La croda rossa leggenda del Trentino Alto Adige per bambini della scuola primaria.
Ai piedi della Croda, in una capanna tra gli abeti, c’era, nella beata età delle favole, una fanciulla bella come un’alba montana. Era figlia di legnaioli e, rimasta orfana in tenerissima età, viveva sola con alcune pecorelle in un valloncello romito, ove ben di rado l’uomo stampava la sua orma. era quindi una creatura semi selvaggia, che agilmente si arrampicava sino alle ultime “gusele” della Croda, che cacciava il capriolo ed il camoscio tra le balze rocciose, che godeva della più sconfinata libertà nel suo selvaggio regno.
Ora avvenne che un giorno un giovane principe, figlio del Re delle Valli, capitò sulla Croda a caccia del camoscio. Il giovane, forte ed ardito, inseguendo un animale già ferito, abbandonò i suoi compagni e finì con lo smarrirsi tra i contrafforti della montagna.
Il sole stava tramontando, la notte si avvicinava ed il principe non sapeva come fare a trarsi d’impaccio. Suonò a lungo il corno di caccia, ma solo l’eco delle vallate rispose al suo richiamo. Quando già si preparava a trascorrere la notte all’addiaccio sotto un cornicione di roccia, gli parve di udire un belato, seguito da un richiamo umano. Tosto egli si diresse verso quel segno di vita e ad un tratto si fermò, rapito dinanzi ad uno spettacolo d’una incomparabile bellezza. Presso una fonte che sgusciava da un masso, c’era una fanciulla vestita di pelli d’animale, che era certamente la più bella di tutte quelle che egli avesse mai visto.
I due giovani rimasero estatici a guardarsi, e subito d’accesero d’una fiamma d’amore. Seduti accanto alla fonte, mentre l’aria scuriva e la sera fasciava di silenzio le cose, sotto il palpitare di una limpida serenata di stelle, i due si dissero pianamente, dolcemente tutto il loro amore e giurarono di non separarsi mai più.
L’indomani il principe ritornò alla reggia di suo padre, conducendo seco la silvestre fidanzata. Quando egli espresse l’incrollabile volontà di farla sua sposa, tutta la Corte inorridì come per un sanguinoso insulto. Ma il vecchio re, che amava molto il figlio, non seppe dirgli di no, perciò gli sponsali si fecero, splendidi e memorabili, tra i sogghignare maligno delle dame di Corte, che non potevano capacitarsi d’esser state posposte ad una creatura selvaggia della foresta.
Un giorno in cui il giovane principe era lontano per una spedizione di guerra, le dame di Corte cominciarono il solito gioco maligno delle insinuazioni contro la principessa. Per farle ancora una volta sentire che la consideravano un essere inferiore, un’intrusa, cominciarono a descrivere il lusso e gli agi dei palazzi ov’erano state allevate.
“Vuol raccontarci, di grazia, dove e come fu allevata?”
Un risolino di sprezzo apparve sulla bocca delle dame di Corte.
La principessa sentì un’onda di sangue salire al volto. Scattò in piedi e corse verso una balconata, la spalancò, gridando: “Ecco, ecco, lassù io sono stata allevata! Nacqui in terra libera e sempre fui libera. Castello mi fu la Croda, più grande e più bello di tutti i castelli. Ebbi compagne le creature della foresta, più caste, più pure, più sincere d’ogni cortigiano. Quello è il regno dove fui regina e dove tornerò”.
La Croda, nella chiarità del tramonto, ardeva come una torcia d’una stupenda luce porporina e pareva un autentico castello di sovrumane proporzioni, scolpito nel rubino.
La principessa si sentì mancare il cuore. Era per lei, per lei che la Croda s’era fatta tanto bella, s’era ammantata di broccati di luce, s’era cinta di aristocratiche sembianze, per confondere i suoi nemici, per esaltare la sua figliola! Era un miracolo d’amore, questo… Ed allora, non potendo più resistere al richiamo che sentiva dentro di sé, approfittando del fatto che tutti stavano rapiti a contemplare la montagna porporina, la giovane fuggì e, risalendo la valle, ritrovò la sua capanna e fu di nuovo libera e felice.
Quando il principe tornò e seppe che sua moglie era scomparsa, pensò subito dove avrebbe potuto rintracciarla e partì di gran carriera verso la Croda. Lassù ritrovò la fuggitiva, che lo accolse con tutta la sua gioia, ma non volle tornare alla reggia, dove regnava la malignità e l’ipocrisia. Posto nella alternativa di rinunciare alla moglie o alla successione al trono, il giovane non esitò: scelse la sconfinata pace della Croda e restò nella silvestre capanna accanto alla sua donna. I due vissero liberi e felici ed allevarono tanti e tanti figlioli, sani arditi e belli, come i loro genitori.
Da quella sera lontana la Croda ripete il suo miracolo d’amore, diventando, al tramonto, la più bella, la più fiammeggiante vetta dei Monti Pallidi. E perciò d allora in poi fu chiamata la “Croda Rossa”.
(R. Baccino)
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