I BOVINI: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.
Il bue
Il bue ha un’importanza rilevante per la storia stessa della civiltà umana. Quando l’uomo delle caverne riuscì a rendere domestico e quindi ad allevare e a trasformare gradatamente l’uro, il colossale bue preistorico, ebbe inizio una serie di eventi importantissimi. L’allevamento di questo animale significava possibilità di avere carni a sufficienza e il numero dei buoi che uno possedeva servì a calcolare la sua ricchezza. Inoltre la forza del bovino permise la trasformazione del suolo, ancora vergine, in campi coltivati.
Il bue
Gli antichi Germani cacciavano di preferenza l’uro. Ne adoperavano la pelle per fare i vestiti, ne mangiavano la carne, nelle loro corna bevevano l’idromele. Più tardi, i Germani fissarono le loro dimore e praticarono l’agricoltura, ma l’uro calpestava i loro campi e perciò il contadino cercò di fermare il gigante. L’uro era già scomparso fin dal Medio Evo. Il gigante continua però a vivere nel bue domestico ostinato e lento, ma utile, che ora si trova sparso per tutta la terra.
(Reichelt)
Bufale
A uno a uno tutti quei blocchi oscuri, che io avevo scambiati nel crepuscolo per rialzi verdastri del terreno, si sollevarono, scuotendo polvere, e, dondolandosi con mosse lente, si avanzarono sulla radura, incontro a me. Bufale enormi della giogaia ciondolante, dai corvi brevi, dai corni lunghi, diritti serpeggianti, lunati, dal muso nero, dalla stella in fronte, dal piè balzano, dalle radici rosse. La prima del branco ruggiva sempre, fermandosi ad aspettare; e altre vacche nere, che poltrivano digrumando fra le stoppie gialle, bruciate dal libeccio, si alzavano, si scuotevano muggendo, e s’indirizzavano adagio, circospette e annoiate, sull’orme della guida.
(F. Paolieri)
Bestie all’abbeveratoio
Ultimo divertimento della giornata fu assistere all’abbeverata del bestiame. L’abbeveratoio era in fondo a un gran prato, accanto al pozzo perenne, oggetto di molta invidia dei vicini in quelle terre siccitose. La fila delle bestie sciolte s’avvicinava lentamente dove le chiamava il boaro con un certo verso e fischio lungo, pacato, suasivo, che le invitava a bere. Camminavano sagge, con quella loro andatura che sembra inceppata, a testa bassa; e il sole basso sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche per la più parte. Immergevano il muso fino alle froge nell’acqua, e bevevano adagio, alla loro discreta maniera. Poi lo levavano stillante, e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie.
(R. Bacchelli)
Due vitellini si vogliono bene
Era successo che, proprio stando soli nella stalla, forse per ruzzare intorno alla mangiatoia o per scavalcarla, il vitellino più anziano, quello che aveva una specie di stellina in fronte, si fece male, ebbe una delle due protuberanze che, ai lati della fronte, cominciavano a indurirsi, scalfita da un chiodo, ammaccata da un urto troppo forte. Nulla di straordinario: ci fu qualche medicamento rustico, una foglia larga e fresca messa sull’ammaccatura, un po’ di dolore… Ma cosa straordinaria fu che il vitellino più giovane intervenisse lui, nelle ore in cui erano soli, a medicare, tirando fuori la lingua, che era poi anch’essa quasi come una foglia ma rosea e un poco ruvida, raspando, leccando sull’ammaccatura dell’amico come per una carezza e, insieme, una medicina.
(B. Tecchi)
Buoi al lavoro
I buoi, i grandi buoi, questi giganti
così affettuosi, così utili, così vigorosi!
Guardateli tirare, lungo le strade,
quei carichi così pesanti…
Il loro corpo, teso dallo sforzo, freme,
e il carro geme, geme a lungo.
Il carro geme, a lungo geme,
e i buoi tirano fino all’estrema fatica.
E sembra, nella sera bagnata d’ombra,
che il carro pianga per chi lo trascina…
E la sera, lungo la strada solitaria,
il carro geme, geme e se ne va.
(A. Lopez-Vieira)
Il bove
In questo sonetto, che è tra i più famosi della nostra letteratura, il poeta celebra la forza laboriosa e mite del bue e quel suo faticare docile in mezzo ai campi lavorati dall’uomo. E’ un quadro di pace solenne che ispira un senso religioso della fatica agreste.
T’amo, o pio →1 bove, e mite un sentimento
di vigore e di pace al cor m’infondi →2,
0 che →3 solenne come un monumento →4
tu guardi i campi liberi e fecondi,
o che al gioco inchinandoti contento
l’agil opra de l’uom grave secondi →5 :
ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
giro dei pazienti occhi rispondi →6.
Da la larga narice umida e nera
fuma il tuo spirto →7, e come un inno lieto →8
il mugghio nel sereno aer si perde;
e del greve occhio glauco entro l’austera
dolcezza →9 si rispecchia ampio e quieto
il divino del pian silenzio verde →10.
(G. Carducci)
Note:
→1 pio: mite e disposto al lavoro dei campi che è, per gli uomini, una santa fatica
→2 m’infondi: mi ispiri
→3 o che: sia che
→4 come un monumento: in atteggiamento placido e solitario
→5 secondi: col movimento grave del corpo, il bove asseconda i gesti dell’uomo, agile nella fatica dell’aratura
→6 rispondi: mostri d’intendere e consentire alla sua volontà
→7 fuma il tuo spirto: esala il tuo alito
→8 come un inno lieto: il mugghiare del bove è come un inno che accompagna in letizia il lavoro dei campi
→9 entro l’austera dolcezza: dentro lo sguardo dolce e insieme solenne dell’occhio azzurro (glauco) del bove. Grave perché si volge con lentezza e pazientemente
→10 si rispecchia… silenzio verde: si riflette la pace e l’alto silenzio della pianura. Verde è congiunto con silenzio ed è un’immagine lirica che si spiega pensando che il poeta, per spontaneo gioco di fantasia, ha trasferito al silenzio la proprietà verde del piano.
Il bue
Quando l’uomo cominciò a coltivare i cereali, iniziò ad addomesticare gli animali e, tra questi, il bue.
Come sollevò il lavoro dell’uomo!
Discende da un animale preistorico chiamato uro, la cui razza è ormai scomparsa da circa quattromila secoli.
Il manzo, il toro, la mucca, il vitello, la giovenca e il bue sono differenti stati dello stesso animale: il bue.
E’ un ruminante; ha i piedi forcuti e corna cave, corpo tozzo, membra corte e robuste, collo con sotto una pelle pendula chiamata giogaia. Vive d’erba e serve all’uomo da tiro e da trasporto. Fornisce energia organica per il lavoro della terra, ottimo concime, produzione abbondante e sostanziosa di latte; carne per l’alimentazione, sangue, ossa, corna, pelle, unghie per moltissimi usi.
Si adatta alle più svariate condizioni di clima, di altitudine, di alimentazione.
Gli antichi lo veneravano.
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