Dettati ortografici e materiale didattico sul PIEMONTE, di autori vari, per bambini della scuola primaria.
Il Piemonte in breve
confini: Francia, Valle d’Aosta, Svizzera, Lombardia, Emilia, Liguria
monti: Alpi Occidentali (Liguri, Marittime, Cozie, Graie), Alpi Centrali (Pennine, Lepontine)
cime più alte: Argentera, Monviso, Granero, Rocciamelone, Gran Paradiso, Monte Rosa
valli: della Stura di Demonte, Maira, del Chisone, di Susa, di Viù, Sesia, Anzasca, d’Ossola, Formazza, Vigezzo
valichi: Colle di Tenda, Colle della Maddalena, Monginevro, Frejus, Moncenisio, Sempione, di San Giacomo
colline: Langhe, Monferrato, Colline del Po, Canavese, Serra di Ivrea
pianure: di Alessandria, del Vercellese, del Novarese
fiumi: Po, Toce. Affluenti di destra del Po: Varaita, Maira, Tanaro con i suoi affluenti Stura di Damonte e Bormida, Scrivia. Affluenti di sinistra del Po: Pellice col suo affluente Chisone, Dora Riparia, Stura di Lanzo, Orco, Dora Baltea, Sesia, Agogna, Ticino
canali: canale Cavour
laghi: Maggiore (piemontese solo la sponda occidentale), d’Orta, di Viverone, di Candia.
province: Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Torino, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli.
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Osserviamo la cartina
Il Piemonte deve il suo nome alla sua posizione ai piedi dei monti. Infatti le Alpi occidentali, con le più alte vette d’Europa, abbracciano la regione da tre lati.
Numerosi sono i valichi e le gallerie che permettono rapide e frequenti comunicazioni con la Francia e la Svizzera. Le gallerie autostradali del Monte Bianco e del Gran San Bernardo rendono possibili, anche durante la brutta stagione, i viaggi attraverso la catena alpina.
La parte piana della regione è costituita dal primo tratto della Pianura Padana, nella quale si elevano le colline delle Langhe, del Monferrato e di Torino.
La parte montuosa è ricca di acque. Infatti, oltre che dal corso superiore del Po, il Piemonte è solcato da molti affluenti alpini; piemontesi sono anche la riva destra del Ticino e quella del Lago Maggiore. Numerosi laghetti e canali artificiali rendono pittoresca la montagna e fertile la pianura.
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Vita economica
Gli estesi pascoli montani favoriscono l’allevamento del bestiame bovino ed ovino, che fornisce latticini, carne, lana. I boschi danno legname, castagne e tartufi (Alba). I vigneti del Monferrato producono vini pregiati, e le colline delle Langhe frutta di ottima qualità. La fertile e ben irrigata pianura è ricca di grano, granoturco e riso (circa la metà della produzione nazionale).
Le industrie, favorite dalle importanti risorse idroelettriche, sono molto sviluppate; particolare importanza hanno quelle automobilistiche, tessili e dolciarie.
Dal sottosuolo si estrae talco, grafite, pirite; dalle cave granito e calcare per cemento.
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Per il lavoro di ricerca
Con quali Stati e quali regioni confina il Piemonte?
Come si presenta il suo territorio?
Da quali rilievi è costituita la zona montuosa?
Quali cime vi si elevano?
Osserva la cartina: in quanti modi potresti raggiungere la Francia e quali valichi o trafori dovresti attraversare?
Partendo da Torino, quale itinerario seguiresti per andare in Svizzera?
Indica sulla cartina i principali fiumi del Piemonte; quali città bagnano?
Quali città piemontesi sorgono lungo le rive del Po?
Quali sono le principali risorse economiche e dove sorgono i maggiori centri industriali?
Dove è nata l’industria automobilistica italiana?
Che cosa significa la parola FIAT?
Qual è il tipico prodotto delle colline piemontesi?
Perchè in Piemonte si coltiva il riso?
Ricerca notizie sulle città del Piemonte.
Dov’è il Valentino?
Ricerca notizie sulla basilica di Superga.
Di chi fu opera la Mole Antonelliana? Quando fu iniziata? Quando fu portata a compimento? Quanto è alta la sua guglia?
Ricerca notizie sull’artigianato e il folklore del Piemonte.
Che cos’è il Palio di Asti? Quando si svolge?
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Paesaggio torinese
La stupenda varietà di paesaggi della provincia di Torino si può comporre in un quadro nel quale le linee fondamentali sono riconducibili a quattro motivi essenziali. Un poderoso arco di vette nevose e di belle vallate, ciascuna delle quali ha una singolare ed estremamente pittoresca fisionomia; le dolci ondulazioni della collina torinese che il corso del grande Po abbraccia a settentrione in un armonioso arco; il verde Canavese che digrada dalla fascia alpina all’anfiteatro morenico di Ivrea, alla landa, che conserva una sua romantica bellezza, e alla ben coltivata campagna; l’incantevole pianura che si adagia a semicerchio tra la provincia di Cuneo e quella di Vercelli, costituiscono infatti il paesaggio geografico del Piemonte.
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Piemonte: sguardo d’insieme
Per un lungo tratto le Alpi occidentali segnano, su tre lati, il confine della regione piemontese.
Questo tratto, imponente ed erto, è la caratteristica che più colpisce la nostra attenzione. Svettano qui le alte cime del Monviso dominante la valle del Po, del Rocciamelone affacciato sulla Valle di Susa, e del Gran Paradiso a cavallo tra il Piemonte e la Valle d’Aosta.
Ma non soltanto di montagne è fatto il territorio del Piemonte (le montagne invadono ben più ampiamente altre regioni italiane: ad esempio la Liguria, il Trentino Alto Adige, l’Abruzzo); gli alti rilievi, privi di Prealpi, cedono di netto il passo alla pianura; questa si estende più o meno vastamente e, quasi di sorpresa, risale in ondulazioni di colline tondeggianti o di tagliente profilo. Così che ad una osservazione panoramica il Piemonte presenta un semicerchio estremo di catene montuose, una fascia mediana di pianure ed un grosso cuore di suggestive colline.
La muraglia alpina piemontese appare compatta soltanto a chi la veda di lontano; se ci avviciniamo, scorgiamo vaste brecce aperte ai suoi piedi e addentrate in essa: le vallate che conducono ai valichi alpini e lungo le quali scorrono torrenti e fiumi.
I corsi d’acqua del Piemonte hanno un percorso alpino breve (relativamente brevi sono le vallate) e precipitoso; i torrenti scendono talvolta minacciosi e rotolano a valle ciottoli e grossi macigni.
Le colline che sorgono al centro della regione rendono tortuoso e vario il corso dei torrenti e dei fiumi e li dividono in due gruppi: l’uno raccolto attorno al Tanaro, l’altro attorno al Po.
Il Piemonte, privo come sappiamo della fascia prealpina, non possiede quei grandi laghi che caratterizzano un certo paesaggio lombardo; soltanto per un tratto del suo confine orientale si affaccia allo splendido scenario del lago Maggiore; alcuni laghi morenici e numerosi laghetti alpini variano qua e là il suo paesaggio.
Le colline piemontesi occupano un’ampia zona della regione; offrono lo spettacolo di un mare immobile, pezzato di verde e di bruno, con onde altre oltre gli 800 metri, talvolta crestate, talvolta tondeggianti. Sulla sommità dei rilievi collinosi si profilano i paesi di origine medioevale, con le torri ed i campanili svettanti; i nuovi borghi si estendono invece a valle, presso le strade e le linee ferroviarie. Al limite settentrionale del Piemonte, dove si apre la Valle d’Aosta, è un vasto paesaggio morenico. In esso spicca la suggestiva morena di La Serra, la cui cresta si allunga, perfettamente rettilinea, per una quindicina di chilometri.
La pianura disposta a ferro di cavallo attorno al massiccio delle colline, presenta una bella varietà di paesaggi e di coltivazioni; alle zone aride e brulle succedono quelle irrigue, fertili, popolose.
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Alte montagne, fertili pianure
Il Piemonte, ossia la regione “ai piè del monte” come dice il suo nome, e la piccola Valle d’Aosta, sono regioni montane per eccellenza. Là si levano i fianchi rocciosi del Monte Bianco, il più alto d’Europa, un colosso sempre biancheggiante di nubi, che domina la vallata con la sua imponenza. Là si stagliano l’aguzza vetta del Cervino e le numerose cime del Monte Rosa, non rosate, come si potrebbe credere, ma ghiacciate, come indica il nome nell’antico dialetto del luogo, “Rosà”. E là, d’inverno, le nevi si popolano di sciatori che disegnano velocemente le loro eleganti volute lungo le pendici.
Le Alpi si stendono a semicerchio intorno alla pianura percorsa da molti fiumi che corrono a gettarsi nel Po. Vi è laggiù un vasto scintillio di risaie che rispecchiano l’azzurro del cielo nelle loro acque immobili da cui spuntano sottili steli. Ma nella zona meridionale, fra le Alpi e la pianura, dove il terreno è ondulato in basse colline, si susseguono i ricchi vigneti produttori di alcuni fra i più celebri vini del mondo. I vigneti aggirano i colli in filari paralleli e continui; è una distesa di verdi pampini che suscita immagini di vendemmia e di festa.
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La città spumeggiante
Asti è celebre per i suoi vini: il Barbera, il Grignolino, il Fresia, il Nebiolo, il Moscato. Questa ricca produzione le viene dal fatto che la sua provincia è quasi tutta in zona collinare.
Già i Romani, quando vi giunsero la prima volta, restarono stupiti per i grandi tini che videro per le vie dei borghi.
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Il castello del Valentino
Il Castello del Valentino, con il bellissimo parco che si stende lungo la sponda sinistra del Po è, insieme alla Mole Antonelliana, uno dei motivi più tipici di Torino, l’antica capitale del Ducato di Savoia ed del Regno Sardo e, per brevi anni, anche del Regno d’Italia.
Il grandioso edificio fu eretto tra il 1630 e il 1660 da Carlo e Amedeo da Castellamonte, i quali trasformarono precedenti costruzioni, per volere di madama reale Cristina. Esso presenta alcuni elementi architettonici che sono propri dei castelli francesi della stessa epoca, ma l’elegante decorazione e la barocca monumentalità offrono un chiaro esempio di arte italiana.
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Superga
Superga è come una sintesi geografica e storica del Piemonte. Dal colle si può abbracciare, con un solo sguardo, tutto il maestoso e vario paesaggio della regione: le Alpi superbe, i colli ridenti, i nastri argentei dei fiumi, la vasta pianura che sfugge e sfuma nella foschia. Ma la presenza della Basilica, in cui riposano i principi sabaudi, è un invito a rivivere la storia del Regno di Sardegna, da cui ebbe inizio l’unità d’Italia. La Basilica è sorta in uno dei momenti più difficili della sua storia, a cui è legato il ricordo di Pietro Micca, l’eroe che si sacrificò per salvare Torino assediata dai Francesi. Il duca Vittorio Amedeo II, come ringraziamento della vittoria che liberò il Piemonte dagli invasori, la fece erigere dall’architetto Filippo Juvara che, iniziata la grandiosa costruzione nel 1717, la portò a termine nel 1731, qualche anno dopo che l’antico ducato sabaudo era diventato Regno di Sardegna.
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Da Superga
L’ultima volta che vi andai, un tramonto arancione splendeva dietro la corona dei monti; le cupole della città ed i monti di fondo, ritagliandosi neri e piatti su quel colore favoloso, sembravano a eguale distanza; il Po dava bagliori, la neve spruzzava i pendii; si esprimevano nel paesaggio una modestia montanara, una rusticità fine, un misto di signorile e di agreste.
(G. Piovene)
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Marroni in tutto il mondo
Gli Svizzeri e in particolare i Ticinesi, che acquistano frutta italiana da conservare e da esportare in tutto il mondo, scoprirono che i marroni di Cuneo, una volta che avevano subito la sterilizzazione necessaria a tutta la frutta che deve varcare frontiere internazionali, si conservano per un tempo quasi illimitato. Naturalmente utilizzarono subito la scoperta, servendosene per una larga esportazione. Questo commercio trovò sviluppo soprattutto verso l’America, dove gli emigrati italiani ritrovavano nella castagna di casa loro un ricordo della patria lontana.
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I vini piemontesi
Il Piemonte è la terra classica del vino. In tutte le sue province, dalle lievi ondulazioni che si elevano sulla pianura padana fino alla prime zone alpestri, la vite è attivamente coltivata a filari, a spalliere, a pergolati, a festoni, a terrazzi.
Barolo, Barbaresco, Nebbiolo, Gattianara, Ghemme, Lessona, Barbera, Freisa, Dolcetto, Grignolino, Brachetto tra i vini rossi; Cortese, Moscato, Caluso tra i vini bianchi, sono i più celebrati.
Ma il vero principe dei vini piemontesi è il Barolo. La sua nobiltà è tradizionale.
Si narra che Cesare, tornando dalla conquista delle Gallie, gustasse tanto i vini dell Morra, in quel di Alba, da portarsene a Roma.
Anche Plinio parla dei vini di Alba, riferendo che essi derivano da un vitigno (la vite Eugenia) trasportata in Piemonte da Taormina; il qual vitigno “non è utile se non nel territorio di Alba perchè, com’è piantato altrove, traligna”.
Nel Medioevo e nei secoli successivi il Barolo conquistò sempre più larga fama come vino di mense regali.
Carlo Alberto lo preferì tanto che acquistò il castello di Verduno e le annesse fattorie, in prossimità delle tenute dei marchesi di Barolo.
Anche Vittorio Emanuele II acquistò a Barolo una fattoria (la Cascina del Re); e Cavour produceva a Grinzano del Barolo eccellente, che divenne famoso nei pranzi diplomatici.
E’ fama che Carlo Alberto, quando ancora non conosceva il Barolo che per averne sentito parlare, dicesse alla marchesa di Barolo: “Mandatemi un assaggio del vino delle vostre tenute che tutti mi lodano”. E qualche giorno dopo un reggimento di robusti carri campagnoli, più di trecento, scaricavano alla Reggia ciascuno una carrata di vino; e la carrata è di ottocento litri.
(F. Palazzi)
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Le colline del Barbera e del Moscato
Le Langhe sono un tipico territorio collinare, che si trova in Piemonte, a sud di Asti, tra il Bormida e il Tanaro.
I versanti più ripidi ed esposti a nord sono coperti di boschi di castagni, di querce e, più in alto, di faggi. Anche qui case sparse accompagnano al solito i poderi, mentre i piccoli centri sorgono sulle sommità dei colli e sono ben collegati da strade che, invece di scendere a valle, tendono a mantenersi in alto, sulla cresta delle alture, divenendo così delle stupende strade panoramiche. Non molto diverso da questo è il paesaggio che si estende più a nord e che da Asti giunge fino a Torino e al Po: è il Monferrato, patria di alcuni famosissimi vini: il Barbera, il Brachetto, il Freisa, il Moscato d’Asti.
Le forme dei colli sono qui più regolari che nelle Langhe e la coltura della vite conserva l’importanza e la fama tradizionale.
Il terreno è tutto distribuito tra piccoli proprietari che abitano piccoli centri posti sulle sommità dei colli. Solo sul fondo delle valli maggiori sorge qualche grosso abitato.
Possiamo dire che il Monferrato è, fra i paesaggi collinari italiani, uno dei più vivaci, allegri e civettuoli.
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Nel Monferrato
Chi percorre la statale che unisce Alessandria a Torino si trova, quasi improvvisamente, nel bel mezzo di un paesaggio che ricorda da vicino le serene colline toscane e che fa quasi dimenticare il Piemonte. E’ tutto un susseguirsi di groppe tondeggianti, una dolce ondulazione che si stende a perdita d’occhio… Siamo nel paese dei vini e qui l’autunno è sinonimo di vendemmia ed evoca immagini di grappoli, di tini, di campi, di lavoro.
Siamo nel Monferrato. Ogni collina dà l’impressione di un campo su cui un gigantesco aratro abbia tracciato innumerevoli solchi paralleli, ricercando la migliore esposizione ai raggi del sole. Vigneti e vini appaiono nella nostra fantasia, accompagnati dalle note festose della tradizionale danza locale, la “monferrina”.
Dove la collina ancora resiste all’opera di coltivazione, cioè nella parte più alta, occupata da pascoli e boschi, la terra mostra le sue viscere sanguigne o grigiastre; la diresti sterile e affocata, e il suo colore non è altro che il simbolo della sua ricchezza e della sua feracità. Tra le tante etimologie escogitate dai filologi per indicare questa zona, potrebbe trovar posto anche questa: “mons ferx”.
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Nella risaia
La prima immagine che la risaia offre è quella si una pianura che si distende a perdita d’occhio e sulla quale ristagna, nel sereno tempo primaverile il velo azzurro delle acque, interrotto dalla geometria dei bassi argini e degli aerei ventagli dei pioppi.
Allora i borghi e i cascinali sembrano a poco a poco dissolversi, come in un miraggio di mobili luci ed ombre, e nasce un paesaggio insolito nella nostra penisola e, possiamo dire, in tutta l’Europa, e che fa correre la fantasia a regioni lontanissime dell’Asia orientale.
In questa grande palude artificiale si svolge un ciclo di coltivazione, quello del riso, che impegna severamente uomini e donne: e una lunga tradizione di lavoro, di fatica, di povertà, di lotta si viene disegnando nella nostra mente e nel cuore non appena, abbandonata la contemplazione di così singolare aspetto della pianura vercellese, riflettiamo intorno ad un’altra realtà la quale, in secoli e secoli, ha dato origine all’attuale condizione economico-sociale della vita dei contadini della risaia, di gran lunga migliore anche solo se confrontata agli ultimi decenni dell’Ottocento, e che ancora nel Novecento non aveva raggiunto un suo punto di equilibrio.
Le acque stagnanti della risaia, sfiorate dalle ali delle rondini tornate ai vecchi nidi per San Benedetto, si trasformano, nell’estate, in un immenso tappeto verde, teneramente agitato dal soffio del vento; poi, nell’autunno, quando le spighe fanno piegare sotto il peso generoso gli steli, in una grande macchia di color giallo opaco; finché, a raccolto ultimato, sepolta la risaia nella nebbia invernale, ecco la terra e l’acqua mescolarsi di nuovo, divenire il fango che l’opera dell’uomo renderà fertilissimo.
Il tratto della pianura vercellese, che comprende circa cinquanta comuni, ed è dominato dalla risaia, si continua, oltre il solco ben delineato dal fiume Sesia, nel Novarese e nella Lomellina, con una analoga struttura agricola e di paesaggio.
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Paesaggio vercellese e biellese
La province di Vercelli e Biella formano come un rettangolo delimitato a nord da un succedersi imponente e meraviglioso di montagne, che diminuiscono sensibilmente di altitudine da occidente a oriente lungo i contrafforti del sistema alpino, e che si estendono per una quarantina di chilometri dalla Punta Gnifetti, nel massiccio del Rosa, fino alla punte del Pizzo Montevecchio, del Pizzo Tignaga e della Cima Capezzone, e chiuso, a sud, dal corso del Po che lambisce le verdi campagne di Crescentino, di Trino, di Motta dei Conti.
Ad occidente i confini della provincia di Vercelli sono segnati dalla valle di Gressoney e da quella della Dora Baltea e ad oriente dal bacino del piccolo e delizioso lago d’Orta, dal quasi rettilineo corso del fiume Sesia e dalla stretta del monte Fenera alla confluenza nel Po.
Ora, se guardiamo attentamente una cartina fisica della provincia, si farà facile distinguere le caratteristiche del territorio il quale risulta in parte pianeggiante e in parte collinoso e montuoso.
La linea di divisione tra pianura, collina e montagna è abbastanza netta e corre, in senso lato, a nord del lago di Viverone, di Biella, Vigliano, Cossato, Masserano, Gattinara e Romagnano.
Un paesaggio, dunque, chiaramente definito e individuato che dall’azzurro velo delle acque delle risaie sale a poco a poco, in un intreccio di pittoresche vallate in cui ferve l’opera dell’uomo, fino ai ghiacciai e alle nevi eterne del monte Rosa, lo splendido massiccio delle Alpi Pennine che domina tanta parte della regione piemontese e lombarda.
La pianura, fertile e bene irrigata, la zona collinosa e prealpina del Biellese, ad economia prevalentemente industriale, la superficie, in gran parte montuosa e alpestre della Valsesia, cara all’arte ed alla fede cattolica, costituiscono i tre paesaggi tipici di Vercelli e Biella.
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I tartufi d’Alba
Alba è celeberrima per i suoi tartufi bianchi. Ogni anno sono circa 1500 chilogrammi del celebre fungo che vengono dissotterrati da questi colli fragranti e a venderli al prezzo del mercato è una bella ricchezza che va a seppellirsi nelle tasche di questi contadini.
I cercatori di tartufi s’addentrano nei querceti delle Langhe, scavano, rompono, dissodano, aiutati dai cani… laureati, o dai bastone con cui percuotono il terreno che dà una speciale sonorità quando, di sotto, il tartufo abbia creato, crescendo, una nicchia. La ricerca si fa di notte, anche per evitare di essere seguiti da altri, giacchè, trattandosi di abilità e astuzia, tutti i cercatori sono naturalmente gelosi uno dell’altro.
Avrei creduto che gli Albesi fossero ghiotti dei tartufi, ma non lo sono di più di quanto lo sia in Cremonese del suo torrone o il Milanese del suo panettone. Ne sono orgogliosi, sanno di avere un primato nel mondo, ma non sono dei lucumoni gaudenti. Hanno tante altre belle cose qui! Il vino, profumato e delizioso, i vitelli bianchissimi, certi formaggi piccanti che a spalmare due fette di pane fresco e a irrorarlo poi con un po’ di barbaresco c’è da risparmiare il termosifone. E’ una terra benedetta e fragrante questa, e pare che vino, tartufi, e uve da tavola, e pesche, di cui si fa un mercato colossale, siano tutti segni di benevolenza degli antichi dei, i quali, come è noto, stavano a tavola volentieri.
(G. Cenzato)
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Una foresta di marmo
In Valle del Gesso, nei pressi di Cuneo, per la lunghezza di una ventina di chilometri e per la larghezza di tre si stende una strana foresta. E’ interamente pietrificata. Doveva essere, in epoche remote della Preistoria, una rigogliosa foresta. Oggi i suoi tronchi giacciono a terra e sembrano sassi. In quei lontani tempi il Piemonte aveva una vegetazione tropicale, e le foreste erano rigogliose. Oggi sono rimasti solo questi sassi di cui si sono accorti per primi i montanari che vedendoli esclamavano: “Ma questi sono tronchi, sono schegge di legno!”.
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I Biellesi gente dura (racconto breve)
Un contadino scendeva un giorno a Biella. Faceva un tempo così brutto che per le strade non si poteva quasi andare avanti. Ma il contadino aveva un affare importante e continuava ad andare a testa bassa, contro la pioggia e la tempesta.
Incontrò un vecchio che gli fece: “Buon dì! Dove andate, buon uomo, così in fretta?”
“A Biella”, disse il contadino, senza fermarsi.
“Potreste dire almeno ‘se Dio vuole’ “.
Il contadino si fermò, guardò il vecchio in faccia e ribatté: “Se Dio vuole, vado a Biella.; se Dio non vuole, devo andarci lo stesso”.
Ora, quel vecchio era il Signore.
“Allora a Biella ci andrete tra sette anni”, gli disse. “Intanto, fate un salto dentro quel pantano e stateci sette anni”.
E il contadino si trasformò tutt’a un tratto in una rana, spiccò un salto e giù nel pantano.
Passarono sette anni. Il contadino uscì dal pantano, tornò uomo, si calcò il cappello in testa e riprese la strada per il mercato. Dopo pochi passi, ecco di nuovo quel vecchio.
“Dove andate di bello, buon uomo?”
“A Biella”
“Potreste dire ‘Se Dio vuole’ “.
“Se Dio vuole, bene; se no il patto lo conosco e nel pantano ci so andare da solo”.
E non di fu verso di cavarne altro.
(Italo Calvino)
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Cuneo
Come una grande mano aperta, col palmo rovesciato, Cuneo se ne sta sulle carte geografiche mostrando le vene che sono i fiumi, gli avvallamenti che sono le verdi e secche e azzurre Langhe, la cornice estrema delle Alpi che chiudono il piano. Sembra un angolo di riposo (e i castelli e le ville reali sparsi dicono che lo fu davvero per i Savoia); ma non lo si creda fuori dalla storia. I cuneesi sono stati dappertutto. (G. Arpino)
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Tempo di carnevale a Vercelli
La sfilata dei carri allegorici e dei gruppi mascherati, e le manifestazioni folkloristiche che accompagnano il Carnevale, vedono convenire a Vercelli, dalla campagna e dalle vallate, una numerosa rappresentanza della popolazione che rinnova, intorno alle maschere di Biciulan e della Bela Majn, l’antico incontro della città con il contato, l’incontro cioè di modi di vita, di interessi economici, di civiltà diverse.
Il nome della maschera Biciulan deriva dei profumati biscotti che sembrano rinnovare i fasti si un’età passata, quando le buone ricette della nonna venivano gelosamente tramandate e consultate ad ogni lieta ricorrenza nel preciso ritmo delle feste religiose o familiari e del succedersi delle stagioni, ciascuna delle quali portava con sé una particolare, agreste cucina.
Personaggio di invenzione non troppo lontano nel tempo, Biciulan è nato con un pizzico di bizzarria; fratello minore di Gianduia torinese e di Meneghino milanese, avrebbe dovuto interpretare la realtà contadina della campagna vercellese, la sua radice profonda germinata tra acqua e terra feracissima, ed invece Biciulan si è messo addosso un elegante abito militare sul quale fanno spicco gli alamari: un travestimento meraviglioso, un’arguzia impensabile e, chi sa, forse anche una celebrazione dei sacrifici e delle virtù contadine.
La Bela Majn, l’avrete già compreso, è la compagna di Biciulan e s’è presa anch’essa il gusto di vestire, almeno a carnevale, con gli abiti di una gran dama: i contadini che rifanno il canto ai nobili, nel gran giorno della libertà carnevalesca, esprimono certo un tema di grande interesse sociale.
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Canti e sagre popolari a Novara
A Novara, come in tutte le altre città dell’Italia settentrionale, sono poche ormai le tradizioni che sopravvivono. Possiamo ricordare, tra le manifestazioni folkloristiche, la sfilata dei carri di carnevale sui quali troneggia la maschera di Re Biscottino.
Profondamente suggestiva è la rievocazione della Passione di Gesù che ogni anno, nel giorno del Venerdì Santo, si tiene a Romagnano Sesia.
Un invito alla letizia è invece l’autunnale sagra dell’uva di Borgomanero: con la sciora Togna tutto il paese è in festa.
Il vino, se non l’uva, è di scena anche a Casale Corte Cerro, ma in tutt’altra stagione: infatti nel giorno di San Giorgio, che cade il 23 aprile, la Fontana del vino distribuisce gratuitamente il suo liquore tra la gioia che si può immaginare.
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Il palio di Asti
La seconda domenica di maggio, cavalli e fantini vengono scelti da un comitato facente capo alle singole parrocchie cittadine e presieduto da un Rettore.
Dall’edificio dell’Alla, dove generalmente ha luogo la fiera dei cavalli con grande concorso, un tempo, anche dei rinomati cavalli ungheresi, parte il corteo: comitato, vessilliferi, paggi e fantini in testa, codazzo di popolo tumultuoso e allegro al seguito.
Nella Piazza del Santo, come viene chiamata per antonomasia la piazza in cui sorge la Collegiata, ha luogo la presentazione al comitato e la consegna ai fantini del casco tradizionale.
C’è un’aria di festa sanamente provinciale e bonariamente solenne al passaggio dei vessilli vivaci, recanti, in genere, il nome di un santo: rosso e verdi quelli di san Pietro, rossi e azzurri quelli di santa Caterina, rossi e gialli quelli di san Paolo. Ecco il rosso e il bianco del vessillo più amato: è San Secondo stesso che attraversa le vie della sua città.
Manca ancora quella tensione che si comunica alla folla quando squillano le trombe che annunciano l’inizio delle gare.
I due giri di pista sono presto percorsi, ma i minuti sembrano secoli e ogni particolare della corsa è seguito con attenzione spasmodica. La ragazzaglia applaude incitando a gran voce i concorrenti con frizzi arguti e ingenuamente sboccati. Anche i mercanti di cavalli hanno interrotto i loro affari: il volto sanguigno, acceso dalle copiose bevute, la catena d’oro ballonzolante sul gran ventre, una mano che stringe la frusta sottile e infiocchettata e l’altra infilata nel panciotto per evitare che nella ressa il portafoglio a fisarmonica possa prendere il volo, valutano da intenditori lo slancio delle bestie, seguono ansimando l’ansimare dell’animale proteso verso il traguardo, e gocce di sudore cadono dalla loro fronte come i fiocchi di schiuma dai fianchi dei cavalli.
La corsa è finita: è il momento della premiazione. Al vincitore il palio, al secondo arrivato la borsa, al terzo gli speroni, al quarto il gallo (il famoso galletto di sant’Alessio) e al quinto… un’acciuga con l’insalata. La provincia e lo spirito borghigiano sono sempre vivi.
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Il traforo del Frejus
Fra i vari progetti che, subito dopo la prima guerra d’indipendenza e cioè nel famoso “decennio di preparazione” bollivano in pentola, nella capace e previdente pentola di Camillo Cavour, c’era anche, sia pure appena accennato, un certo progetto che riguardava la “necessità di perforare la barriera delle Alpi e di far passare una ferrovia”.
Era un progetto addirittura pazzesco per quell’epoca; passeranno diversi anni prima che prenda sostanza nella realtà. E si giunge fino al 1857 allorché il Parlamento piemontese approva l’esecuzione del traforo del Frejus, con uno stanziamento di 41 milioni di lire.
Il 31 agosto di questo stesso anno, il mondo apprese con immenso stupore che lo scoppio di una mina a Modane aveva segnato l’inizio della formidabile impresa.
La prima mina era stata fatta brillare dallo stesso re Vittorio Emanuele II, con il principe Gerolamo Bonaparte, attorniati di personalità, tecnici e migliaia di valligiani.
L’audacissimo assalto alla montagna era iniziato; esso si concluderà il giorno di Natale del 1870. L’inaugurazione della linea del Frejus avverrà l’anno successivo, nel 1871, fra un tripudio di bandiere e un entusiasmo incandescente.
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