Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – dettati ortografici e letture. Una raccolta di letture e dettati ortografici di autori vari, per la classe quinta della scuola primaria.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Guerre contro i Sanniti
I Sanniti abitavano le montagne boscose di quella regione che ora si chiama Abruzzo. La via dura tra rocce e foreste li aveva resi forti e coraggiosi. Roma, che continuava ad estendere il suo dominio, giunse ai loro confini e incontrò una resistenza tenacissima. Per venti anni vi furono battaglie. I Sanniti riportarono una vittoria a Caudio, tra Capua e Benevento, e costrinsero i prigionieri romani a passare chinati sotto un giogo (forche caudine). La guerra continuò incerta per altri trent’anni, finchè i Sanniti furono sottomessi ed altre terre si aggiunsero al dominio di Roma.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Taranto
Una città tutta distesa lungo il mare tentò di opporsi alla potenza di Roma: Taranto, un’antica colonia greca. Quando una piccola flotta mercantile romana apparve in vista della città, i Tarantini, per intimorire gli avversari, affondarono tre navi. Subito Roma si mosse per vendicare l’affronto. Taranto, temendo la minaccia delle legioni ormai vicine, invocò l’aiuto di Pirro, un sovrano greco avventuroso.
Egli aveva un esercito disciplinato e ben armato e lo metteva al servizio di chi lo compensava riccamente. Possedeva inoltre un’arma nuova e potente: un buon numero di elefanti, addestrati a lanciarsi nella mischia con una torre sulla groppa, dalla quale gli arcieri fulminavano con le frecce i nemici. Due volte Pirro riuscì a sconfiggere i Romani, ma pagò il successo a caro prezzo.
Superato lo sgomento, i Romani impararono a combattere contro gli elefanti: li atterrivano lanciando contro di essi dardi infuocati: così i pachidermi volgevano in fuga disordinata scompigliando le schiere di Pirro. I nemici furono travolti a Malavento (poi chiamata Benevento) nell’anno 275 prima della nascita di Cristo. L’ultimo ostacolo nella penisola era superato. Roma, padrona di mezza Italia, guardava oltre il mare: all’orizzonte appariva, come un invito, l’azzurro profilo della Sicilia.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Le forche caudine
Per raggiungere l’Africa, la strada più breve passava fra i monti per una stretta gola, vicino a Caudio. I Romani si inoltrarono disavvedutamente per questo passaggio, senza l’aiuto di guide o di esploratori. Giunti alla gola Caudina trovarono il passaggio ostruito da massi e da alberi. Improvvisamente sbucarono da ogni roccia, da ogni nascondiglio, i Sanniti, fieri abitanti della regione.
Invano i Romani, combattendo con valore disperato, tentarono di spezzare il cerchio d’uomini e di ferro che li stringeva. Dopo inutili tentativi, stremati di forze, scoraggiati, ogni giorno più mancanti di viveri, essi deliberarono e iniziarono trattative con il nemico, che li costrinse a sottomettersi all’umiliazione più atroce.
Tutta l’armata preceduta dal console, al quale furono tolte le insegne ed il rosso mantello, passò sotto il giogo e subì la derisione dei Sanniti, i quali non esitarono a percuotere con le loro armi i legionari nell’atto in cui si chinavano, curvando la testa, per passare sotto le lance incrociate e conficcate a terra.
Infine, il generalissimo sannita, Caio Ponzio Telesino, rimandò tutti, soldati e ufficiali, in patria, salvo poche centinaia di nobili cavalieri, che furono trattenuti in ostaggio.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Le forche caudine
Tanto i Romani che i Sanniti non avevano abbandonato il proposito di conquistare la Campania. I primi ad agire sono i Romani: nel 327 aC, essi occupano la città di Partenope (l’odierna Napoli). La reazione dei Sanniti è però immediata: affidato il comando dell’esercito a un grande condottiero, Caio Ponzio, lo inviano in Campania contro le truppe romane.
I primi cinque anni di guerra sono favorevoli per i Romani: essi riescono persino ad occupare buona parte del Sannio.
Vista l’impossibilità di sconfiggere i Romani in battaglia, Caio Ponzio tenta allora di vincerli con l’astuzia. Fatte ritirare le sue truppe sui monti, presso Caudio, egli fa spargere la notizia che si è portato ad assediare Lucera (nell’Apulia), una città alleata di Roma. Non sospettando l’inganno, i Romani accorrono immediatamente in aiuto della città minacciata e, per giungere più presto, decidono di prendere la strada più breve che passa per Caudio.
Errore gravissimo! Presso Caudio, questa strada entra in una valle stretta e profonda, i cui monti formano all’entrata e all’uscita di essa due gole strettissime, dette Forche Caudine.
Tra quei monti e all’uscita della valle, Caio Ponzio aveva nascosto i suoi soldati. Ed ecco infatti il disastro. Attraversata la prima gola e percorsa la valle, i soldati romani trovano l’uscita bloccata da macigni.
S’accorgono allora dell’agguato, retrocedono, tentano di ripassare da dove sono entrati; inutilmente; i Sanniti hanno occupato nel frattempo anche quella gola. Circondati da ogni parte, i soldati romani tentano con disperato valore di aprirsi un varco, ma invano. Dopo aver perduto parecchi soldati, essi sono costretti alla resa. Ben quarantamila Romani cadono prigionieri nelle mani dei Sanniti! (anno 321 aC)
Dopo la grande vittoria sui Romani, Caio Ponzio scrisse al padre ( uomo allora molto celebre tra i Sanniti per la sua grande saggezza) per chiedergli come avrebbe dovuto trattare i nemici caduti in suo potere.
Il vecchio saggio rispose: “O ucciderli tutti o rimandarli tutti salvi a Roma. Nel primo caso, prima che i nemicii abbiano ricostituito un esercito ci vorrà tempo, e ci lasceranno perciò in pace; nel secondo caso avremo per sempre la loro gratitudine”.
Ponzio decise allora di rimandarli tutti salvi a Roma, ma volle prima che si sottoponessero a una grande umiliazione. Li costrinse a passare curvi e disarmati sotto il giogo, ossia sotto una lancia legata trasversalmente ad altre due piantate nel terreno.
Il Senato Romano volle riparare immediatamente ad una sconfitta così indegna e inviò subito un nuovo esercito contro i Sanniti. La lotta fu ripresa con grande accanimento e solo nel 304 i Romani riuscirono ad ottenere presso la città di Boviano una grande vittoria sul nemico. Nella pace che ne seguì, i Sanniti dovettero riconoscere ai Romani il possesso della Campania.
Ma anche i Sanniti non sono un popolo da arrendersi facilmente. Eccoli infatti prepararsi immediatamente alla riscossa.
Quando nel 298 aC Etruschi, Umbri e Galli, desiderosi di abbattere la potenza romana, si riuniscono in una lega per combattere contro Roma, i Sanniti si affrettano ad allearsi con loro. Con l’aiuto di questi popoli, i Sanniti sperano di poter piegare per sempre i loro grandi rivali.
I Romani non si perdono d’animo: a così grande pericolo, rispondono con fulminea rapidità. Formati tre eserciti, ne mandano uno in Etruria (l’attuale Toscana) contro gli Etruschi; il più numeroso in Umbria, dove si è concentrato il maggior numero di nemici; e lasciano il terzo a difesa di Roma.
Tale strategia si mostra subito indovinatissima: gli Etruschi abbandonano gli alleati e accorrono a difendere la loro terra. Lo scontro decisivo, che vede impegnati trentacinquemila Romani contro cinquantamila alleati, ha luogo a Sentino (nell’Umbria). La battaglia infuria per tre giorni consecutivi: alla fine, i Sanniti vengono pienamente sconfitti.
Impressionati dalla schiacciante vittoria romana, gli Etruschi, gli Umbri ed i Galli depongono le armi e trattano la pace con Roma; ma i Sanniti non si arrendono ancora: affidano un nuovo esercito a Caio Ponzio, tentano nel 292 una nuova riscossa. In meno di due anni devono però mettere da parte ogni speranza di rivincita: il loro esercito viene annientato e lo stesso Ponzio viene fatto prigioniero.
Questa volta è veramente la fine: dopo mezzo secolo di durissime lotte, il valoroso popolo Sannita è costretto a sottomettersi alla potenza di Roma. Anche i popoli dell’Italia centrale, che si sono schierati dalla parte dei Sanniti, devono seguire la medesima sorte.
Così, al termine delle lunghe guerre sannitiche (anno 290 aC), il dominio di Roma comprende parte dell’Etruria, l’Umbria, la Sabina, il Sannio e la Campania.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Roma e Taranto
I Romani dopo aver sconfitto i Sanniti, possedevano ormai, oltre il Lazio, gran parte della Toscana e dell’Umbria, le Marche e la Campania.
Sulle coste dell’Italia meridionale sorgevano le città della Magna Grecia; esse controllavano la zona del Mediterraneo, dove le loro navi svolgevano il traffico commerciale. Queste città cominciarono a sentirsi minacciate dalla rapida avanzata di Roma.
Tra loro, Taranto era la più ricca e potente. Quando il pericolo romano si fece più vicino, i Tarantini non si sentirono però abbastanza forti per sostenere l’attacco e chiesero aiuto a Pirro, re dell’Epiro, l’odierna Albania.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Fango e sangue sulle toghe degli ambasciatori romani
I Tarantini avevano affondato alcune navi dei Romani. Roma mandò a Taranto alcuni ambasciatori che, invece di ricevere scuse, furono gravemente offesi. Ecco come si svolse l’episodio.
Gli animi dei Tarantini sono colmi d’ira: i Romani hanno osato attraversare con le loro triremi quel mare che avevano promesso di non solcare mai, ed ora mandano gli ambasciatori a protestare perchè quattro navi sono state affondate?
Passano gli ambasciatori per le strade bagnate dalla pioggia, e guardano con occhi alteri i volti dei Tarantini, che si assiepano lungo il passaggio.
Ora si fermano davanti ai capi della città e il più anziano di essi comincia a parlare.
Parla della gloria di Roma, della forza di Roma, della potenza di Roma…
Ed ecco uno della folla chinarsi, prendere una manciata di fango e gettarla sulla toga immacolata dell’ambasciatore che continua a parlare di Roma!
L’ambasciatore ammutolisce. Tra i Tarantini serpeggia il riso.
Qualcun altro, seguendo l’esempio del primo, prende di mira la toga con nuove manciate di fango.
Allora l’ambasciatore dice con voce ben chiara: “Leverete col vostro sangue questa toga, che avete macchiato col vostro fango!”
Troppo tardi nel cuore dei Tarantini trema lo sgomento: ci sarà la guerra!
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Le vittorie di Pirro
Pirro, re dell’Epiro, faceva paura, anche perchè nel suo esercito marciavano animali stranissimi, fortissimi e non mai visti dai Romani.
Questi spaventosi animali erano gli elefanti.
I Romani se li videro davanti, per la prima volta, in Lucania. Perciò li chiamarono buoi lucani.
Tutti fuggivano alla vista di quei colossi, con le gambe che sembravano colonne e con le proboscidi che lanciavano gli uomini lontano.
Ma i Romani, dopo il primo momento di paura, si cacciarono sotto la pancia degli elefanti, squarciarono loro il ventre con la corta spada.
Nel vedere molti dei suoi elefanti riversi a terra e immobili come montagne, Pirro ebbe a dire: “Un’altra vittoria come questa e sono rovinato!” (P. Bargellini)
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – La spedizione di Pirro
L’Italia Meridionale era abitata in parte da popolazioni italiche, in parte da Italioti, Greci stabiliti nelle città della costa del golfo di Napoli, fino allo Ionio e all’Adriatico:
Le città greche più importanti erano Taranto e Turio. Turio, assalita dai Lucani, chiese aiuto a Roma, e per soccorrere questa città, i Romani si trovarono in guerra aperta con la potente Taranto.
I Tarantini si accorsero ben presto di aver commesso un grave errore stuzzicando i Romani, e non volendo restarne schiacciati, ricorsero ad un sovrano balcanico, Pirro. Pirro, re dell’Epiro, apparteneva come razza al gruppo illirico della famiglia indoeuropea, lo stesso che attualmente è rappresentato dagli Albanesi; era giovane, ardito e ambizioso. In tutta la sua vita aveva cercato le avventure, e l’avventura a cui lo invitavano i Tarantini gli pareva la più bella e la più promettente. Non poteva egli, introdotto in Italia dai Tarantini, diventare, vincendo i Roman, il signore dell’Italia, un paese che la voce dei mercanti gli dipingeva più bello del suo selvaggio e sterile Epiro? Pirro accettò la proposta dei Tarantini, e sbarcò a Taranto con ventitremila uomini e venti animali da cui forse il suolo d’Italia non era stato mai calcato. I Romani certo non li conoscevano e, prima di apprendere dai Greci che quegli animali si chiamavano elefanti, li chiamarono ingenuamente, dalla terra d’Italia in cui la prima volta li avevano incontrati, “bovi di Lucania”.
Il primo scontro tra Pirro e i Romani si ebbe presso una città sul golfo di Taranto chiamata Eraclea, nel 280 aC. I “bovi di Lucania”, lanciati abilmente in mezzo alle file dei combattenti, spaventarono talmente i fanti romani che, pur avendo causato tra le file degli Epiroti perdite gravissime, essi dovettero volgere in fuga alla fine della battaglia.
“Un’altra di queste vittorie, e dovrò tornare in Epiro senza un soldato”, disse allora tristemente il valoroso re balcanico, e da quel momento si chiamò “vittoria di Pirro” ogni vittoria ottenuta a troppo caro prezzo.
Il Re, invece di sfruttare il suo successo, cerca di trattare la pace con Roma, e solo quando il Senato gli impone per questa condizioni troppo gravose, si risolve a riprendere la guerra.
Caio Fabrizio e Manlio Curio Dentato sono i comandanti degli eserciti che Roma manda contro il pericoloso intruso. Pur combattendo valorosamente e vittoriosamente ad Ascoli di Puglia e a Benevento, i due forse non insegnano nel campo militare nulla di nuovo al bellicoso sovrano, ma, a stare a quanto raccontano gli storici, essi fecero sì che il Re ripassasse l’Adriatico col ricordo incancellabile della grande onestà dei magistrati romani che non solo, poveri, non si lasciarono corrompere dalle offerte di denaro, ma sapevano essere leali col nemico contro i loro interessi.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Onestà di Fabrizio
Dopo la battaglia di Eraclea, in cui i Romani furono gravemente sconfitti, giunsero ambasciatori a Pirro per trattare la restituzione dei prigionieri di guerra. Fra gli ambasciatori romani era Caio Fabrizio, noto per il suo valore e per la sua onestà. Pirro, sapendo che Fabrizio era anche molto povero, cercò di corromperlo, offrendogli una considerevole somma, come segno di amicizia. Fabrizio rispose sorridendo a Pirro che la sua povertà gli era cara quanto la libertà personale e rifiutò il dono.
Il giorno seguente Pirro cercò di spaventare l’onesto ambasciatore facendo entrare nella tenda in cui si trattava la resa dei prigionieri un elefante (animale che Fabrizio non aveva mai veduto). Ancora una volta Fabrizio sorridendo disse che l’elefante non lo aveva spaventato più di quanto lo avesse persuaso l’offerta dell’oro.
Pirro cominciò a stimare fortemente Fabrizio e la stima accrebbe in altra occasione. Il medico personale del re aveva inviato una lettera a Fabrizio, promettendogli che se avesse avvelenato Pirro sarebbe stato ampiamente ricompensato. Per tutta risposta Fabrizio rivelò a Pirro ogni cosa, avvisandolo del tradimento e del pericolo che incombeva su di lui.
Storia di Roma GUERRE CONTRO SANNITI E TARANTO – Le ambizioni di Pirro e la saggezza del suo ministro
Pirro, il famoso re dell’Epiro, s’apparecchiava con grande entusiasmo alla sua spedizione in Italia, chiamato dai Tarantini contro i Romani. Non mai il suo amico e consigliere Cinea l’aveva visto così allegro.
“Vedi?” gli diceva enfaticamente il re, mettendolo a parte dei suoi progetti, delle sue ambizioni e delle sue speranze, “Adesso noi conquisteremo l’Italia.”
“E poi?”, gli rispondeva Cinea, conservando tutta la propria calma.
“Dopo l’Italia”, proseguiva Pirro, “abbatteremo Cartagine e conquisteremo l’Africa”
“E poi?”
“Poi conquisteremo la Macedonia, la Grecia e gli altri Paesi del mondo”.
“E quando avremo conquistato tutto il mondo?”
“Oh! Allora” esclamò Pirro “noi ritorneremo nel nostro regno e godremo una continua pace….”
“E perchè” l’interruppe Cinea “non cominciamo subito da questo? Perchè lasciare in ultimo quel che si può avere in principio?”
Se Pirro avesse dato ascolto al suo ministro, non gli sarebbero toccate le batoste che ebbe dai Romani a Benevento.
Nonostante le sue smodata ambizioni, il re Pirro fu uomo generoso, oltre che gran capitano. Una volta, gli fu riferito che alcuni giovani, in un banchetto, si erano scagliati a dir corna di lui. Egli li fece subito imprigionare, e condotti alla sua presenza, domandò loro se fosse vero.
“Altro che vero!” rispose uno, “E se non fosse stato che sul più bello ci mancò il vino, a parole, ti avremmo anche ammazzato!”
Rise il re Pirro, e cavallerescamente li rimandò a casa, raccomandando loro di non bere più tanto vino un’altra volta.
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