Dettati ortografici CARNEVALE – Una collezione di dettati ortografici sul Carnevale, di autori vari, per la scuola primaria.
Benvenute, mascherine di Carnevale! Quando arrivate voi, mettete il sorriso sulle labbra di tutti. Siete allegre nei vostri costumi variopinti e scherzate sempre. Ecco Pulcinella col suo camiciotto bianco e il grosso naso nero, ecco Arlecchino col suo vestito multicolore, ecco Rosaura e Colombina, graziose e smorfiose. Ogni paese ha la sua maschera, tutte allegre, con una gran voglia di fare scherzi e di divertirsi.
Quando le mascherine, una volta all’anno, vengono fuori, ne combinano di tutti i colori. Ecco Pantalone, veneziano, con la sua barbetta a punta. Arlecchino nel suo vestito a toppe di tutti i colori, minaccia, col suo bastone, di dar botte a tutti. Balanzone, dottore di Bologna, di dà molta importanza, ma nessuno si cura di lui e dei suoi purganti. Tutte le maschere sono allegre, festose, e la gente le vede volentieri.
Quando Carnevale dà la libertà alle maschere, è una festa dappertutto. La gente si diverte a tirare coriandoli e stelle filanti che si attaccano ai rami degli alberi e vanno da un balcone all’altro. I passeri si fermano a guardare, incuriositi, e non sanno che cosa accade. E’ Carnevale, passerotti, l’epoca in cui gli uomini fanno festa, mentre per voi, uccellini spensierati, è Carnevale tutto l’anno!
Il Carnevale è un periodo di allegria tra il Natale e la Quaresima; praticamente ha inizio il giorno di Sant’Antonio abate, il 17 gennaio, ma generalmente la festa si limita agli ultimi tre giorni e in particolare al cosiddetto “martedì grasso”. Nelle chiese di rito ambrosiano il Carnevale termina con la prima domenica di quaresima.
Tutti si riversano nelle strade e nelle piazze ad ammirare le maschere. Durante gli ultimi due giorni si vedono le strade affollate di maschere vestite nelle fogge più strane. Per le maschere tutto serve; si vuotano i canterani e si sciorinano gli indumenti delle bisnonne, le divise militari. E poi barbe, nasi, pance e gobbe fuor di squadra. (U. Vaglia)
Ecco i grandi carri mascherati! Ecco i pupazzi giganteschi che tentennano la testa e spalancano la bocca enorme! E’ carnevale che passa per le strade. Guardatelo: è vestito di cento colori, ha manciate di coriandoli sui capelli, ride come un matto e si diverte a prendere in giro la gente. Ma non è cattivo: non vuole che si facciano scherzi pericolosi. (M. Mortillaro)
Sin dall’antichità, i popoli istituivano varie feste di tripudio con riti festosi e travestimenti. Nel Medioevo risorsero le antiche tradizioni e in Italia fu famoso il carnevale di Venezia a cui partecipavano il doge, la Signoria, il Senato e gli Ambasciatori. L’antica usanza delle maschere, che ha origine antichissima, raggiunse il massimo splendore in Italia, nelle principali città. Infatti quasi tutte le regioni hanno la loro maschera caratteristica.
In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua.
Per Carnevale si usano alcuni dolci caratteristici: le castagnole, gli struffoli, le ciambelle, la cicerchiata, le chiacchiere e i crostoli: nomi particolari di ogni regione che ha i suoi usi e le sue ghiottonerie.
Non tutti sono d’accordo sull’origine del nome “Carnevale”. Secondo alcuni esso deriva dal primo giorno di quaresima in cui s’inizia il digiuno e l’astinenza e significherebbe “togliere la carne”. Secondo altri, siccome in latino “vale” significa “addio”, Carnevale significherebbe “addio alla carne”. Il periodo carnevalesco era, in origine, compreso tra il Natale e la Quaresima. In seguito si iniziò il giorno seguente l’Epifania per terminare il giorno delle Ceneri. Oggi il Carnevale ha inizio comunemente il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio abate, e finisce il giorno che precede le Ceneri.
Il carnevale le chiamò e le maschere accorsero. Uscivano una volta all’anno, ma quando uscivano, che baldoria! Il più allegro era Arlecchino, col suo vestito di tanti colori e la sua mascherina nera. Aveva sempre voglia di bisticciarsi, ma allegramente, s’intende. Il suo fido amico era Pulcinella, vestito di bianco, con un nasone che faceva venire allegria.
Dopo trentun giorni di cammino, anche gennaio, sentendosi morire, chiamò forte: “Febbraio! Febbraio! Piccolo fratello, tocca a te!”. Ed ecco che, con tintinnii di sonaglietti, colpi di grancassa e scrosci di risa, spuntò febbraio, il più sbarazzino e il più piccolo dei dodici fratelli. Si trascinò dietro il Carnevale con cortei di maschere e mascherine. Intanto la coltre di neve che copriva la terra aveva di già qualche strappo, perchè febbraio, capriccioso, lasciava che il sole giocasse a rimpiattino con le nubi. La terra si vestiva di puntine verdi e offriva i primi fiori di mandorlo e le prime viole. (G. Nuccio)
Febbraio è anche il mese delle allegre gazzarre, delle maschere, delle frittelle. Che bel tripudio di carri mascherati per le strade e per le piazze! Arlecchino, Pulcinella, fanno a gara a chi grida di più. Dalle finestre piovono i coriandoli: verdi, gialli, rossi, violetti e le stelle filanti corrono da balcone a balcone, girano attorno ai fili elettrici, si aggrovigliavano in matasse e ricadono in bizzarri festoni. (Palazzi)
I ragazzi si misero i nasi finti, maschere di cartone da pochi soldi, e cominciarono ad andare su e giù facendo schiamazzo con i dischi di terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come maschere. La brigata infastidì parenti e amici, con i suoi coriandoli. Alla fine, dopo essere saliti nelle proprie case, i bimbi gettarono un ponte di stelle filanti da finestra a finestra, attraverso la strada. Ma la notte piovve, e il ponte crollò. (V. Pratolini)
Pulcinella giaceva sul letto. Era malato. Da una parte stava il notaio, che scriveva il testamento; dall’altra i parenti, che piangevano in silenzio. Pulcinella diceva: “A Carminella lascio la roba della casa e gli oggetti d’oro…”. Carminella, a quelle parole, rispondeva con un singhiozzo. “A Gennaro, a Mariuzza lascio…”. “Dov’è tutta questa roba che tu lasci, o Pulcinella?”. “Dov’è?” rispose il malato, “io la lascio, sta a loro cercarsela!” (I. Drago)
Una delle stelle filanti che dondola dalla ringhiera di un balcone, un pugno di coriandoli che il vento ha spinto nel rigagnolo, l’eco degli schiamazzi di un’allegra brigata che poco fa è scomparsa dietro l’angolo di una casa… e nella livida alba di febbraio, in questo scenario di “festa finita” ecco presentarsi, quasi irreale, la figura dello spazzino. Intanto, una finestra illuminata all’ultimo piano del caseggiato, si spegne, mentre un’altra, al primo piano, si accende. C’è chi si corica dopo una nottata di baldoria, chi si alza per mettersi a lavorare. (B. Mercatali)
Carnevale è passato. E dei giochi buffi, delle burle, dei carri mascherati, degli sberleffi e delle matte risate di questa favola che si ripete ogni anno, non rimane che poca carta colorata sospinta dalla scopa dello spazzino. Una trombetta di cartapesta, infiocchettata di striscioline di carta rossa, prende a rotolare adagio verso una pozzanghera. Lo spazzino la raggiunge e la prende. Poi, sorridendo, se la porta alle labbra. Ma il suono che ne esce è breve e stonato, sgradevole; e allora l’ometto scaraventa il giocattolo nel resto della spazzatura. (B. Mercatali)
Giorno di carnevale
In piazza San Carlo, tutta decorata di festoni gialli, rossi e bianchi, s’accavallava una grande moltitudine; giravan maschere d’ogni colore; passavano carri dorati e imbandierati, della forma di padiglioni, di teatrini e di barche, pieni d’Arlecchini e di guerrieri, di cuochi, di marinai e di pastorelle; era una confusione da non saper dove guardare; un frastuono di trombette, di corni e di piatti turchi che laceravano le orecchie; e le maschere dei carri trincavano e cantavano, apostrofando la gente a piedi e la gente alle finestre, che rispondevano a squarciagola, e si tiravano a furia arance e confetti: e al di sopra delle carrozze e della calca, fin dove arrivava l’occhio, si vedevano sventolare bandierine, scintillar caschi, tremolare pennacchi, agitarsi festoni di cartapesta, gigantesche cuffie, tube enormi, armi stravaganti, tamburelli, crotali, berrettini rossi e bottiglie: pareva tutti pazzi. (De Amicis, Cuore)
Il carro
Andava dinanzi a noi un carro magnifico, tirato da quattro cavalli coperti di gualdrappe ricamate d’oro, e tutto inghirlandato di rose finte, sul quale c’erano quattordici o quindici signori, mascherati da gentiluomini della corte di Francia, tutti luccicanti di seta, col parruccone bianco, un cappello piumato sotto il braccio e lo spadino, e un arruffo di nastri e di trine sul petto; bellissimi. Cantavano tutti insieme una canzonetta francese, e gettavan dolci alla gente, e la gente batteva le mani e gridava. (De Amicis, Cuore)
Platero e il carnevale.
Com’è bello, oggi Platero! E’ il lunedì grasso, e i bambini che si sono vestiti chiassosamente da pagliacci e da guappi, gli han messo la bordatura moresca, tutta ricamata di rosso, verde, bianco e giallo in ricercati e complessi arabeschi. Acqua, sole e freddo. I coriandoli di carta vanno rotolando parallelamente sul marciapiede sotto la sferza del vento… Quando siamo arrivati in piazza han preso in mezzo Platero in un cerchio tumultuante, e poi, tenendosi per mano, hanno cominciato a girare allegramente intorno a lui. Tutta la piazza non è più che un concerto allusivo di ottone giallo, di ragli, di risate, di canzoni, di tamburelli e di mortai. (J. R. Jimenez, da Platero y yo)
Il giorno delle frittelle
Quando le donne fanno le frittelle, non è detto che stiano sempre in cucina. Qualche volta escono di casa, corrono a più non posso, e sempre correndo, girano le frittelle nella padella. Questo succede ogni anno, il martedì grasso, a Olney in Inghilterra. Le donne si allineano nella piazza del paese, tutte hanno con sè una padella con dentro una frittella calda, e devono voltare la frittella almeno tre volte prima di giungere alla porta della chiesa, all’altra estremità della piazza. Pronte…via! Le frittelle saltano, i piedi volano. Una donna vestita di blu è quasi arrivata alla chiesa, sta per voltare la frittella per la terza volta e… sì! Ce l’ha fatta! Ha vinto! Ora riceve il premio: un bacio dal campanaro. E la frittella? La mangia il campanaro, ma se glielo chiedi, può darsi che te ne dia un pezzetto.
L’aria si rincrudì e comiciò a venir giù un brutto piovigginio con qualche farfalluccia di neve. Ma erano gli ultimi giorni di carnevale, e al brutto tempo chi ci badava? In quasi tutte le osterie si ballava a più non posso. Non passava notte, senza che fossimo destati da baccani, cantate, liti giù in strada. Qualche mascheraccia bislacca compariva di tanto in tanto, con un codazzo di marmocchi dietro. Si sentiva, attraverso l’aria fosca, un odore di gran baldoria, che dava alla testa. (F. Chiesa)
Sera di carnevale
Certe sere di carnevale vi accorgete che è Carnevale perchè, nel rincasare, pensando ai casi vostri incontrate a ogni passo sparati bianchi, code di vestiti dorati su scarpini metallici…
…che gesta, ora, che allegria e che splendore nella casa, poc’anzi silenziosa e triste!
Una piccola regina sta nascendo a poco a poco dall’ammasso dei veli e dei nastri, mentre un principe un po’ scapestrato lotta col bottoncino del colletto che non vuole entrare nell’asola.
Chi pensa più alla miseria di tutti i giorni? Chi ha voglia di cenare? Le patate, abbandonate e neglette, giacciono in fondo a un oscuro tegame, in cucina. (A. Campanile)
Il carnevale
Non c’è ormai alcun dubbio, in base agli studi di eminenti glottologi, che Carnevale deriva da carnem levare, e prove sicure di questa etimologia ci vengono anche dal termine siciliano carnilivari e da quello spagnolo carnestoltes. Carnevale, all’origine, indicava il giorno da cui sarebbe coniciato il periodo della quaresima, durante la quale non si sarebbe più mangiata carne, perchè dedicato a penitenza e digiuni. Prima che tale periodo di privazioni incominciasse bisognava approfittarne per fare baldoria.
La vita moderna, offrendo ormai durante il corso dell’anno divertimenti e spettacoli, ha attenuato di molto i motivi di interesse per il carnevale che un tempo si presentava come l’unica, intensa stagione di godimento. Tuttavia, questo periodo di baldorie non è scomparso del tutto. Anzi, per particolari condizioni psicologiche e sociali, in alcuni luoghi si è conservato e talvolta con una reviviscenza alimentata anche da ragioni turistiche.
Carnevale nella via
Quest’anno il carnevale sarebbe passato lontano dalla nostra strada se non ci fossero stati i ragazzi a ricordarne l’esistenza e a mettersi nasi e baffi finti e maschere di cartone da pochi soldi, ad andare su e giù facendo il più possibile schiamazzo con i fischi di terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come nacchere. In questo, Giordano è un maestro. Egli stringe i due legnetti della stessa misura fra indice e medio e fra medio e anulare della destra ed è capace perfino di eseguire il Rataplan verdiano… Giordano aveva quest’anno una maschera di cinese, e Gigi quella di un vecchio con la barba bianca. Musetta si era accontentata di un apparato naso-baffi-occhiali, più adatto ad un avvocato che a una bambina. A Piccarda, suo fratello aveva comperato un cono stellato con sul dietro dei riccioli di stoppa, per cui ella era il Mago Merlino. (V. Pratolini)
Carnevale a Nuoro
Le vie erano affollate; mascherate barocche e variopinte andavano su e giù, tra un nugolo rumoroso di monelli che urlavano improperi e parole scherzose. Maschere sole, vestite a vivi colori, passavano, seguite dallo sguardo indagatore e beffardo degli operai e dei borghesi: passavano signore, bimbe, serve dai corsetti scarlatti; gruppi di paesani un po’ brilli si pigiavano in certi tratti del Corso; e musiche malinconiche di chitarra e fisarmonica salivano e vibravano in quell’aria tiepida e velata che rendeva i suoni più distinti come in un crepuscolo d’autunno. (G. Deledda)
Il carnevale di Viareggio
Il carnevale è sempre un periodo di gaia baldoria e di spensieratezza, ma in nessun luogo come a Viareggio la gioia di questa festa invernale prorompe in modo così clamoroso. Nella bella cittadina balneare toscana si svolgono sfilate di carri, che restano indimenticabili per chi le ha viste. Il martedì, ultimo giorno di carnevale, e le tre domeniche precedenti, il meraviglioso viale che si snoda lungo il mare, fra la pineta foltissima e la sabbia dorata della riva, si anima come per incanto. Folla e folla accorre dalle città vicine e lontane per godersi questo spettacolo.
Come si affaticano per mesi e mesi, i Viareggini, a fabbricare giganteschi pupazzi, uno più buffo dell’altro; a costruire carri grandiosi che rappresentano navicelle, castelli o aeroplani; a guarnirli in modo originale così che la gente, vedendoli sfilare lungo i corsi, non può trattenere le grida di meraviglia.
Ci sono le maschere isolate che sfilano a piedi, portando in capo buffi testoni enormi, fra un lancio continuo e instancabile di coriandoli, di stelle filanti, di caramelle. E intanto le bande suonano, la gente grida, canta, ride… (L. Bindi Senesi)
Carnevale per le strade
La città si animava; si animava il vento, la neve per le strade. E, all’improvviso, pur dentro il buio, il colore dei costumi, dei coriandoli.
Fummo in mezzo alla piazza con attorno bambini dai cappelli a cono con la mezzaluna d’argento. Le mascherine ci sfioravano, scherzavano, ridevano. Pareva che non importassero il freddo, la neve, il vento: senza rumori che non fossero musica o viva voce o risa.
Un carnevale in piena estate
Il carnevale di Rio è una festa di Piedigrotta moltiplicata per cento: eso esprime la gioia di vivere, la volontà di dimenticare almeno per quattro giorni tutti i guai di questo mondo…
La città assume l’aspetto di un immenso palcoscenico durante l’allestimento di un grande spettacolo. E quando l’ora scocca, la Fiesta esplode. Donne e uomini, brasiliani e stranieri, tutti sono spettatori e attori della sagra sfrenata. Per quattro giorni ogni altra attività è sospesa, ogni strada e ogni piazza sono teatro di uno spettacolo disordinato e pittoresco che si rinnova continuamente. E’ quasi un punto d’onore non ritornare a casa durante le notti carnevalesche. Il cielo di Rio si trasforma in una crepitante fornace da cui piovono in continuazione scintille multicolori, e la città in un’enorme cassa armonica risuonante… di motivi che poi prenderanno le vie del mondo…(M. Procopio)
Maschere tradizionali
Quando le mascherine, una volta all’anno, affollano le strade, sono allegre e ne fanno di tutti i colori. Ecco Pantalone, veneziano, con la sua barbetta a punta; Arlecchino, col suo vestito a toppe, minaccia, col suo bastone, di dar botte a tutti.
Balanzone, dottore di Bologna, si dà molta importanza, ma nessuno si cura di lui e dei suoi purganti. Preferiscono Gianduia, che è di Torino, patria dei cioccolatini e delle caramelle. Gianduia ha un viso festoso e un codino ridicolo legato con un fiocchetto. Ma il più buffo è Pulcinella, napoletano, vestito di un camiciotto bianco; ha un gran naso nero e scherza su tutto.
Carnevale in Calabria
Carnevale è il re dei ghiottoni, e ricompare tutti gli anni, in febbraio, a morire d’indigestione nelle piazze dei paesi tra lo scherno del popolo. E’ proprio il mese in cui si ammazza il maiale. L’aria è piena di grugniti e di fumo grasso delle caldaie spalmate di sugna. Per le strade, ad ogni imbocco, è drizzato su due forche il maiale, fra i curiosi che notano quanto pesa, e guardano le lunghe strisce di grasso incise sulla cotenna senza una goccia di sangue, bianche. Intanto i cani si danno attorno a fiutare il sanguinaccio cremisi.
Poi arriva Carnevale, con delle strabilianti decorazioni di salsicciotti, e catene e cordoni di salsicce. E’ destinato a morire di indigestione e di ridicolo, ma fino all’ultimo crederà di guarire mangiando fette di grasso.
Il popolo intanto balla per le piazze e per le strade: il contadino si è messo un abito a falde da avvocato, e il signore si veste da contadino.
Tutto il paese, una volta tanto, si scambia la parte e il vestito, e fa un gran ridere di ritrovarsi così, come se davvero avesse mutato fortuna. Poi, Carnevale, in groppa a un asino, ben imbottito di paglia, è buttato in mezzo alla piazza e dato alle fiamme. La massaia copre i vasi di sugna e appende i rocchi di salsicce che consoleranno le lunghe stagioni di lavoro.
(C. Alvaro)
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