Dettati ortografici MARZO – Una collezione di dettati ortografici di vari autori sul mese di marzo, per la scuola primaria, adatti alle classi dalla prima alla quinta.
Sui rami si gonfiano le gemme; tornano gli uccelli migratori. Il sole sorge più presto e tramonta più tardi; a qualche giornata ancora fredda si alternano giornate tiepide e assolate. Il contadino teme la grandine che può mettere in pericolo i raccolti e le fioriture delle piante da frutto che in questo mese si riempiono di corolle delicate.
Marzo era il primo mese del calendario romano ed era consacrato a Marte, dio della guerra, da cui prese il nome.
Marzo comincia. Il suo nome viene da Marte, l’antico e sempre minaccioso dio della guerra. Come uscendo dal letargo invernale, il pagano guerriero, proprio in questo mese, si accingeva a percorrere la terra. Per gli antichi, la guerra era un’avventura primaverile. Si attendeva marzo, il mese dedicato al dio bellicoso, per dar fiato ai corni e muovere gli eserciti che invadevano i campi come le acque del disgelo. (P. Bargellini)
Marzo. Il cielo di marzo è mutevole; qualche giorno è di un gentile azzurro con nuvolette bianche e morbide, qualche giorno è tempestoso e freddo come se l’inverno volesse tornare indietro.
Il vento. Spesso soffia forte, sbatacchia finestre e porte, scuote violentemente i rami degli alberi e sfoglia i fiori delicati del mandorlo e del pesco. Ma qualche volta è gentile come una carezza.
Primi fiori. Nei prati sbocciano le pratoline bianche orlate di rosso, tra l’erba si nasconde la violetta, sui rami dei mandorli e dei peschi c’è tutta una fioritura di stelle bianche e rosa.
Primavera. E’ primavera. Il cielo è dolcemente azzurro, il vento tiepido, gli alberi sono fioriti, gli uccellini cinguettano preparando il nido per i piccini che verranno.
E’ ora. Una violettta si affacciò e chiese: “E’ ora?”. Una margheritina aprì il suo collettino bianco, orlato di rosso, e domandò: “E’ ora?”. Una farfalla picchiò alla porta della sua prigione e disse: “E’ ora?”. “Avanti, avanti!” esclamò allegramente un bel raggio di sole.
Marzo. E’ un mese pezzerello, ora ride e ora piange. Ecco il sole che splende nel cielo sgombro di nubi; subito dopo il tempo s’imbroncia e giù acqua a catinelle!
Primi tepori. La campagna è ancora spoglia, pure a guardare bene i rami, si possono vedere le gemme avvolte nella loro peluria, ma pronte a dischiudersi ai raggi tiepido del sole.
Marzo. Fra le zolle di terra ecco i fili d’erba affacciarsi timidamente e nell’aria c’è un leggero odore di fiori non ancora sbocciati, ma che presto si schiuderanno al dolce vento di primavera.
Marzo. Non bisogna voler male a questo mese pazzerello: basta un giorno di sole ed ecco i mandorli fioriti miracolosamente ecco le violette che odorano fra l’erba, ecco le pratoline che riempiranno i prati di stelle.
Marzo. Marzo è pazzo. Ora piove, ora c’è il sole. Via le nuvole ed ecco l’azzurro; via l’azzurro ed ecco le nuvole. Marzo è un mese pazzerello; ora ride e ora piange.
Marzo è il mese dei venti e delle piogge. I giorni continuano ad allungarsi; la temperatura aumenta; si hanno, però, frequenti burrasche. I campi e i prati si fanno verdi e cominciano a coprirsi di fiori. Fioriscono gli anemoni, le primaverine, le pervinche e soprattutto i pioppi e, in genere, tutte le piante amiche del vento. Fanno pompa dei loro fiori i mandorli, i ciliegi, i susini. Nelle siepi compaiono i candidi fiori dei prugnoli e dei biancospini. (L. Vaccari)
Il tiepido vento si marzo giocava a cacciare, con furia scherzosa, le nuvole chiare. Le arruffava, le scapigliava, le lacerava a frange, a cirri, le fugava dai colli, le inseguiva, le disperdeva e trascorreva lontano. Ma subito dopo ritornava col suo lungo ululo festoso; s’aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi. (V. Brocchi)
Il vento di marzo si aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi, li sbandava, scuoteva gli alberi sui colli, rapiva petali di fiori novelli, godeva di farli sperdere nella limpidezza dell’aria; li lasciava piovere sulle piazze e sulle vie, metteva un tintinnio a tutti i vetri. (V. Brocchi)
A marzo guardati attorno. Osserva il ramo di un albero: vedrai tanti piccoli bottoni verdi, ancora accartocciati, stretti stretti. Sono le gemme che aspettano un’ora di tepore per aprirsi. Da quelle gemme verranno le foglioline verdi e tenere, verranno i fiori gentili del mandorlo e del pesco. Guarda sul prato. Vedrai l’erba che, improvvisamente, è spuntata ed ha ricoperto la terra con un morbido tappeto verde. Le siepi, già brulle e spoglie, si coprono, da un giorno con l’altro, di una fioritura candida e fitta. E’ il biancospino che ha fretta, che vuol fiorire, che dice: “Primavera è qui che viene”.
Marzo era un fantasticone, bizzarro, che pareva fatto apposta per far impazzire la gente. Bello e gagliardo, con gli occhi azzurri, che qualche volta si oscuravano per un repentino corruccio, capelli a ciocchette del color della viola, era sempre con le gambe in aria a correre, a far dispetti, a gridare per il cielo come un indemoniato, scagliando acqua e qualche volta anche grandine, sui fiori e sugli alberi spaventati, (F. Perri)
Terzo mese dell’anno, primo della primavera, fu il primo mese dell’anno fino a Numa Pompilio che premise il gennaio e il febbraio. Era dedicato a Marte che, forse, in origine era dio della vegetazione primaverile, ma ben presto, fu considerato dio della guerra. Il sole entra nell’Ariete. Marzo è, qualche volta, ventoso e freddo, ma cominciano le belle giornate di primavera, i fiori sbocciano e le erbette smaltano i prati.
Era il marzo temperato e sereno, coi primi fiori degli alberi da frutto e delle siepi di biancospino. Le prode stellate di margheritine e di primule, sapevano di violette nascoste fra i cespi dell’erba; il grano era tenero sul campo. Bello era il mondo nella bella giornata del mese bellissimo; l’allodola, perduta in canto ed in luce nell’alto del cielo, s’incantava lassù, nel mentre gli uccelletti di minor volo cinguettavano d’ogni parte il loro canto contento più umile. (R. Bacchelli)
Verso la metà di marzo, il cielo era turchino; un vento tiepido attraversava la foresta e arrivava alle case. La neve si scioglieva; larghi spacchi vi si formavano, subito riempiti di acqua bruna, e, per la china, cento improvvisi ruscelli scorrevano. Dalle potenti spalle degli abeti cadevano larghi drappi bianchi. Ovunque era fruscio, mormorio d’acqua. (G. Fanciulli)
Marzo è matto. Ormai si è fatto questo nome, chi glielo leva più? Eppure, vorrei vedere un altro al posto suo, così a cavalcioni tra inverno ed estate, fra caldo e freddo e, da una parte, lo tira il vento di febbraio, dall’altra, il cielo d’aprile gli fa l’occhiolino. C’è ancora il gelo nei crepacci della montagna e già nei prati, le violette hanno fretta di venir su. E quel povero marzo corre di qui, di là, aiuta le gemme a schiudersi, spazza il cielo dalle nuvole, si dà da fare da tutte le parti… Si capisce che qualche volta, gli vengono le bizze e fa il matto. Troppe esigenze per questo povero mese! E l’umore cambia.
Il malumore di marzo dura poco, ed eccolo ridere fra le lacrime, eccolo fare una smorfia buffa e saltabeccare fra i prati di nuovo tutti in fiore. Poi, appena vede una rondine, si quieta. E sta a guardarla che guizza per l’aria, veloce come una freccia e dice: “Mi par di riconoscerla. Dev’essere quella dell’altro anno”. E la rondine grida che sì sì, è lei e dice trovato a marzo e a tutte le cose.
Marzo è matto. Un giorno ride pazzamente e si sente allegro come un fringuello; allora è tutta una meraviglia: peschi fioriti, viole sbocciate, cielo sereno, venticelli scherzosi e tiepidi… Ma poi marzo si stanca e arriva il malumore. E allora son dolori: venti strapazzoni che spogliano quei poveri rami di pesco, pioggia a dirotto e tutti si rintanano in casa dicendo: “E’ tornato l’inverno!”.
Il cielo di marzo
Il cielo di marzo è mutevole. Qualche volta manda la pioggia e persino un po’ di nevischio, ma spesso è azzurrino, quasi trasparente, con nuvole leggere, ben diverse da quelle compatte e bigie dell’inverno. Il sole è ormai tiepido e al suo dolce calore, si schiudono i primi fiori.
Il mese del risveglio
Marzo è il mese della primavera, quando tutto si risveglia, piante e animali e perchè no? L’uomo. Infatti, anche l’uomo, con l’arrivo della bella stagione, sente rinnovate le sue energie, ha desiderio di camminare, di sgranchirsi le gambe tenute troppo tempo a impigrirsi nel chiuso, di buttar via gli indumenti pesanti, di guardarsi attorno e godere di quanto la natura gli offre in questo ridestarsi del creato.
Marzo, il cui nome deriva da Marte, il dio a cui i Romani lo avevano dedicato, fu il primo mese dell’anno romano fino all’anno 601 dalla fondazione di Roma. Nel nostro calendario è il terzo, ma nel calendario astronomico è sempre il primo perchè in questo mese il sole entra nell’Ariete, che è il primo segno dello Zodiaco. Nel plenilunio di marzo si celebra la Pasqua. In questo mese, e precisamente il 21, ha luogo l’equinozio di primavera in cui la notte e il giorno sono di uguale lunghezza.
E’ arrivato marzo e con lui la primavera. E’ un mese un po’ pazzerello, ci porta sole e solicello, vento e venticello, qualche temporale o una pioggerellina che bagna la terra e la sveglia dal suo lungo sonno invernale. Ecco infatti le gemme sui rami degli alberi, i primi mandorli fioriti, le siepi di biancospino piene di stelline bianche e profumate; tra l’erbetta tenera spuntano le margherite col cuore d’oro e le timide violette. Il grano spunta e sembra un morbido tappeto verde.
In marzo, in alcuni paesi, si possono osservare le migrazioni di stormi di uccelli che vengono dai luoghi caldi per recarsi al nord dove usano fare il nido. L’uccello migratore delle nostre regioni è principalmente la rondine. Tra l’erba possiamo osservare il brulichio degli insetti che escono dalle loro tane, o che hanno addirittura cambiato aspetto e cominciano a volare, a succhiare, a riprodursi secondo il loro ciclo vitale. Qualche farfalla già vola tra i primi fiori.
Quali sono questi primi fiori? Innanzi tutto le pratoline: bianche, orlate di rosso, sono le più audaci e le più allegre; al primo raggio di sole tiepido, le vediamo sbocciare miracolosamente tra l’erba e si chiudono non appena il sole mette il broncio. Altri fiori dell’acerba primavera: le primule, gli anemoni e la trionfatrice della stagione: la violetta. E’ il simbolo della modestia; è di un bel colore, profumatissima, di una forma graziosa, eppure si cela tra l’erba, non ostenta nè la sua bellezza, nè il suo colore, nè il suo profumo. Soltanto chi la sa cercare la trova e può godere delle sue belle virtù.
I colori di marzo sono il bianco del mandorlo, il rosa del pesco, il viola della violetta, il violaceo dell’anemone, il bianco orlato di rosso della margheritina, il rosso viola della primula, il giallo della giunchiglia. Cogliamo i fiori a volontà, specie i fiori dei prati che sono di tutti e di nessuno, ma attenzione a non troncare i rami fioriti degli alberi, perchè ogni fiore diventerà un frutto. Vi sono frutti commestibili e frutti che non si mangiano, ma ogni fiore diventa frutto. Il fine di ogni fioritura è quello di preparare il seme per dare origine a una nuova pianta. Infatti, dentro ogni frutto, c’è il seme.
Gli uccellini cominciano a cinguettare; prima degli altri, i passeri, i quali cominciano già a pensare al nido. Il passero fa il nido sotto un tegolo, al riparo. Gli altri uccellini lo fanno, in genere, tra i rami degli alberi. Hai mai visto un nido? E’ intrecciato di rametti come se fosse tessuto. Questo meraviglioso lavoro è fatto dagli uccelli col becco e le zampette. Poi la femmina lo imbottisce di lanuggine che trova nei fiori di pioppo, di salice e nel cardo. Ma gli uccelli non si peritano di strappare anche qualche filo a un lembo di stoffa, di afferrare al volo qualche piumetta e qualche fiocco di ovatta. I piccoli devono stare morbidi e caldi.
Non tutti gli uccelli fanno il nido tra i rami degli alberi: ve ne sono alcuni che si accontentano di un crepaccio, di un buco nel muro, alcuni che lo fabbricano con due foglie cucite insieme abilmente con fili d’erba per mezzo del becco, altri, come i rapaci, non fanno che un rozzo groviglio di rami in una anfrattuosità della roccia.
Marzo è matto, dice il proverbio, perchè il cielo è mutevole: qualche giorno è di un gentile azzurro con nuvolette bianche e morbide, qualche giorno tempestoso e freddo come se l’inverno volesse tornare indietro. Il vento spesso soffia forte, sbatacchia le finestre, scuote violentemente i rami degli alberi e sfoglia i delicati fiori del mandorlo e del pesco. Ma anche il vento è necessario perchè rinnova l’aria e la purifica, trasporta il polline da un albero all’altro e passando da un fiore ad un altro della stessa specie, lo trasforma in frutto. Tra i benefici del vento dobbiamo mettere anche quello di portare le nuvole qua e là e di modificare, quindi, il clima, con le piogge che derivano da questo movimento del vapore acqueo. In alcune regioni il vento viene utilizzato per muovere le pale dei mulini e si ha così un’energia che non costa niente. Quando però il vento assume la forza di un ciclone può arrecare danni gravissimi: svelle da terra interi alberi, fa crollare muri e soprattutto sconvolge il mare causando naufragi e disgrazie.
Dicono che marzo è pazzo; ma che deve fare il poveretto, se è a servizio di due padroni che lo comandano a piacer loro? Se è l’inverno che ordina, marzo deve mandare giù la pioggia e scatenare il vento che strapazza i rami pieni di gemme; se è la primavera che lo chiama a sè, allora ecco che sparge i fiori sui prati, mette in fuga le nuvole, intiepidisce l’aria, invita i bambini all’aperto.
Sereno a volte e limpido come un immenso specchio azzurro, anche il cielo partecipa alla festa della natura. Ma talvolta, all’improvviso, il cielo si oscura e assume il color cinerino dell’autunno: la nuvolaglia nasconde il sole e una pioggia fitta e insistente cade sulla terra. Un broncio di breve durata. Dopo la pioggia il sole torna a splendere più luminoso e più caldo.
Al torrente è arrivata tanta acqua dai nevai che si sfanno, e la sua voce canta più alta fra i ciottoli, parla più tenera fra i salici… Per tutta la valle scende un vento fresco, non freddo; scioglie gli ultimi nodi dell’inverno, porta il fumo dei camini, il suono delle campane e le prime libere canzoni. (G. Fanciulli)
Il torrente sussultava in fondo alla valle, fra i peschi e i mandorli fioriti. E tutto era puro, giovane, fresco, sotto la luce argentea di quel gran cielo mite, sul cui orizzonte i profili morbidi dei monti, ancora coperti di neve, si stendevano come file di colombi addormentati. (G. Deledda)
Quando l’inverno muore lentamente nella primavera, nelle sere di quei bei giorni limpidi, lieti, senza vento, in cui si tengono spalancate per le prime volte le finestre e si portano sulle terrazze i vasi di fiori, le città offrono uno spettacolo gentile e pieno di allegria e di poesia. A passeggiare per le vie, si sente di tratto in tratto nel viso un’ondata d’aria tiepida, odorosa. Di che? Di quali fiori? Di quali erbe? Chi lo sa! Sono profumi indistinti e sconosciuti, che sanno di freschezza, di giovinezza e di vita (E. De Amicis)
Lungo le rive dei fossi si aprono i primi fiori e sui pendii dei colli, altri, di colori più intensi, azzurri o gialli. Sulle cime dei monti gli ultimi filoni di neve sfumano in nere nubi. Il verde del frumento si accresce, ed altri campi, si fanno gialli di ravizzone. Biancheggiano i susini, i peri, alterni al rosa dei peschi. Le galline hanno un canto diverso, appare la prima farfalla, e gli uccelli cantano tra gli alberi che ancora non danno ombre. Finisce l’inverno, si entra in primavera; certi anni il passaggio viene come velato da un lungo periodo di piogge, ritorna il sole e sui rami si scopre la frutta già segnata senza esserci accorti dei fiori. (G. Comisso)
Ora la primavera avanza. La rondine dà la sveglia ai pigri, e la collina si veste da sposa con quei suoi bianchi filari di ciliegi fioriti, che sembrano da lontano lunghi festoni serpeggianti, tesi lungo i pendii per un corteo di angeli. E accanto al bianco dei ciliegi, ecco la meraviglia rosea dei peschi. E’ un succedersi di bianco e di rosa, di superbe macchie vivissime sul verde, ormai deciso, della campagna. E’ questo il momento più bello della primavera, che avanza regalmente con profumi, colori e tepori, con ronzii e cinguettii. Le gemme spuntano, ingrossano, scoppiano in fronde di un verde tenero e, a poco a poco, l’impeto interno della terra madre si sfoga in una vegetazione lussureggiante, e la campagna, la collina e il monte si vestono si un manto imperiale. (A. Dusso)
Il trepido vento di marzo giocava a cacciare con furie scherzose le nuvole chiare. Le arruffava, le scapigliava, le lacerava a frange, a cirri, le fugava dai colli, le inseguiva, le disperdeva e trascorreva lontano. Ma, subito dopo, ritornava col suo ululo festoso; s’aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi, li sbandava, scuoteva gli alberi sui colli, rapiva petali di fiori novelli, godeva di farli sperdere nella limpida aria; li lasciava piovere sulle piazze e sulle vie; metteva un tintinnio a tutti i vetri. (V. Brocchi)
Appena giunto in città, il venticello di marzo cominciò a soffiare in tutte le direzioni, allegro, invadente, felice di scorrazzare. Chiudeva ed apriva le imposte, sbatacchiava usci, il monello, come se fosse stato a casa sua. Faceva tremare i grandi cristalli delle vetrine, e si trastullava tra i vestiti dei passanti e distribuiva loro sulla faccia i biglietti del tram gettati a terra. (Lunarino)
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