.
Saliva dal lago un rumore, un suono spianato in ampiezza di tempo e di volume, anch’esso vigorosamente tranquillo; e continuo, cadenzato, rotondo. Era quel fragore e clamore di tono alto, spiegato, sonante e risonante, proprio come d’una forza, liberata e placata, che assumono le onde nel cedere e nell’allentare della tempesta.
(R. Bacchelli)
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La terra del latte
Milano è città di confine; attraversandola da nord a sud, sud-est si passa dalla Lombardia dei laghi alla Lombardia dei fiumi e dei canali, dei prati a marcita, delle cascine dove le stalle lunghissime reggono appena al penso dei fieni. In nessun luogo più giustamente che a Lodi poteva sorgere una fiera del latte.
Di burro e formaggio nella regione semichiusa fra Adda, Lambro e Po, si produce quasi la sesta pare che nel resto d’Italia. Ma tutto questo esplodere di rustiche e non rustiche grandezze sembra spostare solo di un filo, nella piccola città di Lodi, le abitudini giornaliere, appena appena vi s’incrina l’armonia in grigio e in silenzio della vecchia Piazza Maggiore, degli archi, delle chiese, delle vie piane e dolcemente larghette dove si stende e sogna il centro cittadino. Nella Piazza, sotto i portici, si sorprendono ora conversazioni in lingue e dialetti disparatissimi o in quell’esperanto che appartiene a ogni riunione eteroclita… si penserebbe a una biennale veneziana del burro e del formaggio; le voci tuttavia sono calme e discrete.
Dal giro di facciate che si sporgono così gentilmente, coi balconi di ferro battuto e le insegne in rilievo nei negozi e dei caffè, agli angoli segreti del Broletto, la Piazza ha ancora l’aria di attendere con modesto decoro qualche gruppo di viaggiatori in arrivo con la diligenza. Le vie, che se ne distaccano ben regolate, incrociandosi al punto giusto, portano un senso di leggerezza nelle misure né troppo grandi né troppo piccole e nelle tinte non monotone, solo quiete: leggerezza cui si accompagna una particolare malinconia, come spesso nei paesaggi che seguono un fiume. Sta come un deposito umido nella luce delle giornate anche più limpide: un velo d’acqua rende più morbide le voci delle campane. L’acqua che scorre ampia nei fiumi, con lentezza; che scivola canalizzata, lambendo i salici e i pioppi, a imbevere i campi; e questa gente non languida è ben lontana dall’allungarne il sangue delle sue vene, il latte delle sue stalle, o il vino delle sue osterie, ma l’acqua rimane qui l’elemento primordiale.
(G. Ferrata)
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Milano città d’arte
A nessun visitatore, a nessun turista viene mai in mente che una città così simpaticamente brutta (gli angolini sconosciuti non fanno che confermare la regola), così moderna, così presa dal ritmo del lavoro, possa non già produrre, ma avere una qualche segreta bellezza che faccia perennemente parte della sua natura.
Per la stragrande maggioranza dei visitatori, la Milano artistica si riduce dunque al Duomo. Gli stranieri dopo aver appreso che le statue sono 3.159, che la Madonnina è altra dal suolo 108 metri e 50 centimetri, che i lavori cominciati nel 1386 si conclusero soltanto nel XIX secolo, penetrano anche nell’interno ad ammirare le grandi navate gotiche, i cinque colonnati, il sarcofago di Ariberto d’Intimiano, arcivescovo del Carroccio. Gli Italiani molto spesso non entrano neppure. Ripetuto in mille modi da cartoline, documentari, panettoni, il Duomo di Milano è tanto familiare, tanto noto che la sua conoscenza, al pari di quella di certi romanzi famosi, viene data per scontata, non val neppure la pena di entrarci, basta uno sguardo fuggevole alle guglie velate di nebbia dalle arcate dei portici settentrionali.
Solo un’esigua minoranza, gli animi più sensibili, le comitive organizzate, trovano il tempo per una seconda tappa: L’ultima cena di Leonardo da Vinci, a Santa Maria delle Grazie, che dopo la pazientissima, miracolosa opera di restauro effettuata nel 1953 da Mauro Pellicioli, ha riacquistato parte della sua luminosità e dei suoi colori.
Duomo e Cenacolo sono gli unici due monumenti di Milano turisticamente vivi, frequentati in ogni ora e in ogni stagione da folte comitive come succede ai capolavori fiorentini o romani. Il resto, deserto. Alla Pinacoteca Ambrosiana in questa stagione capita più di una volta che nel corso dell’intera giornata neppure una persona si presenti all’ingresso; al Museo della Scala i visitatori si contano sulla punta delle dita; a Brera, il più famoso di tutti, solo la domenica c’è una certa animazione. Eppure si tratta di raccolte di valore europeo, talune delle quali addirittura uniche nel loro genere.
Prendiamo il caso di Brera. Sede, oltre che della Pinacoteca, di una grande biblioteca e dell’Accademia di Belle Arti, questo grande palazzo barocco-lombardo, costruito verso la fine del Seicento dall’architetto milanese Francesco Maria Richini, è un po’ il centro del quartiere artistico milanese, con i suoi cortili monumentali, i suoi loggiati, i suoi scaloni su cui spiccano ancora i colossali portacenere d’ottone dove i visitatori del secolo scorso erano pregati di abbandonare i loro sigari.
Ma il cuore, il gioiello di Brera è la Pinacoteca. Sorse nel 1809 per volere di Napoleone il quale, al fine di cementare l’unità del regno italico, dette precise disposizioni affinché vi fossero radunate opere di tutte le scuole pittoriche italiane. Unità politica attraverso l’unità artistica. Così Brera è forse l’unica pinacoteca italiana a carattere spiccatamente nazionale. Chi volesse avere un’idea panoramica della pittura del nostro Paese visitando un solo museo dovrebbe per forza di cose venire qui. Accanto ai capolavori di Raffaello, del Mantegna, di Giovanni Bellini, di Piero della Francesca, del Bramante, nelle trentotto grandi sale sono rappresentate organicamente tutte le scuole dell’Italia settentrionale: quella veneta (Tiziano, Tintoretto, Veronese, Guardi, Canaletto, Longhi), quella lombarda (Luini, Bramantino), quella ferrarese (Tura, Cossa, Costa, Ercole De Roberti) e non mancano fulgide testimonianze di altre regioni e di altri Paesi (El Greco, Rembrandt). I due quadri più famosi, quelli che tutti conoscono, sono Lo sposalizio della Vergine di Raffaello e il Cristo Morto del Mantegna, colto dai piedi in audacissima prospettiva.
In Piazza della Scala c’è un altro museo unico in Europa: quello che per l’appunto prende il nome dal massimo teatro lirico milanese. Ci si accede per una scaletta bassa, angusta, modesta come quasi sempre sono le scalette dei teatri; anche le sue sale sono piccole, ma della piccolezza ovattata, ricca, quasi sontuosa, che contraddistingue i palchi della Scala. Fra marmi e velluti sono ordinati spartiti, cimeli, lettere dei maggiori musicisti del mondo. C’è l’orologio di Puccini, la penna d’avorio di Boito, gli occhiali d’oro di Rossini, la spinetta di Paisiello. Gli oggetti di Verdi sono tanti che riempiono addirittura due sale. Alle pareti, accanto ai ritratti di Giuditta Pasta, della Malibran, di Caruso e di Toscanini, spiccano locandine scaligere di tutti i tempi. Ma oltre quella della Scala, attraverso pregevoli collezioni di maschere greche e romane, di riproduzioni scenografiche, di documenti, il museo rifà praticamente la storia di tutto il teatro.
(G. Tumiati)
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Curiosità sulla Lombardia
La Lombardia ebbe il suo nome di battesimo circa 600 anni dopo Cristo; lo prese dalla popolazione di origine germanica dei Longobardi, che si erano stanziati nel territorio di questa regione verso il 570 dC.
I confini perimetrali della Lombardia misurano quasi 1.400 chilometri.
C’è un pezzettino di Lombardia (e perciò d’Italia)… all’estero: è il Comune di Campione d’Italia, nel Cantone Ticino (Svizzera):
Benché sia difficile precisarlo, si può stimare che nella regione esistano circa 2.000 fontanili. Si può inoltre dire che il volume d’acqua donato da tutti i fontanili lombardi sia almeno pari alla portata media di un fiume come l’Adda.
Dei tre grandi laghi lombardi il lago di Como è l’unico che sia interamente lombardo. Il lago Maggiore, infatti, ha la costa occidentale in territorio piemontese e l’estremità settentrionale addirittura in Svizzera; il lago di Garda ha la costa orientale nel Veneto e l’estremità settentrionale nel Trentino.
Il campanile più alto d’Italia è il Torrazzo di Cremona, alto 111 metri. Le mura sono spesse cinque metri alla base, due metri e mezzo all’altezza della cella campanaria. Le sette campane che vi sono installate furono fuse nel 1774 da Bartolomeo Bozzi; la maggiore, detta di Sant’Omobono, pesa 35 quintali.
La fertile pianura in cui sorge Crema era una palude, denominata Lago Gerundio, da cui emergeva un isolotto. Su questa poca terra fu fondata Crema.
(R. Mezzanotte)
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Pavia
Amo la libertà de’ tuoi romiti
vicoli e delle tue piazze deserte,
rossa Pavia, città della mia pace.
Le fontanelle cantano ai crocicchi
con chioccolio sommesso: alte le torri
sbarran gli sfondi, e, se pesante ho il cuore,
me l’avventano su verso le nubi.
Guizzan, svelti, i tuoi vicoli, e s’intrecciano
a labirinto; ed ai muretto pendono
glicini e madreselve; e vi s’affacciano
alberi di gran fronda, dai giardini
nascosti. Viene da quel verde un fresco
pispigliare d’uccelli, una fragranza
di fiori e frutti, un senso di rifugio
inviolato, ove la vita ignara
sia di pianto e di morte. Assai più belli,
i bei giardini, se nascosti: tutto
mi par più bello, se lo vedo in sogno.
E a me basta passar lungo i muretti
caldi di sole; e perdermi ne’ tuoi
vicoli che serpeggian come bisce
fra verzure d’occulti orti da fiaba
rossa Pavia, città della mia pace.
(A. Negri)
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Grattacielo a Milano
Quando rincasavo la sera
c’erano due lumi rossi
agli angoli dello sterrato.
In quel fosso è nato
il grattacielo di Milano,
un piccolo segno di vittoria
per noi apostoli di cannoni nuovi
del nuovo vangelo.
Me lo trovo impagliato
di fronte all’Albergo Doria
come se io l’avessi innaffiato.
Mi fa ombra sul viso
all’angolo del marciapiede,
dove la fioraia contadina
portava un tempo edelweiss
e narcisi.
(L. Sinisgalli)
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Pace
Milano, alle tue soglie
l’erma badia di Chiaravalle tace.
Milano, alle tue soglie hai la tua pace.
Quando da te mi toglie
un desiderio d’esser consolato,
vado al tuo camposanto fatto prato.
L’erba è fitta d’occhietti
azzurri, e l’aria è un saettar di voli:
sotto gli archi i sarcofaghi stan soli.
Tra i gracili alberetti
dei mandorli, certo, anime celesti
muovono i lembi dell’eteree vesti.
Pena mi si disperde
fra gli alti muri e le patrizie tombe:
vita non pesa, morte non incombe.
Seggo in quel chiuso verde
presso il solingo tempio: e morte appare
sorella, e che sia dolce in lei posare.
(F. Pastonchi)
Tradizioni comasche
Oggi, a Como, i bambini sono danno più una malattia per la pampara. Ma un tempo era un’altra cosa. Nel giorno di Sant’Antonio c’era la benedizione di mucche e di cavalli. Bancarelle a iosa con le pampare e i firun. Non sono mai riuscita a sapere l’origine del nome pampara. Si tratta di una sottile canna di bambù con inserite, in diversi taglietti della corteccia, larghe ostie colorate e tante di quelle coserelline che sono care ai bambini. Di modo che ogni bambino prendeva la sua, più bella e più guarnita delle altre, per tornarsene a casa trionfante.
I furin sono collane di castagne cotte, infilate in uno spago, che i venditori recano in lunghe ceste.
Naturalmente la piazzuola, per il gran giorno, ha mille altre cianfrusaglie in vendita: dalle immagini alle statuette sacre ai prodotti mangerecci.
(M. Fagnani)
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