Dettati ortografici e materiale didattico sul FRIULI VENEZIA GIULIA, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

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Osserviamo la cartina

Confini: Mare Adriatico, Slovenia, Austria, Veneto
Lagune: di Marano, di Grado
Golfi: di Trieste, Vallone di Muggia
Promontori: Punta Sdobba
Monti: Alpi Orientali (Carniche), Prealpi Venete (Carniche, Giulie).
Cime più alte: Monte Coglians, Monte Montasio, Monte Mangart, Monte Canin (Alpi Carniche); Col Nudo, Cima dei Preti, Monte Pramaggiore (Prealpi Venete)
Valli: del Tagliamento
Valichi: della Mauria, di Monte Croce Carnico, di Tarvisio, del Predil
Fiumi: Livenza col suo affluente Meduna; Tagliamento col suo affluente Fella; Isonzo (italiano solo nell’ultimo tratto) con il suo affluente Torre e il subaffluente Natisone; Stella; Aussa; Timavo.
Isole: di Grado.

Anche questa regione è costituita da due territori: il Friuli, rappresentato dal bacino idrografico del Tagliamento, e la Venezia Giulia.
Gran parte dei territori che costituivano la regione prima del secondo conflitto mondiale sono stati ceduti alla Repubblica iugoslava in seguito alle sfortunate vicende della guerra.
La regione è limitata a nord dalle Alpi Carniche che degradano verso l’alta Valle del Tagliamento. A sud la fertile pianura è limitata dall’Adriatico che ne bagna la costa lagunosa.

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Vita economica

L’agricoltura è l’attività prevalente in tutta la regione; si producono uva e patate sulle colline, ortaggi, barbabietole, cereali, tabacco e frutta, in pianura. Numerose zone forestali, della Carnia, danno ottimo legname, e i pascoli consentono l’allevamento dei bovini. Nelle acque dell’alto Adriatico è esercitata la pesca. Le industrie prevalenti sono rappresentate dai cantieri navali, dalle raffinerie di petrolio, dagli stabilimenti siderurgici e meccanici, dalle industrie chimiche, alimentari e dai cotonifici. Monto attivo è il turismo e il commercio.

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Le province

Le province della regione, che gode di una particolare autonomia, sono quattro: Trieste, Udine, Pordenone e Gorizia.
Trieste, capoluogo della regione, ricca di ricordi cari al cuore degli italiani, è un notevole porto commerciale e industriale dell’Adriatico.
Udine è un buon centro industriale, agricolo e commerciale e un nodo stradale e ferroviario di grande transito.
Gorizia, adagiata nel luogo in cui la Valle dell’Isonzo sbocca nella pianura, è chiamata per il suo clima mite, la “Nizza veneta”.

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Per il lavoro di ricerca

Come si presenta il territorio del Friuli Venezia Giulia? Quali gruppi montuosi vi si elevano?
Dove si verificano i fenomeni carsici e che cosa sono?
Quali fiumi scorrono nel Friuli Venezia Giulia?
Il Tagliamento segna per un tratto il confine con una regione: quale?
Quali sono le maggiori risorse del Friuli Venezia Giulia?
Quali industrie sono sviluppate a Trieste? E a Monfalcone?
Che cos’è la bora?
Che cosa sono i magredi?
Perchè soltanto la bassa pianura è fertile?
Perchè la Venezia Giulia è più ricca e industrializzata del Friuli?
Quali sono le province e le località importanti della provincia? Perchè sono note?
Ricerca notizie sulle tradizioni, gli usi e i costumi del Friuli Venezia Giulia.
Che cosa ti ricorda Redipuglia?
E Aquileia?

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Il Friuli

Ippolito Nievo definì il Friuli “un piccolo compendio dell’universo”, cioè un armonico riassunto, un felice mosaico, un gradevole cocktail di tutto ciò che di bello esiste su questa terra. Dalle altre montagne della catena Carnica, con la vetta massima del monte Coglians, a quasi 2800 metri, alle colline che degradano in dolci declivi, dalle campagne verdi e fertili alle vastissime spiagge adriatiche, dai laghetti del Predil e di Fusine al bacino morenico di San Daniele, dalle aree sassose e aspre, ai boschi fitti e intricati. Nel Friuli c’è di tutto, come se, e una leggenda antica lo dice, infatti, il creatore, al termine della propria fatica, si fosse accorto che era rimasto qualcosa ancora da utilizzare, dell’enorme materia prima predisposta per forgiare il mondo, e, a capriccio, avesse sparso tale residuo a piene mani in quest’angolo gettato tra le Alpi e l’Adriatico, per fare di esso un campionario di tutte le bellezze del mondo.
Le bellezze del Friuli meritano la massima attenzione. Dalle località balneari che hanno il loro centro massimo in Lignano Sabbiadoro fino alle nevi del Tarvisio e di Stella Nevea, di Forni di Sopra e del Matajur, si sta compiendo ogni sforzo per incrementare la recettività turistica, con impianti e attrezzature di primissimo ordine, comprese quelle degli sport invernali, al fine di offrire all’ospite italiano e straniero il meglio della tradizionale e calda accoglienza friulana, fatta di gentilezza, di rispetto, di onestà, di altissimo senso civico.
Accanto alle bellezze naturali, il Friuli tutto è una miniera di meraviglie artistiche. La plurisecolare storia del Friuli, dai più remoti tempi celtici preromani fino alla colonizzazione romana, alle invasioni longobarde, alla conquista della regione da parte di Venezia, ha dato al Friuli infiniti monumenti e vestigia che ben meriterebbero di essere maggiormente conosciuti. Dalle rovine di Aquileia, con il suo foro, il suo porto, la sua basilica; da Udine con la sua collezione di opere di Gian Battista Tiepolo, il suo duomo del Trecento, il suo castello; da Cividale, l’antica Forum Julii di Giulio Cesare con il suo tempio longobardo di Santa Maria in Valle e il Battistero di Callisto; da Pordenone, l’antica Portus Naonis, con il suo duomo e il suo municipio; da Porcia, con i suoi portali e il suo castello; da Palmanova, la città fortezza che ancora conserva intatte le sue caratteristiche: non basterebbe un volume per elencare tutte le bellezze artistiche di questa terra generosa, ospitale, di questo piccolo compendio dell’universo che non chiede che di essere meglio conosciuta: per essere apprezzata e amata come merita.

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Friuli Venezia Giulia, regione autonoma

Il 10 maggio 1964 è nata in Italia una nuova regione autonoma: il Friuli Venezia Giulia. In tal giorno si è votato nelle province di Udine e di Gorizia e nel territorio di Trieste. Sono stati eletti i 61 rappresentanti del parlamento regionale. Esso a sua volta, ha  scelto al suo interno il presidente e i dieci assessori destinati a governare la regione per quattro anni. Pur dipendendo sempre da Roma per quel che riguarda le leggi fondamentali della Repubblica Italiana, il Friuli Venezia Giulia si è dato proprie leggi per ciò che riguarda determinate attività locali. E non versa più a Roma tutto l’importo delle tasse governative, ma ne amministra direttamente una parte per risolvere i non lievi problemi regionali.
Prima dello sviluppo dei notevoli centri industriali di Pordenone ed Udine, il Friuli era una zona depressa. Il reddito per persona era tra i più bassi e moltissimi friulani emigrarono per cercare lavoro.
La Carnia è molto bella, con le sue Alpi che non superano i 2800 metri, ed era anch’essa una zona molto povera.
Il Friuli ha una sua unità, basata sul dialetto e sulla storia. Il dialetto non è veneto, ma un idioma neolatino, affine al ladino, al provenzale e al romeno. Il ducato longobardo del Friuli lottò contro le invasioni degli Slavi. Sotto la dominazione veneziana, gli orgogliosi comuni friulani ottennero larghe autonomie. Dal 1895 al 1814 il Friuli fece parte del Regno d’Italia napoleonico. Poi passò all’Austria. Nel 1866 con la terza guerra d’indipendenza si ricongiunse all’Italia.
La provincia di Gorizia è stata ridotta a pochi brandelli dalla seconda guerra mondiale e l’allora Jugoslavia si è presa il resto. Era la città prediletta dagli Asburgo, ma lo stesso imperatore Giuseppe II ne riconosceva il carattere schiettamente italiano. Fu liberata nel 1916, perduta nel 1917 con Caporetto, annessa definitivamente all’Italia nel 1918.
Anche il territorio triestino è ridotto ai minimi termini, in seguito alle vicende belliche e all’annessione dell’Istria alla Jugoslavia. Trieste, sotto l’Austria, era il secondo porto del Mediterraneo e il primo dell’Adriatico. L’ardente irredentismo si concluse con l’unione all’Italia, nel 1918.
Trieste è la capitale della regione. Alcuni assessorati possono risiedere però a Udine o in altre città.
(G. Zannoni)

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Trieste

Al primo affacciarsi sulla strada litoranea sul golfo, la città intera appare allo sguardo, in un incontro fulmineo. Se splende il sole, cielo e mare avvolgono la città in un unico bagliore. Dall’auto e dal treno, la stupenda visione si presenta come in una lunga carrellata cinematografica.
La strada segue l’arco del golfo fra suggestivi e arditi strapiombi sul mare, sì che, spesso, si ha la sensazione di stare sospesi sulla lucente pianura dell’Adriatico.
Dal medioevale Castello di Duino, già baluardo contro i Turchi ed i pirati dove forse sostò Dante, ambasciatore di Cangrande della Scala, alla sognante baia di Sistiana, a quella di Grignano, a Miramare, pare di compiere un’allucinante immersione in un’atmosfera solare  e marina. Il paesaggio varia ad ogni passo. Mare, roccia, verde: i sensi finiscono col percepire solo questi tre motivi fondamentali, mentre la città si palesa sempre più vicina e più viva.
L’aria è impregnata di salsedine e di resina. Infine: il Lungomare di Barcola. Da un lato la scogliera, con la cantilena delle onde, le vele, le barche, il porticciolo, dall’altro la movimentata teoria delle ville e dei luoghi di ritrovo, alla fine di un viale alberato, incontreremo la città viva e pulsante.
L’arrivo dalle vie di mare avviene in un diverso accordo di colori, più sfumati. Il passeggero avrà l’impressione di essere nelle vie della città già prima di sbarcare quando la nave all’entrata nel porto sfiora rive e moli. Un arrivo dal cielo consente un abbraccio ideale all’intera città: un mareggiare di colli, di pendici smaltate di verde, tutto un rampicare di case, dai massi dei palazzi sulle rive ai dadi delle ville che si affacciano all’altipiano.
Ma, si giunga da una parte o dall’altra, l’attenzione finisce con l’essere dominata da una culminante visione. San Giusto: il vecchio castello veneto, la poderosa quadrata torre della basilica, la platea romana sul Colle Capitolino. La storia, l’anima di Trieste sono lassù; tutte le età, tutte le vicende accostate, accomunate, sovrapposte parlano.
Il Castello fu costruito al principio del 1500 sul posto della rocca romana e di una successiva fortezza trecentesca.
Dal bastione rotondo che alza la sua massa sulla Piazza San Giusto, l’occhio spazia su un panorama grandioso.
Di lassù Trieste appare come una scacchiera ondulata fra il verde dei colli ed il turchino del mare. Il golfo lunato si distende nelle sue nobili linee dalla riviera che va verso Miramare, Duino, Monfalcone sino alla dolce curva della laguna gradese. Nelle ore più propizie si vedono profilarsi laggiù, in controluce, i contorni delle Alpi e delle Prealpi, i campanili di Aquileia e di Grado. Girando lo sguardo, sulla sinistra appare il vago disegno della costa istriana; e l’occhio può accompagnarla fino allo sperone di Pirano, alla Punta di Salvore.
Monumento caratteristico di Trieste è il Faro della Vittoria eretto in memoria dei Caduti del mare. Alto 116 metri sul livello del mare, per grandezza è il terzo del mondo dopo quelli di New York e Santo Domingo. Il suo raggio spazia per 36 miglia e le navi lo vedono già a metà rotta tra Venezia e Trieste.
Altra opera notevole, il Canal Grande, che penetra nel cuore della città.
Fu scavato nel 1750 per i velieri che così potevano scaricare le merci proprio davanti ai magazzini, allineati allora lungo il canale. E’ anche grazie ad esso che poche città come Trieste sentono la presenza del mare e di continuo lo vedono non solo dalle alture, ma in fondo alle vie.
(B. Parisi)

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Udine

In questa chiara Udine, una certa mollezza veneta, risalendo dalla pianura e da occidente, addolcisce il nobile parlare della gente friulana e adorna di piacevoli forme le architetture.
L’Udinese, lo distingui subito per una sua pacatezza corretta: lo interroghi su un indirizzo, lo chiami a te per un motivo qualsiasi, e subito si offre: “Mandi” (che è poi una derivazione del veneziano “comandi”). Ma ti accorgi benissimo che, Friulana dal ceppo morbido fuori e duro assai dentro, non si farebbe comandare da nessuno, a meno di non offrire spontaneamente la sua fedeltà.
Insomma, Venezia sì, ma nella parte migliore e più forte, escludendo il lato settecentesco e diremmo goldoniano del pur affascinante costume lagunare. E poi, Udine è capitale! Meno ricca e attiva di Pordenone, forse, ma il cuore del Friuli è lei, un prodigioso e fiero cuore che ha resistito a molti brutti scossoni della storia.
Non era difficile, fino a trent’anni fa,  trovare a Udine chi ricordasse distintamente l’entrata delle truppe austriache in città, dopo Caporetto. Neppure l’ultima guerra è stata pietosa con la città, e il ferro e il fuoco non furono risparmiati a tentare di domare questi Udinesi gentili ma incapaci di obbedire a un occupante dai metodi così poco corretti.
Ed ora, oso dire che il momento buono per conoscerla non è durante il giorno, quando le ampie strade del centro pullulano di ente vivace e ordinata; l’ora buona è al principio della notte. Dopo le nove Udine, da antica e dignitosa capitale qual è, se ne sta a casa, e le sue vie semi deserte offrono una straordinaria suggestione. Qualcuno si attarda in discorsi sotto l’enorme platano di via Zanon, e alle calme voci friulane risponde discreta la roggia, che ancora lì corre scoperta.
Seguite allora il labirinto di certe stradine, con le simpatiche, antiche case dai balconi delicati, traboccanti di fiori; trascorrete il mirabile impianto urbanistico: Udine può ripetervi il suo racconto di persona, meglio di qualsiasi storico.
(F. Piselli)

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La bora

Mentre tutto intorno alla casa domina il frastuono della bora, un fanciullo studia da un suo manuale geografico che “in Italia la velocità del vento supera di rado i 42 chilometri orari”. Bel privilegio questo di Trieste, fra le città italiane, di essere visitata spesse volte durante ‘anno e specie d’inverno, da un vento che, quando è mite, soffia con una velocità di 60 chilometri e, in certe giornate di furore, raggiunge i 140.
Visitatore sgarbato e violento, per cui la città sta sempre sul chi vive. E lo sanno gli ingegneri della luce e dei telefoni, e tutti i costruttori, i quali non sono mai abbastanza previdenti nel calcolare la violenza di questo nemico delle condutture e dei cavi aerei, dei comignoli e dei tetti. Lo sanno i marinai che non rafforzano mai abbastanza gli ormeggi.
Lo sanno infine i cittadini, che per quanto lo conoscano per tradizione e per esperienza, non riescono mai a premunirsi in modo da non doverlo temere.
(G. Stuparich)

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L’acqua e la pietra

Il Carso è un altopiano che dalle Alpi Giulie va degradando verso l’Adriatico ed è compreso tra il basso corso dell’Isonzo e il Golfo del Carnaro. Di questo altopiano, soltanto una piccola parte è inclusa nei confini politici dell’attuale Venezia Giulia e precisamente quella striscia che si affaccia sul Golfo di Trieste. Essa si distingue in Carso Monfalconese e Carso Triestino, divisi l’uno dall’altro dal Vallone di Gorizia. Il Carso è caratterizzato dall’assenza di corsi d’acqua; la sua superficie perciò si presenta arida, costituita in gran parte di rocce bianche e nude. L’acqua piovana tende a scorrere rapidamente attraverso le fessure delle rocce e scompare nel sottosuolo.
Nel sottosuolo non meno che alla superficie, l’acqua silenziosamente lavora. E’ l’acqua che conferisce al paesaggio carsico quell’aspetto di terra caotica e tormentata che lo distingue da ogni altro.
In superficie la roccia appare scavata da solchi, incisa da crepacci, stranamente forata, ridotta a lame taglienti e a punte aguzze. Nel sottosuolo, si formano cavità di ogni genere: caverne spesso grandissime, grotte ramificate come labirinti, canali, gallerie, pozzi, cunicoli. In questo mondo sotterraneo, l’acqua scorre, spumeggia, gorgoglia, continua a scavare, seguendo vie misteriose che la conducono al mare. Il crollo della volta di una grotta ha dato origine, in superficie, a una conca, una valletta che ha forma di scodella o di imbuto. Questa conca si chiama, con parola slava, dolina. Quando la dolina termina con un inghiottitoio a pozzo, che spesso è profondissimo, si chiama foiba (dal latino fovea, che significa fossa). Il Carso è tutto bucherellato di doline; viste dall’alto sembrano piccoli crateri vulcanici: un paesaggio quasi lunare.
Tra le numerose grotte del Carso Triestino va ricordata la Grotta Gigante, che si trova a qualche chilometro da Trieste. Attraverso una breve galleria si raggiunge una cavità immensa, alta 115 metri, che potrebbe contenere la cupola di San Pietro in Vaticano. La grotta è attrezzata per le visite turistiche; fasci di luce elettrica illuminano nel modo più fantastico i cristalli delle meravigliose stalagmiti. E’ il capolavoro dell’acqua.
Non si deve credere che il Carso sia tutto e soltanto un deserto di pietra. Il Carso Triestino, assai meno brullo di quello di Monfalcone, è rallegrato da pinete che formano chiazze verde scuro in mezzo al biancheggiare dei macigni, da boscaglie di querce che coprono le sue colline, da prati, da cespugli di ginepro, di rovo, di biancospino. La primavera fa fiorire tra i sassi il timo e la salvia; compaiono fiori di alta montagna che fanno dimenticare di trovarsi a pochi passi dal mare.
La terra coltivata è poca: qualche vigna, qualche breve campetto nel fondo delle doline.
La roccia del Carso è il calcare, sul quale l’acqua agisce facilmente. Dovunque vi sia il calcare, si manifestano gli stessi fenomeni che si osservano nel Carso: aridità in superficie e acque sotto terra, macigni corrosi, grotte e caverne. Poiché questi fenomeni sono  più evidenti nel Carso che altrove, hanno preso da esso il nome: si chiamano fenomeni carsici o carsismo.
In Italia, i terreni di natura calcarea sono molto estesi; quindi anche il carsismo è frequente in tutta la penisola. Zone carsiche si trovano nelle Prealpi Lombarde, nelle Alpi Apuane, nel Gargano, nelle Murge, nelle Madonie, nell’Iglesiente; le doline non mancano nel bresciano, nell’Appennino bolognese; un grandioso complesso di grotte è quello di Castellana in Puglia; i fiumi a corso sotterraneo sono frequenti nell’Appennino meridionale.
Il fatto è che nel Carso i fenomeni carsici sono tutti riuniti e presenti.
(S. Pezzetta)

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Le grotte di Postumia

Un vecchio proverbio latino dice che la goccia scava la pietra: una goccia che cade occasionalmente su un sasso, no di certo, ma dieci, cento, mille, un milione di gocce che cadono una dopo l’altra sempre sullo stesso punto, sì. Se poi le gocce, scorrendo su una roccia calcarea, si sono arricchite di sostanze minerali, avviene il fenomeno contrario: invece di scavare, esse… costruiscono: depositano a poco a poco il calcare; un po’ resta attaccato alla fessura da cui cola l’acqua, un po’ si consolida a terra.
Così nascono le stalattiti e le stalagmiti nelle caverne carsiche. Come tutti sanno anche l’Italia è ricchissima di caverne di questo genere, ma le più celebri del mondo  sono certamente quelle di Postumia, italiane fino all’ultima guerra, slovene dopo le spartizioni territoriali seguite alla pace. Le grotte di Postojna (questo è l’attuale nome) sono ancora meta di numerosissimi turisti. Sono tanto grandi che in esse si snoda una ferrovia a scartamento ridotto di ben tre chilometri. Ma a piedi se ne possono percorrere sei  e, tenendo conto dei numerosi canali secondari, si giunge ad un’estensione di oltre trenta chilometri.

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Bellezza delle Alpi Giulie

Le Alpi Giulie sono tra le più attraenti della nostra cerchia alpina. Due ardite ferrovie conducono al loro cuore, parallelamente a due grandi, magnifiche strade: la strada e la ferrovia del Canal di Ferro e quelle della Valle dell’Isonzo.
In questo estremo lembo orientale d’Italia sono profuse con magnifica prodigalità tutte le bellezze di cui si vanta l’Alpe, bellezze che dalla poesia mite e pastorale dei pascoli alti, vanno a quella solenne delle foreste, e da questa a quella tragica delle rupi nude e precipiti, erette sulle loro basi cinte di ghiaioni, superbamente sfidanti il vento e il sole. Le Giulie hanno in comune con le Dolomiti la costituzione; ma le loro valli sono profonde e selvagge, scarsamente collegate da passi, con altopiani di rocce nude, con nevai sperduti nel mare delle rocce calcaree. Forse manca loro la grandiosità delle masse montuose e la maestà delle nevi perenni, ma in compenso l’Alpe conserva intatta la sua fisionomia selvaggia, primordiale, fatta di pietra e di abeti, quieta e raccolta. Ogni valle ha i suoi monti posti a custodia, il suo torrente spumoso e sonante, le sue foreste. La Val Saisera ha il Montasio, la Val di Resia il Canin.
Ecco la Sella di Nevea, culla dell’alpinismo giuliano e tappa per le più belle vette delle Giulie, convegno di venti, splendore di pascoli verdi, dove germoglia rubescente il rododendro e spicca, flessibile al vento, l’azzurra genziana!
Ecco la vetta del Monte Nero, sacro alla gloria dei nostri Alpini; ecco la Valbruna, teatro di abeti e di pareti incombenti, chiusa nello sfondo da uno dei panorami più belli delle Alpi, nell’inverno, paradiso bianco dello sciatore. Ecco ancora la verde dovizia dei boschi di Pontebba, variati di pascoli alti e di baite, da dove si domina il Canal del Ferro smagliante di tinte e di contrasti, lungo il corso sonoro del torrente Fella.
(O. Samengo)

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Usanze, tradizioni, costumi

Feste e sagre si celebrano numerose nel Friuli. Ad Aquileia e Cividale si celebra, per l’Epifania, la Messa dello Spadone, durante la quale il diacono, riccamente vestito, e con l’elmo piumato sulla testa, saluta il popolo con un antico spadone, simbolo del tramontato potere temporale e militare dei Patriarchi (Vescovi, principi di quelle terre).
A Gemona viene celebrata ogni anno la sagra dei surisins (topolini). I quali topolini sono minuscoli razzi che, fischiando e scintillando, scivolano lungo un fil di ferro teso in una piazza di Borgo Villa, non senza staccarsi e finire in mezzo alla folla che si agita con ilare spavento.
A Comeglians, e anche in altri paesi, nella notte dell’Epifania, il cielo è solcato da cento meteore che ricadono sui clivi montani sprizzando scintille. Sono le cidulis ossia rotelle di faggio che un cidular arroventa al fuoco e scaglia lontano a mezzo di un bastone flessibile. Ad ogni cidula che vola nella notte, si grida il nome di una fanciulla del paese.

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La bora

La bora è un vento locale che raggiunge forza e velocità straordinarie. Quando essa soffia, si devono rafforzare gli ormeggi alle navi che sono nel porto. Nelle vie più battute cessa quasi del tutto il traffico degli autoveicoli. Quelli che devono forzatamente circolare sono guidati a fatica e fatti procedere a passo d’uomo. I pedoni si aggrappano a corde tese nei punti più flagellati da vento ed evitano, per quanto possono, di attraversare le strade e di avventurarsi nelle piazze aperte.
La rovinosità di questo vento dipende dal fatto che soffia rasente terra. Si tratta infatti di una corrente di aria fredda e secca che proviene da Nord Est. Essa, scontrandosi con l’aria mediterranea, più calda e leggera, la fa salire e poi scorrazza da padrona negli strati più bassi. La sua velocità raggiunge perfino i 200 orari.

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Trieste, città del mare

Non v’è forse altra città che viva in intima unione col mare come Trieste. Un lato della piazza maggiore è spalancata senza neppure il riparo di una balaustra, sull’infinita distesa abbagliante e per tutte le vie penetra da quella gran bocca, l’odore salso dell’onda. Nei giorni di tempesta i cavalloni, non impediti da alcun ostacolo, sormontano il breve dislivello e si riversano e si frangono contro le soglie marmoree dei fabbricati. Questa città, che allinea lungo intere contrade palazzi di favolosa ricchezza per ospitarvi banche, compagnie di navigazione, vive mescolata al suo mare come potrebbe un povero villaggio di pescatori. Il porto di Trieste offre uno spettacolo inebriante e sempre nuovo d’attività e di forza, coi suoi moli formicolanti di gente operosa, con la sua sfilata di magazzini, di cantieri navali, di opifici fumanti e sonanti, col suo andirivieni di navi giganteschi e minuscoli, col suo trascorrere di vele candide e gialle e rosse, coi suoi rapidi voli d’idroplani.
(G. De Agostini)

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La campana di Rovereto

E’ la sera del 2 novembre. Attraverso la radio si diffonde, in tutto il mondo, un suono lento, grave, solenne: Don!… Don!… Don!…
E’ la voce di Maria Dolens, la campana di Rovereto. Essa ci ricorda i caduti, tutti i caduti della guerra: italiani, francesi, inglesi, tedeschi, austriaci, russi, slavi, giapponesi, americani… sono migliaia e migliaia di uomini che rivivono nel suono della campana. Quante cose dice al nostro cuore questo suono: “Pace!… Pace!… Pace!… Vogliatevi bene! Siate tutti fratelli!… Soltanto la pace può rendervi felici!”.
Questo ci dice la campana di Rovereto. I suoi mesti rintocchi si disperdono nell’aria ormai oscura della sera. Essi  si diffondono attraverso lo spazio, come un messaggio di pace e di amore fra tutti gli uomini di buona volontà.
(R. Dal Piaz)

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Il Carso

Ci sono cose nella Venezia Giulia che meritano di essere viste. Si tratta di grotte, di inghiottitoi, di doline: di curiosi fenomeni insomma che, appunto dal nome della regione, si chiamano fenomeni carsici.
La regione del Carso è formata da rocce calcaree assai tenere, porose e piene di fessure. Le acque piovane, filtrando attraverso le fessure, con l’andare dei secoli, le hanno allargate e si sono aperte nel sottosuolo gallerie, cunicoli e grandi cavità in cui esse scorrono come fiumi sotterranei. E’ avvenuto che molte di quelle acque circolanti nel sottosuolo, avendo trovato una nuova strada più breve e più profonda, hanno abbandonato le gallerie nelle quali prima scorrevano, lasciandole vuote. Queste gallerie abbandonate dalle acque sono appunto le grotte.
E’ assai interessante il penetrare e l’avventurarsi nell’interno di questi sotterranei. Dal soffitto penetrano e luccicano certe bizzarre concrezioni di roccia che si dicono stalattiti; dal pavimento sorgono altre concrezioni coniche dette stalagmiti e spesso le une e le altre congiunte insieme formano esili o poderose colonne. Le pareti qua e là sono rivestite,  si potrebbe anche dire adornate, di coltri, frange, panneggiamenti, anch’essi di roccia più o meno trasparente e variamente colorata.
(G. Assereto)

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Aquileia romana

Aquileia è una città ricca di storia e di preziose vestigia: ebbe due momenti di grande splendore sotto Augusto e nell’alto Medioevo. Maestose si levano nei suoi dintorni le rovine romane: uno splendido colonnato dell’antico foro si staglia contro il cielo e nel sepolcreto romano altri ruderi dell’antica Roma attirano l’attenzione dei visitatori.
Una raccolta di lapidi, anfore, urne, terrecotte, monete, si trova nel Museo Archeologico della città e gli scavi, nei dintorni, continuano.
Tra il verde ecco un’altra visione, questa volta medioevale: la grandiosa Basilica romanica costruita intorno all’anno 1.000: agile ed alto ben 73 metri, si leva, a fianco delle possenti mura, l’antico campanile.

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Una città come una stella

Una strana cittadina, Palmanova! Se tu la vedessi dall’aereo, ti apparirebbe come un’immensa stella a nove punte. Si tratta di un’antica città fortezza costruita da Venezia, contro le minacce sia dei Turchi, sia dell’Impero d’Asburgo.
Un particolare va ricordato: la cittadina fu fondata nel 1593, il 7 ottobre, anniversario (il ventiduesimo) d’una famosa battaglia navale contro i Turchi: la battaglia di Lepanto. La pianta di questa città è certamente una delle più belle esistenti in Italia: bastioni, casermette, torri, depositi costituiscono un poligono regolarissimo con diciotto lati: al centro c’è una piazza dove sorge il Duomo. Palmanova è nella pianura friulana, quasi a metà sulla via tra Udine ed Aquileia.

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