Abdullah e il pepe: un racconto ambientato nell’epoca delle crociate, per bambini della scuola primaria adatto alla lettura e il riassunto.

Il Pascià di Alessandria, dopo aver ascoltato distrattamente tre religiosi biancovestiti, con una croce rossa e blu sul petto, chini umilmente davanti a lui, contò e ricontò la somma piuttosto forte che gli era stata appena consegnata. Poi fece schioccare le dita: “Chiamate Abdullah!”.

Lo schiavo Abdullah spuntò fuori dalle cucine dove stava lavorando da quasi undici anni. Era uno schiavo dagli occhi azzurri e dal naso un poco all’insù, vissuto fino a dieci anni, con il nome di Giannetto, in un villaggio della valle della Loira.  Per aver seguito un pastore di Vendome che predicava la Crociata dei Fanciulli, egli era andato a finire in qualità di marmittone in mano ai Barbareschi…

Il Pascià gli disse: “Ecco degli ulema (dotti) del tuo paese che mi hanno versato un buon prezzo per il tuo riscatto. Poiché ti sei comportato bene, ti restituisco la libertà. Ricorda che tu sei vissuto fra noi più a lungo che non presso i Franchi; se un giorno sentissi il desiderio di ritornare da noi potrai invocare la mia protezione”.

E Abdullah-Giannetto partì con i monaci trinitari verso il molo dove si riunivano gli schiavi riscattati.

Ma verso la fine di settembre, appena cinque mesi dopo la sua liberazione, egli si trovava di nuovo davanti al Pascià, in compagnia di un altro cristiano fornito di un’enorme bisaccia di cuoio. Affondato in un sofà di seta verde, il Pascià prendeva da una cesta delle arance candite e delle uova sode…

“E così” gridò “tu hai fatto naufragio… racconta!”.

“Dopo dieci settimane di navigazione” racconta Giannetto, “la nostra nave andò a sbattere contro uno scoglio a fior d’acqua, si squarciò e affondò. Io fui spinto sugli scogli, e riuscii a toccar terra, mezzo annegato. Dopo aver preso fiato e vestito com’ero con i soli pantaloni, mi inoltrai nell’interno del paese finché raggiunsi una città fortificata, costruita sulle pendici di una collina. La gente vi parla la lingua di Felì, il Provenzale, il nostro schiavo pasticcere. Verso sera, quasi morto di fame e di sete, mi fermai alla porta di una taverna. Nel vedermi, l’enorme padrone si pose sulla soglia della porta e bastò questo  per sbarrarmi l’ingresso.
In quel momento io sentii in tasca delle palline dure: automaticamente ne tirai fuori alcune per vedere ci che si trattava. Erano aromi che Felì mi aveva donato al momento della partenza. Non appena vide quei granellini, l’oste mi stese la sua manaccia in modo così imperioso che io aprii le dita e cinque grani verdastri vi rotolarono. Vedendo di che cosa si trattava, l’omaccio esclamò: ‘Guarda un po’! Del pepe!’. Mi fece entrare nella cucina e mi diede da lavare dei bicchieri e dei piatti maleodoranti. Allora pensai che non avevo niente da guadagnare a essere libero… La mia cena furono un pezzo di pane e pochi fichi, prima di andare a dormire nel granaio.
Qui ebbi il tempo di contare i miei grani di pepe: me ne restavano 13 e li rimisi nel sacchetto. Senza riflettere bene a quello che facevo, nascosi quel sacchetto sotto una trave: era tutta la mia fortuna e ciò mi fece ridere!… Nel cuore della notte, fui risvegliato dall’oste: alla luce fioca della candela frugava nei miei pantaloni. Poiché sapeva bene che io non avevo denaro certamente stava cercando il pepe. A forza di frugare perfino nelle cuciture, scoprì un grano che mi era sfuggito, fece un grugnito di soddisfazione e se ne andò.
Il mattino, me la squagliai, naturalmente con il mio pepe!”.

“Parlami dell’oste, non è stato bastonato?” domandò il Pascià tra un boccone e l’altro.

I racconti arabi si snodano senza fine, come una stella filante, inseguendo le vicende di tutti i personaggi. Il Pascià fu quindi deluso nel sentire che Giannetto non sapeva nulla del suo ladro.

Il ragazzo riprese: “Fuori scorsi un uomo di alta statura, che mi sembrava un religioso, vestito di bianco. Costui si dirigeva verso una casa che aveva l’aspetto di una fortezza. Con il cuore che mi batteva forte, mi misi a correre e oltrepassai la porta subito dopo di lui.  Cercai di raccontargli la mia avventura perchè volevo che qualcuno mi aiutasse, ma egli non ne aveva alcuna intenzione. Allora, preso dalla disperazione, gli offrii tre grani di pepe. Subito, un altro religioso che era rimasto in parte silenzioso, venne verso di me; prese i grani, mi condusse in cucina, dove mi fu data una buona minestra e poi nel magazzino dove mi vestirono decentemente.
Quando uscii di là, il mercato era zeppo di gente e nessuno faceva caso a me. A un certo momento, nel tumulto delle discussioni, sentii una voce che gridava: ‘E’ caro come il pepe!’. Allora non esitai a tentare il colpo grosso: mi avvicinai a un farmacista, che aveva il negozio traboccante di fiale, di vasi e di boccali sigillati. In seguito seppi che si chiamava Pastenague. Dapprima egli si mostrò arrogante, ma io me l’aspettavo… Alcuni grani nel palmo della mia mano gli fecero allungare il collo e arrotondare l’occhio come una gallina che ha scorto un verme. Io fissai un prezzo: quattro denari d’argento per ogni grano; ci volle molto tempo perchè si decidesse, ma, alla fine, aprì uno scrigno chiodato sul quale era seduto, prese quattro grani e mi diede in cambio sedici monete d’argento tirate fuori dallo scrigno”.

“Potevi chiederne anche di più” disse il Pascià da uomo che se ne intendeva, “i giauzzi (infedeli) sono più avidi di pepe che d’oro. Ma che cosa è successo poi ai monaci?”

“Non so.” rispose Giannetto, “Con il mio denaro andai ad alloggiare nell’albergo della Palma, il migliore della città, e feci alcune spese necessarie per il viaggio. Infatti, con i cinque grani che mi restavano, credevo ormai possibile il ritorno al mio villaggio. La sera, a cena, una compagnia di mercanti che stavano andando alla fiera di Beaucaire, venne a sedermisi vicino. Essi erano molto allegri, io bevvi del vino e parlai loro del mio sacchetto di pepe che portavo appeso al collo come uno scapolare. Essi mi assicurarono che alla fiera ne avrei ricavato comodamente una libbra parigina per ogni grano e mi proposero di fare la strada assieme a loro: mi avrebbero aiutato a ricavarne un buon guadagno. Io ne provai un piacere tale che feci versare da bere molte volte a tutta la tavolata. Ma il vino che non conoscevo oramai da molti anni mi fece girar la testa…
Mi svegliai, tardi, il mattino seguente; l’albergo era silenzioso, senza i campanelli dei muli, senza nitriti e senza il va e vieni dei palafrenieri con gli zoccoli. Mi precipitai alla finestra…”

Qui il Pascià si lasciò andare sul dorso agitando le gambe, chiocciando di soddisfazione.

“Ho indovinato!” gridò, “La carovana ti aveva piantato dopo averti derubato!”.

“Sì, ero stato derubato” fece Giannetto. “Qualcuno aveva tagliato il cordoncino del mio sacchetto; andai a sedermi nella grande sala, accasciato… e passò un po’ di tempo.
Verso mezzogiorno, vidi entrare Pastenague preoccupato in cerca di qualcuno. Mi si avvicinò lentamente, mi tirò per la manica e mi disse all’orecchio: ‘Mi impegno a comperare tutto il pepe che potrai vendermi, fino a un quarto di libbra e a buon prezzo’. Mi voltai verso di lui e gli dissi che potevo procurargliene non solamente a dozzine di grani, e neppure a quarti di libbra, ma a centinaia di sacchi di cento libbre… e così pure per la vaniglia, per la noce moscata, e per i chiodi di garofano… Pastenague spalancò gli occhi e mi guardò spaventato: mi credeva matto! Ma oramai mi ero lanciato; descrissi le banchine del porto di Alessandria, i suoi magazzini dove si ammucchiano a montagne le balle delle spezie profumate. L’impressione del mio discorso su così viva che, prima di sera, avevamo firmato un contratto a tre: Pastenague, Goffredo, un socio che ho trovato senza difficoltà, ed io. Tu lo conosci, o signore, poichè ne hai visto l’originale e la traduzione. Tu hai certamente notato che il mio aiuto consiste nella conoscenza della lingua, ma soprattutto nella promessa della tua magnanima protezione…”.

“Avrai tutte le merci che desideri” disse il Pascià “alle stesse condizioni che noi facciamo ai mercanti genovesi”. Poi aggiunse: “I credenti e i giaurri non andranno mai d’accordo, ma possono però commerciare: il commercio è gradito a Dio; il tuo viaggio ti renderà ricco. A proposito: ti ricordo che io da solo voglio guadagnare quanto voi riuniti insieme. Ma voi siete solamente due. Parlami del tuo farmacista”.

“A proposito di lui, posso risponderti. Eravamo sulla nave in partenza col cuore stretto dall’angoscia al pensiero dei pericoli che ci attendevano. Il capitano comandò di ritirare la passerella che ci collegava ancora alla terra. Si udì allora un grido acuto e noi vedemmo Pastenague che fuggiva dalla nave correndo sulla passerella con il suo scrigno sulle spalle; e, sempre gridando, scomparve fra i pini sulla spiaggia. In quel momento il capitano lanciò l’ultimo ordine: ‘Fate le vele, con l’aiuto di Dio’.”.

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