Antico Egitto dettati ortografici e letture – una raccolta di brevi testi di autori vari per la classe quarta della scuola primaria.

Gli Egizi

L’Egitto è una terra sulla quale la pioggia cade assai raramente. Il deserto di pietra e di sabbia si stende a perdita d’occhio. L’Egitto è percorso da un grande fiume, il Nilo. Esso, una volta all’anno, nel periodo da maggio a ottobre, straripa, inonda il territorio circostante e vi depone una fanghiglia fertile. Quando le acque si sono di nuovo ritirate, il contadino ara i campi, semina e, in meno di quattro mesi, raccoglie grano in abbondanza.

Seimila anni fa, lungo le sponde del fiume benefico, sorse una grande civiltà: quella degli Egizi. Gli Egizi seppero sfruttare il Nilo; regolarono il corso delle sue acque, le incanalarono, edificarono in altro le loro case per proteggerle dagli allagamenti.

Essi formarono una società bene ordinata, guidata da leggi, governata da un re, detto faraone, venerato come un dio.

Gli Egizi erano molto religiosi: adoravano il Sole, la Luna, e molti animali. Essi credevano che ogni uomo avesse un’anima, la quale durava oltre la morte, fino a quando il corpo si fosse conservato; si preoccupavano, perciò, di imbalsamare le salme, di fasciarle e di porle in sarcofaghi riccamente decorati. I corpi così preparati si dicono mummie e sono ancora oggi intatti. Alcuni faraoni si fecero costruire tombe gigantesche, le piramidi, alte più di cento metri, occupate da corridoi, gallerie e sale.

I personaggi più importati dello Stato erano i sacerdoti e i guerrieri; poi c’era il popolo dei contadini, degli artigiani e dei mercanti; ultimi venivano gli schiavi, trattati al pari delle bestie. I sacerdoti amministravano la religione e la giustizia; istruivano il popolo, erano astronomi, scienziati, ingegneri. I guerrieri erano i nobili; seguivano il re e combattevano in gruppi di fanteria con lance, archi, scuri e pugnali.

Gli Egizi scrivevano su una specie di carta ricavata dalla pianta del papiro. Prima usarono una scrittura a disegni detti geroglifici, poi inventarono un vero e proprio alfabeto.

L’Egitto e il Nilo

L’Egitto deve la sua straordinaria fecondità alle periodiche inondazioni del fiume. D’estate, per effetto delle grandi piogge equatoriali cadute nelle zone del suo alto corso, il Nilo si gonfia tanto che l’acqua trabocca dalle rive ed inonda tutto il paese intorno, deponendo sul terreno un limo fecondatore.

In autunno, quando le acque si ritirano, il suolo riemerge meravigliosamente fertilizzato. A novembre si semina e quattro mesi dopo si miete un abbondantissimo raccolto.

Gli antichi abitanti dell’Egitto, colpiti dal meraviglioso fenomeno, non conoscendone le cause, adorarono il fiume come un dio benefico.

Ma quelle acque, abbandonate a se stesse, potevano essere anche rovinose: perciò fin dai tempi più antichi gli Egizi costruirono canali, argini e laghi artificiali, per disciplinarle a proprio vantaggio. Dono dunque del Nilo, ma anche dell’intelligenza e del lavoro umano, l’Egitto.

Le città

Lungo il Nilo gli Egizi costruirono meravigliose città. Le più belle furono Menfi e Tebe. Quest’ultima aveva cento porte di bronzo e magnifici templi dedicati al dio Sole, buono e generoso come il Nilo.

Le credenze religiose

Gli Egiziani più antichi adoravano gli animali, come il falco, l’avvoltoio, il cane, lo scorpione, convinti che in essi si incarnassero e si manifestassero gli dei.

Con particolare devozione essi adoravano Api, un bue tutto nero con una macchia bianca sulla fronte: volevano così esprimere la loro riconoscenza all’animale che aiuta l’uomo nelle fatiche dei campi.

Adoravano inoltre la Luna, che chiamavano Iside, e che pensavano fosse la moglie del Sole, cioè di Osiride.

Un’altra divinità egiziana era Ibis, l’uccello sacro che portava sulle grandi ali le anime dei morti nel regno delle ombre.

Gli Egiziani credevano che, alla morte di ogni uomo, l’anima, dopo un lungo viaggio sulle ali di Ibis, comparisse davanti ai giudici, in mezzo ai quali sedeva il dio Osiride, cioè il Sole che tutto vede. Osiride pesava le anime su una bilancia e ascoltava le loro confessioni. Le anime leggere, cioè senza colpe, volavano negli incantevoli giardini dove il grano era alto sette braccia. Le anime pesanti, cioè quelle cattive, erano subito punite.

Il culto dei morti

Quando qualcuno moriva, gli Egiziani ne imbalsamavano il corpo e lo fasciavano con lunghe e strette bende intrise di sostanze resinose.

Deponevano il morto così fasciato dentro una custodia di legno a forma umana, sulla quale facevano il disegno del volto e del vestito.

Le salme così preparate si chiamavano mummie.

Sono state ritrovate dopo migliaia e migliaia di anni e ora si trovano nei musei.

Nella tomba, accanto alla mummia, venivano posti gli oggetti appartenenti al morto.

Si credeva che esso dovesse fare un lungo viaggio. Perciò insieme con gli oggetti d’uso, si ponevano nelle tombe anche i cibi necessari per via.

Le grandi piramidi

Le più grandi piramidi furono costruite oltre quattro millenni e mezzo fa. Quella di Cheope supera i 145 metri di altezza, ciascuno dei quattro lati è 230 metri. Plinio dice che vi lavorarono 400.000 uomini per venti anni.

A destra di essa sono le minori piramidi di Chefren e di Micerino.

La sfinge

La sfinge è un monumento egiziano che sorge vicino alle piramidi di Giza. Raffigura un dio egizio con testa di donna e corpo di leone. E’ alta 17 metri ed è lunga 38. Questa statua vuole significare la forza e l’intelligenza dei Faraoni, che erano i padroni di tutte le ricchezze egiziane.

Tutankhamon

La tomba di questo famoso faraone, che regnò in Egitto dal 1358 al 1349 aC, fu scoperta nella Valle dei Re nel 1922. Il corpo mummificato del giovane re, giaceva in una bara d’oro. Attorno furono rinvenute suppellettili funerarie, e, come di consueto nelle tombe egizie, gli oggetti che avevano servito il vivo ed altri che l’affetto dei sudditi offriva perchè il faraone potesse abitare nella nuova casa dell’al di là.

La scrittura.

Gli Egiziani sapevano scrivere ma, poichè la carta non era ancora stata scoperta, essi scrivevano sulle pareti dei templi e nelle tombe, o sui fogli del papiro, un arbusto che nasce lungo il Nilo. Per scrivere sulla pietra usavano scalpelli. Per scrivere sul papiro usavano pennellini intinti nel color rosso.

Essi non usavano le lettere dell’alfabeto, come facciamo noi; disegnavano invece moltissime figurine (circa 3000), ciascuna delle quali aveva un significato. Questi disegni si dicono ideogrammi; le iscrizione composte di molti ideogrammi sono dette iscrizioni a caratteri geroglifici.

Ogni figurina aveva un suo significato. Per dire “Il sole è forte” disegnavano un tondo (che significava il sole) e accanto vi disegnavano un leone (che significava la forza).

Per dire “L’uomo è puro”, disegnavano un uomo e accanto un fiore di loto, che nasceva in riva al Nilo e dava l’idea di purezza.

La terra dei vivi

L’egiziano era un popolo semplice e la sua vita era fatta di piccole cose che per gran parte oggi ci sono rimaste conservate nelle tombe. La casa dell’uomo comune era una piccola capanna a un solo locale con una porta – finestra costruita in mattoni cotti al sole. Il tetto era per lo più di paglia.

Nell’interno c’era un focolare e molte stuoie arrotolate che venivano distese per la notte sulla terra battuta del pavimento. Pochi cibi bastavano per vivere: un po’ di pane, di quello duro che ognuno cuoceva nel proprio focolare; cipolle, minestra di ceci. Fichi freschi e fave completavano il pasto quotidiano.

Vita d’oltretomba

Gli Egiziani pensavano che ci fosse una vita anche dopo la morte. Dopo un periodo di permanenza nella cella funeraria, l’anima poteva emigrare in un’altra terra. L’anima, lasciata la tomba, deve volgere le spalle alla vallata, ed inoltrarsi arditamente nel deserto. Lì incontrerà un albero di sicomoro, detto anche “albero – fata”. Dall’albero uscirà una dea, che offrirà all’anima un piatto pieno di pan e un vaso colmo d’acqua. L’anima che accetta questi doni diviene ospite della dea, e non può più ritornare indietro, senza il permesso della dea stessa.

Paesaggi spaventosi si offrono allora all’anima: dove serpenti e ogni sorta di animali feroci si aggirano indisturbati; dove torrenti di acqua bollente scorrono impetuosi, interrotti da paludi dove scimmie gigantesche prendono i “doppi” con le reti. Di fronte a simili pericoli, molte anime non resistono  e  muoiono; ma quelle che sono fornite di amuleti e di incantesimi proseguono, e arrivano in vista di un gran lago, oltre il quale sono le isole dei beati.

L’uccello sacro, l’ibis, solleva le anime sulle sue ali e le trasporta davanti ad Osiride.

Un tribunale assai strano

In una grande sala sono adunati quarantadue assessori; in mezzo ad essi siede il dio Osiride. L’ibis pesa il cuore delle anime sulla sua bilancia. Da un altro lato, la dea Verità suggerisce alle anime una confessione negativa, che le dichiara innocenti di ogni peccato. Se il tribunale dà parere favorevole, le anime possono entrare nei campi delle fave.

I campi delle fave sono di una fertilità inesauribile: lì la battaglia del grano deve essere stata combattuta con tutte le regole… Pensate che il grano è alto sette braccia, di cui due rappresentano la spiga. I morti coltivano, mietono, ripongono le messi: però, se sono stanchi, c’è chi lavora per loro. Sono i “rispondenti”, cioè certe statuine di smalto che sono state chiuse con loro nella tomba. Si chiamano “rispondenti” proprio perchè rispondono quando il padrone li chiama al lavoro (chi sa a quanti ragazzi farebbe comodo un rispondente quando c’è un compito di grammatica, o un problema difficile…).

Ad eccezione dei lavori dei campi, le anime non fanno altro: o meglio, pensano a divertirsi, con canti, giochi e balli.

Le tre possibilità dell’anima

L’anima che esca dal corpo e dalla tomba alla ricerca di beni ultramondani ha tre possibilità:

1. il soggiorno nei campi di Jaru, dove i defunti ricevono in compenso del loro lavoro il doppio e il triplo di quanto è riservato al coltivatore del paese d’Egitto.

2. il soggiorno nei campi delle offerte, dove ogni sorta di cibi e di vivande è messa a disposizione dei fortunati che riescono a raggiungerlo.

3. il Duat, che il morto deve raggiungere prendendo posto sulla barca del Sole e dove vivono gli dei immortali. (T. Venturi)

L’enigma della scrittura egiziana

Fino a un secolo e mezzo fa la scrittura egiziana rimase indecifrabile; le lunghe iscrizione incise sulle pareti dei templi, delle piramidi, sugli obelischi, e i numerosi papiri erano un mistero.

Nel 1798, durane la spedizione napoleonica in Egitto, un ufficiale francese trovò a Rosetta, sul delta del Nilo, una stele di porfido con un’iscrizione redatta in tre forme di caratteri: egiziano antico, egiziano meno remoto, e greco. Fu quello il punto di partenza. Dal confronto fra i segni greci e i corrispondenti segni egiziani fu possibile desumere il significato di questi. Nel 1822 lo studioso francese Champollion riuscì a sciogliere l’enigma della scrittura egiziana.

Il papiro

L’albero che permise agli uomini di scrivere è il papiro. Il papiro è una grande erba perenne acquatica, con radice sotterranea – strisciante, dura e carnosa. Il fusto esterno, triangolare, si erge diritto da due fino a cinque metri, e termina con chioma a ombrello: una specie di piumino.

Il papiro prosperava già anticamente nell’Egitto, lungo il Nilo, e in Asia sulle rive dell’Eufrate. Secondo lo scrittore Cassiodoro che lasciò parecchi libri di storia, filosofia e scienza, le rive del Nilo si potevano allora scambiare per “un’immensa foresta senza rami, una boscaglia senza foglie”.

Oggi il papiro si trova con  maggiore facilità e diffusione, ma è meno cercato. Lo si trova in Palestina, in Africa, a Malta; ed anche in Sicilia, presso Siracusa, sulle rive dell’Anapo, dove lo trapiantarono gli Arabi.

Gli antichi trassero dalla corteggia del papiro un foglio largo, lungo e sottile, molto pieghevole, su cui poterono scrivere: il suo altro fusto, tagliato in sottili listarelle avvicinate le une alle altre nei due sensi verticale e orizzontale, come si farebbe per i fili di una stoffa, forniva una carta di un colore gialliccio che assomiglia alla buccia delle cipolle. (G. Bitelli).

La prima lettera

Quando gli altri popoli della terra andavano ancora a caccia con la mazza e abitavano nelle caverne, gli Egiziani costruivano le piramidi e irrigavano i terreni.

Fu così che un bel giorno un egiziano, ancora più intelligente degli altri, ebbe un’idea. Doveva mandare a dire una cosa ad un suo amico che abitava nel paese vicino. C’era appunto un tale che doveva recarvisi e l’egiziano pensò di approfittare dell’occasione. Ma se poi quello, strada facendo, si fosse dimenticato il messaggio?

L’egiziano intelligente ebbe allora un’idea: prese un bel foglio di papiro, che era una pianta che cresceva sulle sponde del Nilo, appuntì un ramoscello e si mise a fare dei disegnini sulla scorza molle.

Voleva dire “casa”? E disegnava una casa, o magari solo il tetto, o un rettangolo, qualche cosa insomma che somigliasse a una casa.

Voleva dire “bue”? Ed ecco un bel paio di corna, e l’amico doveva proprio essere tardo se non capiva che quello voleva dire bue.

La “luna” poi era presto fatta, e così il “sole”.

Quando l’egiziano ebbe finito, guardò compiaciuto i suoi disegnini, fece un rotolo del suo papiro e lo consegnò al messaggero con mille raccomandazioni e tanti saluti per l’amico.

Questi, magari, ricevendo il plico non ci avrà capito niente ed avrà pensato che l’altro aveva del tempo da perdere; invece, altro che tempo da perdere!

In quel preciso momento in cui l’egiziano intelligente tracciava i suoi disegnini sopra un pezzo di scorza di papiro, era nata nientemeno che la scrittura e nello  stesso tempo, la prima lettera. (M. Menicucci)

Il passaggio del Faraone

Neris, ragazzo egiziano di quattromila anni fa, viveva in un villaggio di povere case di fango presso il delta del Nilo. Era il maggiore di diversi fratellini e sorelline. Un proverbio dell’antico Egitto diceva: “Famiglia numerosa, grazia degli dei”.

Tutte le mattine la mamma, dopo essere stata al fiume per l’acqua, e aver preparato qualche focaccia di grano tritato, affidava le bestie ai figli: ai maschietti gli asini ed i buoi, alle bimbe le oche. Solo Neris andava col babbo, che si recava sulle sponde del Nilo a tagliare i fusti di papiro.

Ogni tanto un mercante, giunto da lontano, caricava sul suo barcone i fusti e li portava via. Neris sapeva che sarebbero serviti per fabbricare fogli su cui certi uomini sapienti avrebbero scritto. Il mercante gli aveva anche detto che la loro scrittura somigliava ai disegnini che i ragazzi facevano talvolta con uno stecco nel fango del Nilo. Quei sapienti si chiamavano scribi e il mercante soleva ripetere: – Beati loro! Gli scribi possono diventare generali, governatori, architetti, sacerdoti…-

– Ma tu, o mercante –  gli chiedeva Neris, – li hai visti questi personaggi importanti? –

– Sicuro! Li vedo sempre quando vado a Tebe, la città capitale. A Tebe ho veduto più volte anche il Faraone…-

– Davvero? E com’è? –

– Il suo passaggio è meraviglioso. Egli passa alto e rigido sul cocchio, preceduto dai Grandi Sacerdoti vestiti di porpora. Indossa abiti dorati, ha i capelli lunghi e arricciati, ma il viso tutto rasato. Le sue ciglia sono dipinte di verde, le unghie dei piedi e delle mani di rosso. In testa ha una corona sormontata da un serpente d’oro e di smalto con testa d’avorio. E’ un simbolo. Vuol dire che il Faraone ha il diritto di vita e di morte sui cittadini. Il Faraone è il figlio del Sole, un dio! –

Neris, con entusiasmo, esclamò: – Beato te, che hai veduto il Faraone! –

Allora il mercante, godendo di quella infantile sincerità, chiese al babbo di Neris di poter condurre il ragazzo a Tebe. Il babbo restò un poco incerto. Poi acconsentì.

Pochi giorni dopo, Neris saliva sul barcone del mercante. Il babbo, dopo avergli dato l’addio alzò le mani in alto e pregò il Nilo: – Salute a te che esci dalla terra e arrivi per dar vita all’Egitto! Tu che nascondi la tua origine nelle tenebre, tu, che quando straripi fai urlare la terra di gioia, tu che fai da specchio al dio Ra, il Sole, e alla dea Iside, la Luna, accompagna dolcemente il mio figliolo, che va a riverire il figlio del Sole! –

E il viaggio di Neris fu felice. Il ragazzo osservò lungo il Nilo i palazzi dell’antichissima Menfi, vide le belle navi a vela per le cerimonie religiose e quelle che trasportavano le mummie, ammirò la sfinge e le colossali piramidi. Giunto a Tebe, la città dalle cento porte di bronzo, restò meravigliato dei palazzi e dei templi maestosi. Mentre si trovava vicino al tempio di Ammone, una squadra di arcieri a cavallo annunciò il passaggio del Faraone. Il popolo si ritirò tutto da una parte della piazza in religiosa attesa.

Il cuore di Neris battè. Finalmente avrebbe goduto anche lui la vista del figlio del Sole! Ma ecco giungere altri soldati, che gridarono: – Il radioso Faraone oggi non permette lo sguardo del popolo! Giù tutti, col capo chino! Guai a chi solleverà lo sguardo! –

Il popolo si inchinò e piegò il capo. Anche Neris dovette fare altrettanto; anzi il mercante per essere sicuro del ragazzo, gli tenne una mano sul capo. Sapeva bene come fosse pericolosa una disobbedienza al figlio del Sole!

Così passò il corteo reale e il povero ragazzo non vide nulla.

– Non ti dispiacere – gli disse dopo il buon mercante, – se non hai visto il Faraone. Del resto, anch’io non l’ho mai osservato bene! Ed è giusto che sia così, perchè il Faraone è un dio. –

Ma durante il viaggio di ritorno Neris si disperò e pianse. E solo la promessa di un nuovo viaggio che il mercante gli fece, valse a consolarlo un po’. (R. Botticelli)

La famiglia egiziana – Una breve recitina

La comune famiglia dell’antico Egitto viveva poveramente in case di fango. La mattina, mentre l’uomo usciva al lavoro agricolo, la donna accudiva alle faccende e mandava le bestie al pascolo, affidandole ai bambini.

Personaggi: la madre e quattro bambini: Koti, Kamcis, Rames e Neris.

Madre: Figlioli, quando vi vedo attorno a me, sapete a cosa penso?

tutti e quattro i figli: A che cosa, mamma?

madre: al proverbio “famiglia numerosa, grazia degli dei” !

Koti: Bene! Possiamo andare?

madre: Ah no! Tu, Koti, che sei il più grande, porterai gli asini ed i buoi all’abbeveratoio; tu Kamcis accompagnerai le oche; ma non fare a cavalluccio con quelle povere bestie, capito?; tu, Rames, cercherai sterco di animali per fare il combustibile;  e infine tu, piccolo Neris, andrai in cerca di foglie secche e fuscelli

Rames: io lo sterco non lo voglio raccogliere oggi. Perchè sempre io?

madre: e va bene. Ci penserà Kamcis, e tu Rames condurrai le oche…

Koti: le oche a Rames? Non è buono, madre! Gli scapperanno come farfalle!

madre: insomma, mettetevi d’accordo. Tutti dovete lavorare. Non siete figli di uno scriba. Vostro padre lavora la terra che Api rende fertile e io ho tante cose da fare. Chi prepara, ad esempio, il pane che trovate a casa?

tutti: Tu, mamma!

madre: andate, dunque. Gli dei vi proteggano. Se vi metterete d’accordo, dirò a vostro padre che vi racconti come fu che a Tebe vide il Faraone.

(in costruzione…)

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